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Latina. Doolin Street. Dopo la proposta di salvare le rotonde dagli artisti locali, Maria Corsetti sul Fiore di Luce: «Forse il nome è sbagliato»
Caro Mauro, ero in pellegrinaggio mistico alla Guinness Factory, a Dublino, e la pinta mi faceva compagnia. In quella terra di scrittori la mia ispirazione registrava quota zero. Lo sguardo pascolava vuoto tra gadget e libri, quando ho visto una raccolta di aforismi di Oscar Wilde. Ti giuro, non l'ho fatto apposta, non ho cercato proprio quella massima che mi si è parata per prima davanti agli occhi nell'aprire il volumetto: "All bad art is the result of good intentions". Un flash, un'illuminazione. Improvvisamente la luce. O meglio il Fiore di Luce. Si è fatto largo nella mia mente il ricordo di lui, del Fiore lasciato a Latina, trascurato per una settimana.
Tornata in terra pontina, il 14 di agosto sono andata a trovarlo: desolato in mezzo al traffico, con un contorno architettonico che insomma, alla fine, lì in mezzo il Fiore ci può anche stare. Mi sono sentita in colpa, gli ho scattato una foto, che, una volta scaricata sul computer, mi ha fatto riflettere.
In effetti siamo in presenza di un artista: il fotografo autore degli scatti all'inaugurazione del Fiore. Perché se vai a vedere la foto abbinata al mio pezzo del 26 giugno scorso - ed il cui link tu diligentemente riporti ad ogni puntata di Doolin Street - e la paragoni a questa mia qui a lato, converrai che la differenza è notevole. Vabbé, mi dirai, e che significa? Si sa che il fotografo valorizza. Sì, ma questo ha fatto miracoli. La luce rosa in contrasto con il turchese del cielo, l'erba dell'aiuola che più verde non si può, lo spicchio di luna. E che c'entra lo spicchio di luna ed il turchese del cielo, mica sono merito del fotografo, quelli ci sono a prescindere. Invece c'entrano perché il fotografo ha scelto il momento giusto, se guardi quell'immagine hai l'illusione che la rotonda di via del Lido sia sempre così, i colori delle Mille ed una notte e l'artificio immobile di The Truman Show.
Ma la realtà è un'altra cosa e devo dirti che ho scoperto un certo fermento intorno al Fiore: in molti si adoperano per trovargli un appellativo più confacente alla forma. Quando l'ho definito carciofo di latta, mi è stato fatto presente che assomiglia di più ad un finocchio. C'è anche chi lo chiama con il nome di una nota marca di prodotti intimi di esclusivo uso femminile. Alle volte il nome conta più della sostanza, pensa a "L'insostenibile leggerezza dell'essere" di Kundera, libro gradevole, ma il cui successo è da ascrivere in parte sicuramente al titolo. O anche a "Và dove ti porta il cuore" e qui il successo è dovuto prevalentemente al titolo oltre al fatto che il romanzo di Susanna Tamaro è di una intelligentissima brevità.
A questo punto, visto che il Fiore di Luce ce lo dobbiamo tenere (e sai che ti dico, anche se lo togli l'estetica di quel luogo non è che ci guadagna granché), visto che non siamo maligni e diamo per scontato che alla sua origine ci siano good intentions, adoperiamoci per trovargli un nome dignitoso. Che secondo me oramai è sempre spento per la vergogna, che quel nome da signorina mezza isterica non gli va proprio giù.
Maria Corsetti
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