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Latina. Comunicare oggi. Mario Morcellini: «Noi dobbiamo educare i giovani, non assecondarli». Il mito di Scienze della Comunicazione

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Mario Morcellini, Direttore del Dipartimento di Sociologia della Comunicazione presso l'Università La Sapienza di Roma. Riprendendo il tema del convegno organizzato dall'Assindustria di Latina per il suo 60° anniversario, "Comunicare l'impresa", qual è la rilevanza della comunicazione aziendale, interna ed esterna, e quale la sua efficacia oggi? «Dobbiamo partire innanzitutto dall'importanza della comunicazione, perché oggi ci sembra una forte restituzione culturale e di generazione venirne a parlare qui a Latina. Che cos'è la comunicazione, in una città stessa il cui messaggio storico è quello di aver coltivato, educato, dissodato un ambiente ostile? è la presa d'atto che nella modernità abbiamo il dovere di rendere gli eventuali conflitti più competenti e più informati, ma anche di renderci conto che la vita non è solo conflitti, ma è soprattutto partecipazione, condivisione, comunicazione tra le persone. Da questo punto di vista, soprattutto, può e deve valorizzare - più che in passato - gli elementi positivi (non solo le disgrazie e le notizie negative) che devono costruire un tessuto connettivo più competente e paradossalmente più funzionale al benessere di tutti. Con uno slogan, la comunicazione è benessere: economico, materiale ma soprattutto spirituale». Capita a volte, nella vita di un'azienda, che vi siano non solo eventi positivi ma anche negativi: è però necessario anche rendere trasparenza su questi ultimi? «Sì, tutto questo va sotto il nome della comunicazione di crisi. La comunicazione aiuta a superare, senza infingimenti, senza mitologia, e quindi anche senza "fregare" le persone, le inevitabili contraddizioni del mondo moderno, tant'è vero che tutte le imprese di successo hanno sfruttato profondamente la comunicazione, quindi possiamo dire che la comunicazione è un elemento di successo». Il Sindaco Zaccheo ha rilanciato l'impegno ad avere a Latina anche la facoltà di Scienze della Comunicazione. Quando sarà possibile? «I dati che abbiamo illustrato in questo convegno, dimostrano che quasi un terzo degli studenti universitari di Scienze della Comunicazione (esclusi quelli di Roma, naturalmente), provengono dall'area del Sud del Lazio, e soprattutto da Latina. Latina da sola incide per il 22%, quindi quasi uno studente su quattro. Noi dobbiamo perciò a questa comunità qualche restituzione. Il Sindaco ha avuto parole impegnative. Noi a nostra volta assumiamo l'impegno - nonostante la crisi dell'università - di progettare interventi formativi che tengano conto della passione degli studenti di questa area storica e culturale nei confronti della comunicazione». Scienze della Comunicazione nasce nel 1992, sono quindi molti anni che crea laureati in questa materia. Permangono però ancora alcune difficoltà con l'Ordine dei Giornalisti, secondo cui da una parte è giusto che siano laureati gli aspiranti alla professione giornalistica, ma dall'altra parte afferma che c'è un problema di numeri per il successivo ingresso nel mercato del lavoro giornalistico. Qual è oggi la situazione con l'Ordine? «È a metà strada, nel senso che noi dobbiamo rispettare la domanda formativa che viene dai giovani: è per noi un segnale più importante dell'attuale resistenza del mercato. Al tempo stesso rispettiamo però anche la soggettività dell'Ordine dei Giornalisti nel ricordarci i parametri del mercato. Io penso che tra le nostre resistenze reciproche, troveremo un punto di incontro che salvaguardi il valore della corporazione universitaria (educare gli animi) e salvaguardi però anche il rispetto delle compatibilità economiche e d'impresa». Scienze della Comunicazione ha costruito in questi anni uno staff di docenti con grandi professionalità, tra le quali alcune forse un po' "particolari": non si rischia a volte di disorientare gli studenti? «Sì, il rischio c'è: in qualche caso siamo anche al di là del rischio, cioè abbiamo commesso degli errori, il che è tipico di una struttura formativa generosa, ma con pochi aiuti da parte della politica e della stessa università. Sono rischi ed errori che ci dovremo far perdonare, ma riteniamo che i meriti dell'aver assecondato questo cambiamento culturale siano senza prezzo rispetto ad eventuali incidenti che tuttavia vediamo - non dico con simpatia - ma come elemento di superamento. I professori a contratto sono una straordinaria esperienza, quando capiscono che la missione dell'università non è quella di assecondare i giovani, ma di educarli. Quando li assecondano, commettono un errore di prospettiva che di fatto li colloca in un'altra esperienza che non è l'università».

Andrea Apruzzese

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