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Latina. Comunicare oggi. Alberto Abbruzzese: «L'informazione in Italia si sta appiattendo sui modelli televisivi. Qui manca la civiltà»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS con Alberto Abbruzzese, ordinario di Teorie e Tecniche
delle Comunicazioni di Massa presso la Facoltà di Sociologia dell'Università La Sapienza di
Roma. Qual è lo stato della comunicazione oggi in Italia?
«Stazionario: come sistema sta vivendo delle contraddizioni e trasformazioni interessanti
anche in altri contesti. La comunicazione in Italia ha una caratteristica: esaspera
la comunicazione televisiva. È un paese di scarse tradizioni sociali e civili, e non
poteva che affidare tutto alla televisione. Questo affidamento alla televisione ha reso
l'esperienza televisiva italiana straordianariamente più ricca di altre esperienze e
proprio per questa ricchezza di eccessi che ha vissuto la televisione (in tutti i campi,
dalla politica alla società, dall'economia, dal marketing alla pubblicità, alle piccole
e grandi narrazioni quotidiane), ci sono oggi grandi squilibri e forti barriere nei
confronti dell'innovazione. Intendo dire che la pubblicità fatica ad investire su altri
media, quindi è ancora ossessionata dalla televisione, la politica è influenzata dai
linguaggi generalisti delle grandi audience, mentre la telefonia mobile - e questo è
un aspetto interessante - si è sviluppata enormemente proprio perché faceva affidamento
sul corpo mediatico del tinello domestico; invece Internet, che richiedeva una cultura
in qualche modo civile, perché nasceva dalle reti militari o universitarie, o da una cultura
in qualche modo alfabetica, costituisce un elemento arretrato. Paradossalmente però, accade
che in questo suo gioco tra arretratezza e scavalcamento di vuoti che ha caratterizzato
la comunicazione in Italia, il nostro Paese è una sorta di laboratorio che spesso
funziona anche rispetto ai paesi più avanzati».
Ma il panorama mediatico in Italia - che sta cambiando velocemente anche a causa
dell'arrivo di nuove tipologie di media, come ad esempio i tg via satellite o addirittura
i tg sul telefonino - che strade prenderà, considerando anche che i quotidiani
tradizionali sono schiacciati proprio da questi nuovi media sempre più "di massa"?
«Penso sia molto difficile stabilire il futuro. Potrebbe essere facile solo se noi
ritenessimo che le costanti che fino ad oggi si sono mantenute nel nostro sistema
(cioé piccola fascia di lettori, grande fascia di consumo televisivo generalista,
accanto a resistenze su una offerta settoriale specializzata di nicchia) restino stabili.
A questo punto noi potremmo dire che il mondo dei lettori andrà diminuendo. Però
è difficile stabilirlo. Poi potremmo fare l'ipotesi che la struttura stessa
del linguaggio televisivo sia destinata a scomporsi in modo molto rapido. Però
non possiamo sapere se reti, satellite, cablato, persino la TV sul cellulare,
in qualche modo possano fare la scelta di innovazione di linguaggi personalizzati,
di forme di comunicazione esperienziali (legate cioé all'esperienza e non alla
comunicazione scritta), oppure restino vincolate al vecchio sistema.
La televisione italiana, che tutti si ostinano a ritenere un fenomeno di degradazione,
ha invece dimostrato di tradurre le culture tradizionali in linguaggi popolari.
Questa è stata la grande chance che si è giocata: ma per cogliere l'innovazione
ci vogliono processi di ricerca e formazione».
Ma al ricevente, cioè al fruitore della comunicazione, cosa arriva di tutto ciò? Ovvero,
ribaltando la domanda, se e quanto è efficace tutta questa comunicazione mediatica?
«Si sono create delle forme di efficacia della comuncazione ormai totalmente scollegate
rispetto a quella che noi riteniamo la comunicazione tradizionale e la visibilità
di questa comunicazione. Credo che ormai la diffusione dei messaggi si realizza ai
margini o nelle fessure della comunicazione tradizionale. Quindi non è tanto
interessante sapere cosa scrive il giornale o come è stato trasmesso un TG, ma
è interessante sapere in quel determinato microambiente cosa funziona e come
quel microambiente si colloca nella società civile».
Andrea Apruzzese
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