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Latina. Premio per la Saggistica: vince Giulio Albanese. «Io credo che il giornalismo dovrebbe recuperare una funzione critica e culturale»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Giulio Albanese, vincitore del Premio
per la Saggistica con il suo "Il mondo capovolto" (Einaudi).
Lei ha parlato, tra l'altro, di una necessità di rivedere la professione giornalistica.
In che senso? «C'è un grosso paradosso. Noi viviamo in questo villaggio globale dove
l'informazione viaggia in tutto il mondo alla velocità della luce. Poi abbiamo un panorama
giornalistico molto provinciale. Prime pagine per il delitto di Cogne, Leno,
per la contessa Vacca Augusta, c'è un'attenzione spesso esagerata per le battute dei
politici e poi ci si dimentica di tante altre cose. Si è parlato della guerra per la
democrazia in Iraq ignorando le tante guerre per le periferie del mondo. Essere
giornalisti vuol dire andare controcorrente, essere voce della società civile.
Non si può fare questo mestiere con i comunicati stampa, con un tipo di giornalismo
diciamo così molto istituzionale, spesso ad ascoltare solo la voce del padrone.
No, bisogna ascoltare la voce della gente. Mi viene in mente quello che diceva
il grande Sergio Lepri, l'ex direttore dell'Ansa: "Oggi non sono più i giornalisti che
cercano le notizie ma le notizie che cercano i giornalisti". Ecco, oggi ci
dovrebbe essere una seria autocritica. Dovremmo smetterla di essere corporazione.
Dobbiamo essere segni di contraddizione. Basta con le previsioni del tempo ed il calcio
mercato nei telegiornali, basta con i fornelli e le beautyfarm. Bisogna mettere
al primo posto la persona e questa è una grande responsabilità sociale».
Andrea Apruzzese
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