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Latina. Vademecum elettorale. Domenico Cambareri: «Ecco che cosa dovrebbe fare a questo punto la maggioranza, a livello locale e nazionale...»
In una logica mercantilistica, i consigli vanno pagati, e pagati a peso d'oro. Non di meno
in una logica di ufficialità istituzionale che ricorre ai consiglieri di professione. In una
logica del politichese, essi addirittura possono fare le fortune personali e disfare, se
sbagliate, intere fortune di governi, coalizioni, elettorato.Va da se che questi consigli
sono qui dati a Silvio invece nella sovrabbondanza del dare di chi a nulla mira di
direttamente personale, se non a fare perseguire obiettivi in cui l'interesse comune
e distributivo risulti prevalente su forme di cointeressenze diverse di natura spregiudicata
e corriva, cioè strettamente rispondente a interessi personali, di gruppi e, soprattutto,
di natura partitocratrica.
Premesso che il responso elettorale ha mantenuto entro condizioni di oscillazione contenuta
e al di sotto del prevedibile il riflusso dei voti per il Polo delle libertà, e che Silvio
Berlusconi non perde occasione di essere inguaribile protagonista anche quando dice la
verità, come nel caso dell'essersi definito il "parafulmine" per le forze minori della
coalizione, e premesso che troppo anticipatamente aveva richiesto un responso su quanto
in tre anni ha fatto il suo governo quasi senza parlare dei problemi e degli obiettivi
europei, vediamo quali consigli potergli dare.
Il primo, relativo al suo ruolo oltre la mera immagine, ruolo che egli consegna
contemporaneamente alle cronache e alla storia, non è certo quello di potersi definire
uno statista, neanche piccolo piccolo. Non solo per questioni di forme scelte, cosa che
un comunicatore come lui avrebbe dovuto capire sin dall'inizio e a cui avrebbe dovuto
rimediare a pochi mesi dal successo elettorale, è quello dell'enfatico e poco immaginativo
e poco suggestivo ma puramente "mercataro" termine di "contratto con gli italiani". Capisco
bene le intenzioni e le finalità che lo hanno mosso, il voler dimostrare che efficienza,
determinazione e perseveranza nelle scelte, tempismo lodevole sarebbero state le
caratteristiche del suo governo, caratteristiche atte a dare una vera svolta nella storia
dei governi nazionali. Ma le intenzioni e l' "appeal" che intendeva suscitare dovevano
pure essere riassorbiti entro una logica politica superiore, che è quella e soltanto
quella di servire la nazione non come si serve il cliente con il contratto chiavi in mano.
Scadente al massimo, dunque, l'avere voluto mantenere questo cliché. Elevarsi al ruolo di
statista, porta a considerazioni e soprattutto a constatazioni affatto diverse. Lo
statista insiste sui pilastri fondamentali della società e delle tradizioni nazionali.
Il mercante insiste sulla falsa "logica" delle immagini con pacche sulle spalle denti da
reclame per dentifrici e sorriso che ti dice "guarda come ti convinco e come ti sono amico".
In queste mere osservazioni non pagate, non vi è finora una ipercritica, quanto una serie di
istantanee, epidermiche impressioni. Elemento comune fra un buon politico, un valido
sociologo al servizio di ricerche di mercato e un grande imprenditore è quello di
considerare come obiettivo al massimo pagante l'individuazione di quelle fette della
popolazione o del mercato potenziale che nel corso dei diversi segmenti temporali (entro
cui raggruppare gli indici statistici di almeno gli ultimi trenta anni) che hanno avuto
di più, che hanno mantenuto un medesimo standard, ovvero che hanno avuto di meno o che sono
state completamente declassate. L'errore di Silvio è stato lo stesso delle classi politiche
che si incancreniscono, ad iniziare da quelle presuntamene democratico-socialiste o comuniste
di tradizione nostrana: è stato quello di riconfermare e rafforzare i politburo e i gruppi
dei beneficiari nella ridistribuzione dei benefici dettati dalla nomenklatura di turno.
A nulla serva trarre vanto della riforma fiscale e della declamata ulteriore riduzione delle
tasse, ad esempio, se egli con capisce che prima deve ristabilire una giustizia distributiva
lungamente obnubilata, adeguando ai livelli europei non certo i ben pagati ma gli stipendi
dei professori e dei funzionari ministeriali e non certo regionali, ad esempio. E che a
poco serva ancora la diminuzione del carico fiscale nazionale se al suo interno non si
calcola l'enorme aumento delle tasse regionali e locali e il costo delle inefficienze,
delle improduttività, dei ritardi e delle sovrapposizioni e delle vessazioni prodotte dalla
nuova burocrazia nata dalle sciagurate leggi "federaliste" che non avvicinano ma
allontanano ancor più il cittadino. Egli ha qui da cambiare completamente registro,
sfidando apertamente i leghisti e l'imbelle e trasformista "destra delle regioni" a
riconsiderare il tutto dando il ruolo propulsore alle province e lasciando alle regioni
quello normativo e di controllo.
