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Latina. Cucù le radici cristiane non ci son più. Domenico Cambareri: «Molti dei nostri politici neopapalini dovrebbero rassegnare le dimissioni»
Ancora. Non basta proprio. Le imprevedibili, ininterrotte sequele di "rammarico" per la
mancata citazioni delle "radici ebraico-cristiane" nella Costituzione europea vedono quelle
di Tajani e perfino del Presidente del Senato della Repubblica, Pera. Per Pera a questo
punto non può valere che quanto che ho scritto su Casini: doverose, obbligate dimissioni.
È incredibile come i massimi vertici della Repubblica, ad eccezione del Quirinale, in
questi giorni stiano facendo a gara per violare nei modi più patenti la riservatezza
personale in simili questioni e la custodia delle istituzioni, che si reggono su un principio
basilare, la distinzione fra potestà politica e sfera religiosa, ovvero del principio di
"libera chiesa in libero Stato".
Le condizioni di regressione di fronte a cui ci troviamo di giorno in giorno in maniera
sempre più inaspettata e accentuata, inducono a dire che questo governo e questa maggioranza
si sono fissati una scadenza non lontana per la fine del loro mandato. È naturale e necessario
già da adesso cominciare a considerare e pretendere che i partiti enuncino in maniera
chiara quale sarà la propria posizione in merito alla laicità della sfera politica e
delle istituzioni, in maniera precisa e dettagliata. La prossima legislatura non potrà
e non dovrà più produrre ripetute incresciose situazioni di perdite di tempo per questioni
disseppellite per bassa strumentalità e di insignificanti fini elettoralistici da
parte della coalizione al potere. Bassa e insulsa strumentalità che irride al rispetto
del senso genuino, originario e davvero sacro del religioso, che certo non può essere
rappresentato dalla Chiesa cattolica a titolo di diritto dei suoi propri fedeli.
Né di cotanto s'avvedono i fresconi demagoghi e promotori e tramatori di congreghe
clerico-politiche, del danno effettivo che stanno cominciando ad arrecare alle condizioni
della stabilità interna, né di come impietosamente mostrano conati e rigurgiti neopapalini
in un'Europa in cui la gran parte dei cristiani dimostra da tempo di considerare
le cose e di ragionare in maniera affatto diversa. Non solo i cattolici, ma anche
le maggiori chiese riformate, che ebbero non meno di Roma grandi responsabilità
nello sfornare teologie politiche dalle conseguenze nefaste. In particolare, in
Francia, abbiamo un modello pieno, completo e condiviso di laicità delle istituzioni
civili che i nostri esponenti di governo invece vogliono totalmente contraffare.
Inoltre, per quanto si possa difendere il proprio punto di vista - che qui non è
quello che è stato spacciato per punto di vista italiano, posizione affatto non
rispondente a quello che sembra essere l'opinione più diffusa fra gli italiani
e a quello che per questioni di principio e di garanzia dei principi etico-meta-politici
medesimi è -, bisogna alfine essere rispettosi del principio maggioritario,
superiore di ben più di tre volte nell'assise degli Stati dell'Unione. Questa
è una strada cieca, di cui non vedo sbocchi positivi. Essa anzi porta a divisioni
all'interno della base elettorale, delle alleanze e delle aggregazioni del Polo,
a creare inaspettate diffidenze e disistima e a promuovere chiarimenti che non
possono che fare imboccare strade diverse. Cose nemmeno accadute nell'Italia del
collasso degli anni settanta-novanta. E cosa diranno in ambito europeo e più
ampiamente internazionale su tutto ciò gli autori di codesta infelice stagione
neopapalina? Non certo parleranno dei giochi al rialzo e d'azzardo
dell'episcopato italiano, o dei concreti interessi materiali che si celano dietro la fede.
Domenico Cambareri
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