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Latina. Integralismo e libero pensiero. L'unica setta con il copyright della verità, e una massa di poveri coglioni che sguazzano nell'eresia
Caro Andrea. Il signor Carlo Maria Martini sarà cardinale per te. Non per chiunque non
appartenga alla tua religione, e ti ricordo che per un autorevole Istituto di statistica (anche
se per me la statistica è una credenza quasi come una religione) "solo" il 22% degli
italiani si dichiara cattolico. È la maggioranza relativa, in Italia, tra le confessioni
cristiane e le religioni. Ebbene, nel rimanente 78% non ci sono solo le altre "credenze"
religiose; ci sono gli atei, gli agnostici, gli indifferentisti e c'è chi, come me, prova a
farsi carico
di una posizione storicamente e filosoficamente più consapevole. Quindi è un 78% piuttosto
variegato e non uniforme nel rapporto con la trascendenza. Ma per tutto questo 78% il "signor"
Carlo Martini è un "professore" in quanto Rettore Magnifico della Pontificia Università
Gregoriana che, sia detto per inciso, non so nemmeno se sia riconosciuta dallo Stato Italiano
(non è che uno la mattina si sveglia e si inventa un corso di laurea). Altri titoli,
celebrativi e pretenziosi come sanno essere quelli dei tuoi amici, non hanno cittadinanza o
diritti al di fuori della gerarchia ecclesiastica. Altrimenti si rischia di legittimare
"eccellenze" e "sante sedi". Potrai innervosirti quanto ti pare ma siamo usciti dal medioevo
e per la nostra civiltà Carlo Maria Martini vale quanto l'evangelico Claudio Zappalà di
Sonnino. La differenza è che Zappalà la cattedra non ce l'ha manco all'Interstudio.
Per quanto riguardi le mie "opinioni" che sarebbero solo "mie", non fare il Masaniello della
conoscenza. Già i greci distinsero tra doxa ed episteme. Hegel tra "verità filosofica" e
"senso comune". Ed è sempre Hegel, con sprezzante ironia, che fa l'esempio del ciabattino.
Non basta avere mani e cuoio per fare delle scarpe. Ci vuole il "mestiere", l'"arte".
Mentre qui sembra che tutti vogliano fare filosofia. Ma un intellettuale deve distinguere.
Una cosa sono i catechismi di una fenomenologia religiosa, con la sua "presunzione
acritica di verità belle e fatte" (Hegel paragona i catechismi ai proverbi popolari),
altra è l'esposizione filosofica. Nel primo caso uno naviga nel fiume quieto e
rassicurante del buon senso, producendo al massimo una retorica infiorettata di verità
banali. Nel secondo caso si fa scienza. E, scusami, non è la stessa cosa. Ancora con le
parole del wittemburgese: «Su questa via ordinaria si può camminare tranquillamente in
vestaglia. L'altro sentimento dell'eterno, del sacro, dell'infinito, invece, percorre
in abiti sacerdotali un cammino che è piuttosto esso stesso l'immediato essere-nel-centro,
la genialità di idee profonde ed originali e di sublimi lampi del pensiero». Se poi per te
l' "opinione" di chi accetta acriticamente una credenza in nome di una "fede", che per sua
natura è priva di ogni determinazione, e l' "opinione" della filosofia occidentale pari sono,
è un problema tutto tuo.
«O si fa della teologia o si fa della filosofia (con buona pace di Sant'Agostino)», scrivi.
Sì, ma per riadoperare una seconda volta Giordano Bruno Guerri: la teologia sta
alla filosofia come il tressette o le bocce stanno alle Olimpiadi (con buona pace tua).
Ed Agostino d'Ippona, che io non considero santo, almeno è uno serio, visto che ormai in
nome degli umori e dei sentimenti popolari si fanno sante pure la bimbette che muoiono
(forse) per difendere la loro verginità o gli imbroglioni che si bucano da soli le mani
e che vi versano su la tintura di iodio. Come dire? A questo punto viva viva Sant'Angostino!