Torniamo ancora alle attenzioni di uno statista. Questi si preoccupa del coinvolgimento
"umanitario" e di interposizione ai fini della pace delle nostre truppe, ma non di meno e
prima ancora si preoccupa di pensare in termini di logistica, ammodernamento e programmazione
delle risorse, di reinvestire insomma prima del depauperamento e dello scadimento dello
strumento militare che sopravvive poco e male. Si preoccupa anche dello sfruttare le
eventuali nuove condizioni di successo che si presentano agli obiettivi della nostra
politica internazionale, zittendo Casini e gli altri sproloquianti in merito alla riforma
del Consiglio di sicurezza dell'ONU. L'Italia, con il suo non indolore e obiettivamente
problematico intervento in Iraq, ha salvato da una grave lacerazione i rapporti fra l'Europa
e gli USA, ma anche -all'interno dell'Europa - i rapporti con la Gran Bretagna. L'Italia,
già quinto finanziatore dell'ONU e terza tra le nazioni coinvolte a vario titolo in missioni
all'estro per quantità di uomini,. mezzi e costi, sta dando prova di così tanto mai vista
prima coerenza negli impegni con i maggiori alleati, coerenza che mantiene nonostante i
problemi, le perdite di uomini avute e le presumibili ulteriori perdite, il quadro economico
interno che è di ulteriore condizione di stagnazione economica. Questa iniezione di fiducia,
di cui il merito va a Silvio Berlusconi, favorisce in maniera eccezionale il ritorno del
gioco a nostro favore per richiedere il seggio permanente nel futuro, riformato Consiglio di
sicurezza dell'ONU, facendo cadere il preesistente e ancora esistente veto dell'alleato
americano. Questa pedina è di importanza eccezionale, ma ancora risulta neppure considerata
dalla classe politica italiana, tutta presa dai giochi di cortile. Una pedina che ci si
impone non per ambizione e che ci obbliga ad uscire dalla condizione di "minorità" politica
internazionale auto-impostaci dalla fine del dopoguerra, tanto da essere - per quanto con le
dovute proporzioni - come i giapponesi fino agli anni'70, un nano politico e una potenza
economica. Un nano politico che ancora oggi si autodefinisce mera "potenza regionale" che
tuttavia ha ambito, contraddittoriamente, sedere nell'ambito del G7.
Berlusconi si vanta di avere elevato le condizioni dei pensionati che vivono in povertà,
ma non vede come la riforma delle pensioni da lui imposta, senza avere prima fatto ricorso
ad adeguati strumenti retributivi, produrrà nei prossimi anni una cascata di neo-pensionati
privi del mino di autonomia economica. Sulla Scuola, nella piccola brochure, Silvio ha scritto
soltanto balle, balle immense di sapore dei tempi che furono, dei tempi craxiani, o
democristiano-comunisti, li si chiami come vuole. Balle che camuffano totalmente la realtà
delle cose. Salvo il dimostrarsi buon venditore di parole e di fumi. Le scelte qualitative,
pedagogiche, di risorse e delle retribuzione dei professori (capiamoci sulle parole, con
dati e repertori statistici: dei professori delle secondarie superiori e inferiori) e il
nome di Adornato, che pare svolgere il ruolo di vigilantes sulla Moratti, lo confermano.
Infine, cosa davvero futile, debole , impietosa, ricorrere all'abbattimento dell'Irap per
la ricerca, per la quale gli investimenti pubblici e privati dovrebbero essere immensi e
non bruscolini da terzo mondo, è un'inezia da birbaccioni.
Su queste cose, essenzialmente su queste, oltre che sul non sabotare ulteriormente la
"convenzione europea" frutto dei "lumi" e delle radici ellenico-latino-germaniche e
in ultimo, in verità, slave e non delle fedi ebraico-cristiane (per le quali ultime,
nel versante cattolico, non bastano le richieste di perdono del papa: i catari, i valdesi,
i sociniani, gli ussiti e i tanti e tanti gruppi e singoli individui cristiani e non
cristiani massacrati, condannati, discriminati e dispersi dalle istituzioni secolari al
servizio della chiesa gridano da secoli giustizia; e tanto meno basta il grande
riconoscimento finalmente tributato dai neri gesuiti su "Civiltà cattolica" al
bicentenario del "Codice napoleonico": troppo, troppo poco, se si pensa che si approfitta
subito dopo di intorbidire le chiare acque della laicità dello Stato e di metamorfizzare
repentinamente e pericolosamente la fede che, entro e soltanto entro il suo ambito, è,
sempre e dovunque, una ricchezza per l'umanità).
Poche cose, Silvio, per un essenziale vademecum, valide a portarti al confronto elettorale
di fine mandato. Ma valide anche per dei saggi avversari. Poche cose per realizzare un
governo credibile, equo e competitivo nei raffronti con gli altri popoli, e non un ennesimo
governo dell'incredibile. Dimenticavo. Su Gianfranco Fini, l'ultimo antifascista che
gioca nella tiritera clericale, ti consiglierò alla prossima occasione.
Domenico Cambareri
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