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Latina. L'uomo che ci salvò dal comunismo. Domenico Cambareri: «Tutto l'Occidente dovrebbe essere grato a Ronald Reagan. Ed agli States»
La morte di Ronald Reagan, arrivata fra un’altalena di notizie contrastanti, non pone fine
soltanto alla lunga malattia dell’ex presidente statunitense. Pone fine anche al vero terzo
dopoguerra di cui i columnist occidentali neanche parlano; dopoguerra di un conflitto che
anche se ha direttamente risparmiato l’Europa, per il prezzo della sua difesa o del suo
soccombere alle armate sovietiche è stato altrove quasi ovunque combattuto. La morte di
Ronald Reagan cade stranamente ma simbolicamente in coincidenza con le appena concluse
manifestazioni della “liberazione” di Roma e con quelle che stavano per iniziare della
“liberazione” della Francia. Quasi a volerci ricordare quello che non vogliamo ricordare,
o di quanto a nostro piacimento trasformiamo e ritrasformiamo la storia del 900. Con questo,
certo non mi sogno di collocare Reagan fra quanti avrebbero voluto porre nell’oblio
la partecipazione americana nel secondo conflitto mondiale e i frutti che ad essa
conseguirono dalla vittoria delle flotte e delle armate statunitensi. Sebbene semplicemente
sottolineare il fatto che la strana, stranissima seconda guerra mondiale scaturì da un
lato dai torti enormi che i tedeschi avevano subiti con i trattati di pace alla fine
della prima guerra, e non meno da quello che i vincitori italiani avevano subito dai loro
alleati franco-anglo-statunitensi, e, in oriente, dal blocco energetico imposto da Roosvelt
ai giapponesi. E dall’altro, e sicuramente soprattutto, dall’affermarsi del colpo di stato e
del regime bolscevico nella Russia rivoluzionaria, senza dei quali è storicamente
inconcepibile pensare alla nascita del movimento fascista e poi del partito nazista.
Stranissima, illogica guerra la seconda guerra mondiale, poiché mentre “liberò” l’Europa
occidentale dal pericolo nazista e fascista, consacrò la divisione dell’Europa e del
pianeta intero in due blocchi per lunghi terribili decenni. Blocchi scaturiti al momento
stesso della vittoria dagli alleati che avrebbero a parole dovuto garantire una
indefettibile età di pace al mondo.
La cinquantennale storia della guerra fredda raggiunge il suo apice e quindi il repentino
declino negli anni ottanta, sotto i due mandati presidenziali di Reagan che guida così la
maggiore potenza occidentale negli anni tempestosi dell’aggressione sovietica in tutti i
teatri di “guerre per procura” e di “guerre non convenzionali” nel terzo e nel quarto mondo.
La strategia sovietica dimostra e dimostrava già dalla fine degli anni 50 le multiformi
possibilità di aggregare in un modo o nell’altro alla sua sfera di influenza diretta e alle
scaltre azioni “indirette” gran parte dei paesi “terzomondisti”, dei Paesi arabo-islamici
che hanno rotto con l’Occidente ancora stupidamente sfruttatore e colonialista (Egitto
di Nasser, Siria, Algeria), e di agire anche con rapporti di stretta amicizia nel mondo
latino-americano, da Cuba al Perù. Dimostra inoltre di sapere cogliere con elevato grado
di opportunità e di prontezza militare i risvolti delle grandi crisi che provocano
scollamenti immensi nello schieramento delle forze e degli apparati difensivi occidentali
e filo-occidentali. Come nel caso davvero tragico in tutti gli aspetti del tracollo della
Persia dello scià Reza Phalevi, e quindi dell’avvento dell’esclusivismo fanatico e sanguinario
degli ayatollah persiani. Infatti, fu immediata l’attuazione russa dell’invasione
dell’Afganisthan.