Quindi dal 1997 ad oggi l'atteggiamento di ParvapoliS, che tu giudichi "oltremodo offensivo"
io lo trovo "educativo". Mazziniano. Anche le cautele per non urtare la sensibilità
delle masse contadine e popolari, per dirla con Gentile, su Internet non hanno senso,
visto che non credo si colleghino i contadini. E la "missione del Dotto", mi piace tanto
sta frase ma l'ho copiata sana sana da Fichte, è proprio questa. L'intellettuale o, più
in generale, l'operatore della comunicazione non deve farsi grasso e bello del suo sapere,
deve condividere, deve fare strada, deve stimolare la riflessione. Ed anche la "provocazione",
in un processo di comunicazione, è una figura della retorica che sortisce un effetto.
Sul preteso "giornalismo obiettivo": è un'altra credenza. A dire il vero,
meno diffusa. Anche perché mi sembra che ci credi solo tu. La differenza è che qui almeno
non c'è un magistero. Non so se si celebra un rito particolare all'Ordine dei giornalisti.
(Comunque non sono mai stato invitato a questo genere di cerimonie. Eppure pago. Non
potrei fare il direttore responsabile senza pagare).
Il "raccontare" è già di per sé "soggettivo". Non esiste una comunicazione neutra. C'è
chi comunica e c'è pure chi riceve il suo messaggio. Anche il pubblico ha le sue attese,
i suoi pre-giudizi, le sue categorie mentali con cui "interpreta" un messaggio. Ci sono
stati almeno 80 anni di studi sull'argomento. Invece tu hai l'aria di chi prende
tremendamente sul serio un luogo comune. Ne fai quasi una questione d'onore. Di deontologia
professionale.
Come se il male della professione fosse questo e non, metti caso, che diventa giornalista
pure un 17enne bocciato all'industriale che per due anni scrive articoli sulla squadra
degli esordienti dove giocherà mio figlio. Credo che oggi sia soprattutto per questo
se il giornalismo è diventato "un modo per campare" – come canta Vecchioni – e non uno
"strumento per far crescere".
Prendiamo il caso in questione. La tua risposta indispettita non è che una ulteriore
dimostrazione che tu non sei obiettivo, sei semplicemente dall'altra parte. Solo che, in
perfetta sintonia con la "fede religiosa", vuoi spacciare la tua faziosità per obiettività,
così come il cattolicesimo vuole spacciare le sue credenze come interpretazione unica
ed autentica del sacro. Questo atteggiamento settario traspare anche dalle tue parole:
«E questo suo accanirsi contro le religioni sembra proprio una rabbia, quasi una vendetta per
non aver ricevuto il dono di poter credere». Diciamo che sembra una frase dettata dalla
Curia. L'ipotesi che ci possano essere altre fedi o altri approcci al sacro non viene
nemmeno contemplata. C'è una verità, ovviamente la tua, e ci sono quelli che tu chiami
"errori di approccio". Io, come la filosofia occidentale, come le altre religioni abbiamo
tutti lo stesso "errore": non abbiamo accettato la fede e, soprattutto, non abbiamo accettato
il magistero di chi su questa fede ritiene di avere il copyright. Almeno siamo nel duemila
e in questo abbiamo avuto culo. Una volta se stavi in Europa ti bruciavano. Se stavi
fuori non c'era problema perché manco sapevi tu dell'esistenza del Vaticano. Figurati loro
se sapevano della tua. Questa pretesa "fede" e questo magistero che la chiesa ha
attribuito a se stessa non hanno avuto la forza di manifestarsi in 3/4 del pianeta. E
questo per te è un dettaglio. E c'è un altro dettaglio su cui taci: il cattolicesimo non
ha il monopolio dello stesso cristianesimo; anzi, proprio dopo ad "Ut Unum Sint"
(l'enciclica papale, non il mio libro) è stato persino emarginato dalle altre grandi
confessioni. E questo, per te, è essere "obiettivo". Andare a mettere un microfono in
bocca al professor Martini cercando di non sbrodolare troppo e baciandogli l'anello.
Mauro Cascio
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