Ronald Reagan, venuto fuori dal nulla, figlio di un povero emigrante irlandese, conoscitore
dei morsi della fame sin da bambino, dopo avere svolto la carriera dell’attore (negli anni
dell’incubo americano sull’intrusione dello spionaggio comunista negli USA, è agente
informatore per i servizi segreti federali sulla presenza negli ambienti
artistico-cinematografici di elementi filo-comunisti), approda alla politica all’inizio
degli anni 60. Dapprima, come governatore della California. Quindi, quattro lustri dopo,
come presidente degli Stati Uniti, dove, dopo i due mandati presidenziali del leader
repubblicano Nixon (il secondo, interrotto con lo scandalo Watergate che lo portò alle
dimissioni per evitare l’impeachment, fu terminato dal vice presidente Ford), e quello
del democratico Jimmy Carter, si trova a dover fronteggiare situazioni estremamente critiche
e talora di tracollo in più parti del mondo. Per di più con la ferita del Vietnam ancora
sanguinante, con la reimpostazione della strategia planetaria di Henry Kissinger, consigliere
per la sicurezza di Nixon, che produceva accentuazioni di frizioni e di abbandoni
imprevisti e umanamente e politicamente dolorosi, e con l’ultimo lascito carteriano
improntato a condizioni di apertura del dialogo a 360 gradi ma con un risultato
fallimentare e pieno di pericoli (dall’esplosione delle attività di destabilizzazione
di nuovi soggetti, in primis la Libia di Gheddafi, alla critica e cronica instabilità
italiana).
I colloqui e poi gli accordi avviati da Nixon con Breznev e Gromiko per arrivare, con i Salt
1 e poi i Salt 2, a fermare la corsa degli armamenti missilistici e aerei per le armi
termonucleari del “first strake” non avevano prodotto risultati apprezzabili. Anzi.
I sovietici, approfittando delle incertezze e delle crisi interne e internazionali degli USA,
e non di meno approfittando delle crisi interne delle società euro-occidentali, spesso
fiaccate dalle azioni del terrorismo interno e internazionale e non di meno dalle azioni dei
neutralisti comunisti, avevano accelerato all’estremo il loro sforzo bellico, a dispetto
degli accordi firmati, anche se avevano ritirato dallo spazio le micidiali bombe orbitali,
cioè ogive nucleari installate a bordo di satelliti in grado di neutralizzare ogni preavviso
di pericolo per gli USA nel caso dell’attacco che avrebbe dovuto portare alla
“distruzione mutua assicurata” dell’equilibrio del terrore. Sicché, la superiorità americana,
che si basava soltanto sul grado di precisione (cept) dei missili intercontinentali e
dei sottomarini nucleari e delle testate multiple per ogni missile, era diventata
risicata di fronte all’enorme quantità di missili con testate singole di megatoni e dei nuovi
bombardieri dei sovietici.
La decisione sovietica che fece traboccare ogni limite di sopportazione e ogni possibilità
di difesa estrema dell’Europa agli americani, fu tuttavia costituito dalla decisione di
Mosca di introdurre una nuova classe di armi di distruzio nenucleare. I missili SS20 e SS22:
missili strategici non contemplati nell’ambito dei trattati USA-URSS in quanto non
intercontinentali ma euro-strategici, ossia con una gittata in grado di colpire l’intera
Europa occidentale e tutto il Vicino e Medio Oriente. Le intenzioni politiche e strategiche
dei sovietici erano dunque chiare: porre in essere alla prima condizione favorevole la
finlandizzazione dell’Europa occidentale, facendo di essa una realtà a sovranità limitata,
direttamente dipendente da Mosca. È naturale che questo progetto contemplava in concreto
l’utilizzo deterrente di testate nucleari su città europee e un attacco in massa dei panzer
dell’armata rossa, i quali contavano sull’iniziativa e la sorpresa e su di una superiorità
schiacciante nel numero, come per le artiglieri pesanti e i caccia da combattimento. L’unica
via di salvezza euro-americana sarebbe stata il ricorso all’utilizzazzione delle testate
atomiche tattiche in numero tale da creare sconvolgimenti apocalittici per la
popolazione civile. Un’ecatombe davvero prossima.
La determinazione e la lucidità politica di Regan portavano il presidente americano e
tutto il suo staff a decisioni che hanno salvato non solo l’Europa. Innanzitutto, la
decisione di installare direttamente in basi europee e non oltre Atlantico la
rivoluzionaria bomba ai neutroni, in grado di conseguire gli effetti di una distruzione
radioattiva controllata senza gli sconvolgimenti eolico-termici e del fall-out
radioattivo in aree immense, e così di vanificare ogni tentativo di minaccia palese di Mosca.
Poi, con l’avviare la veloce realizzazione e il dispiegamento di nuovi missili di
risposta per il teatro europeo, atti a neutralizzare le catene di comando e delle
comunicazioni sovietici: i Pershing 2 e i Cruise. Inoltre, con l’imposizione in ambito
NATO dell’aumento in termini reali del 3% delle spese militari e con l’obiettivo delle
600 navi combattenti per la U.S. Navy, egli realizzò una strategia complessiva di fronte a
cui nulla potè l’immensa industria bellica sovietica. Immensa ma povera di risorse.
Da lì a poco tempo, l’impero di Breznev, nel frattempo deceduto, e quindi di Andropov,
si sarebbe miseramente e definitivamente imploso. Gorbaciov, delfino di una catena
gerarchica di pretoriani (i capi dei sevizi segreti), avrebbe avuto infine l’adeguata
lucidità di salvare il salvabile: gli aiuti economici, alimentari e monetari
dell'occidente nell’ora del definitivo crollo.
Dal 1981 al 1988, con i suoi due mandati presidenziali, Reagan cambiava davvero le
certezze del mondo. Anche in economia, settore in cui veniva inaugurata la “Reaganomic”,
l’economia accentuatamente liberista che, dopo una prima fase di accentuata pressione sociale,
avrebbe prodotto una fase espansiva decennale, di cui avrebbe goduto i frutti il successore,
il giovane presidente democratico Clinton. La politica estera di Reagan si trovava coinvolta
anche all’interno del mondo latino-americano: le non felici azioni in Nicaragua e l’appoggio
logistico, della ricognizione spaziale e di missili a Londra nella breve guerra
all’Argentina per l’arcipelago delle Malvinas-Falkland. Quindi, il tentativo di recupero
di una solidarietà di fondo panamericana.
Infine, a metà strada tra l’ambito strategico a cui appartiene a pieno titolo e quanto
non apparterrà più al “futuribile” nei prossimi due decenni, il “via” all’iniziativa di
difesa strategica, conosciuta meglio come “guerre stellari”. Una strategia che è
innanzitutto strategia di conquista di nuove mete della tecnologia avanzata, atte a
realizzare in tutto e per tutto una valida difesa antimissile anche con l’utilizzazione
di raggi laser. Uno strumento che gli americani continuano a testare grazie
all’investimento di risorse immense, che garantirà loro il primato strategico per tutto
il nuovo secolo, ma che consentirà anche di potere neutralizzare minacce in essere di
gruppi di terroristi in possesso di missili e di armi di distruzione di massa. E di realizzare
uno schermo di difesa extra-atmosferico del pianeta nei confronti di pericoli costituiti
da asteroidi e comete.
Con il dato biografico di Reagan, in USA abbiamo modo di scorrere il trapasso dalla
generazione geniale degli scienziati tedesco-americani antinazisti, come nell’ambito della
fisica, e da quelli che combatterono sotto Hitler nell’ambito della missilistica, ai
tanti altri di altre nazionalità, non ultima l’ungherese, a quella che oggi è più
schiettamente “americana”. Se la vita di Reagan costituisce una cartina di tornasole per
le ultime tre generazioni statunitensi e per quella attualmente ai posti di comando politici,
militari e scientifici, non di meno essa lo costituisce per capire effettivamente le
aspre vicissitudini della contemporaneità ultima e la natura e la dimensione della vittoria
conseguita da Reagan per l’Europa e gli USA. Cose che andrebbero insegnate alle correnti
e alle scuole più diverse di storici e di filosofi europei e italiani. Per non parlare
dei politici.
A quest’uomo vada l’immensa riconoscenza di chi ha vissuto e vive questi ultimi decenni
del XX secolo e l’inizio del nuovo.
Domenico Cambareri
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