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Roma. I poteri della mente e gli stati di coscienza. Moshe Idel: «Il pensiero ebraico si sviluppò a partire dall'eredità greca ed ellenistica»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Moshe Idel, Rettore dell'Università di Gerusalemme,
allievo di Gershom Sholem ed autore di una vasta produzione saggistica che ne fa,
ad oggi, il punto di riferimento pressoché esclusivo degli studiosi di tutto il mondo
in materia di Qabalah e pensiero ebraico. Idel è il fiore all'occhiello del Rito
Scozzese Antico ed Accettato che lo ha voluto in occasione del suo quarto convegno
nazionale dedicato quest'anno al tema "I poteri della mente e gli stati di coscienza".
Tema trattato dall'illustre ospite, in riferimento alla tradizione cabbalistica
e hassidica.
«Nelle sue due principali forme, l'Ebraismo è una religione di adempimenti anche gestuali.
Questa affermazione riflette l'enfasi che la forma biblica e quella rabbinica pongono
sull'importanza suprema dei comandamenti, che sono atti compiuti per la stragrande
maggioranza per mezzo degli arti umani, in brevi rituali. Il corollario di questa affermazione
è che altri tipi di attività umana, intellettuale o emozionale, seppure non assenti, sono
tuttavia meno importanti dal punto di vista religioso nei due strati dell'Ebraismo.
Questa osservazione è avvalorata sia dal notevole ruolo rivestito dalla descrizione dei
comandamenti nell'economia generale della letteratura biblica sia, su un piano negativo,
dalle sintetiche descrizioni degli aspetti emozionali della vita umana in determinati casi,
quando l'odierno lettore si aspetterebbe una descrizione più elaborata. Illuminante è
la distinzione di Erich Auerbach tra lo stile ellittico biblico e quello greco, in particolare
nel caso del silenzio del ritratto biblico di Abramo nell'episodio del sacrificio di Isacco.
Ciò che Auerbach non ha tuttavia evidenziato è il fatto che la Bibbia è molto meno ellittica
quando tratta dei particolari e dei numeri dei comandamenti. Detto questo, non vi è dubbio sul fatto che
le altre cosiddette attività spirituali non siano del tutto assenti nelle antiche letterature
ebraiche. Filone di Alessandria è un modello di riflessività religiosa che si sviluppò
ricorrendo a tematiche platoniche e medio platoniche, creando una nuova forma di giudaismo
ellenistico, ed ebbe un enorme influsso su alcune forme di spiritualità cristiana.
D'altro canto, qualche tempo dopo, i Rabbini, nei centri palestinesi e poi babilonesi,
enfatizzarono notevolmente l'importanza dello studio della Torah, un tipo di analisi
estremamente complesso delle informazioni scritte ed orali. Si tratta senza dubbio
di una nuova enfasi rispetto alla Bibbia, che se dobbiamo ricordare che il telos di
quelle riflessioni non era la costruzione di sistemi astratti, visioni del mondo cosmologiche,
psicologie o anche antropologie, come riscontriamo nelle fonti greche ed ellenistiche, ma
l'elaborazione di un sistema articolato di atti religiosi. La letteratura talmudica e tutti gli
altri sviluppi letterari rabbinici che ne derivavano, gravitano intorno ai particolari
"mancanti" o impliciti dei comandamenti nella Bibbia o all'aggiunta di nuovi comandamenti.
Le forme bibliche e rabbiniche dei comandamenti erano, tuttavia, non soltanto sterili
atti da compiere per riverenza, paura o ubbidienza, ma anche per conseguire uno stretto
rapporto con Dio. A differenza dell'interpretazione dei Farisei fornita da Paolo, secondo cui
le lettere uccidono e lo spirito è sorgente di vita, i Rabbini ritenevano, almeno in alcuni
casi rilevanti, che anche gli atti fossero modi di esprimere un orientamento spirituale.
Così, per esempio apprendiamo in un passaggio del Talmud: "Knesset Israel dice a Dio:
'Signore del Mondo, molti più precetti di quanti Tu mi abbia imposto, io ho imposto a me stesso
e li ho rispettati'". Questo passaggio può essere addotto come esempio per illustrare
l'ipertrofia del rituale nel rabbinismo, una religiosità intesa come tendenza a una proliferazione
di precetti, proprio come potrebbe rispecchiare una concezione erotica di tali precetti.
Tuttavia, a partire dal IX secolo, alcune élite ebraiche si rifecero sempre più all'eredità
filosofica greca ed ellenistica mediata fondamentalmente dagli arabi. Questo sviluppo
raggiunse il culmine verso la fine del XII secolo, nel sistema teologico di R. Moses ben
Maimon, detto Maimonide, che adottò il neoaristotelismo arabo, nei suoi aspetti teologici,
cosmologici e psicologici, come proprio principale ambito speculativo.
Ciò segna la trasformazione delle precedenti forme di ebraismo in sistemi a metà tra i primi
modi di osservanza dei precetti e i nuovi approcci intellettualistici. Questa ritrutturazione
dell'ebraismo è uno sviluppo assai importante, le cui profonde implicazioni furono percepite
dalle élite conservatrici, che avviarono una vivace polemica contro Maimonide. Tali controversie
sono, senza dubbio, i più affascinanti dibattiti della storia intellettuale ebraica
mondiale e moderna. Esse si svolsero con varia intensità, a partire dalla fine del XII secolo e,
in un certo senso, sono ancora in corso. L'essenza delle argomentazioni degli avversari
è la spiritualizzazione di Dio, della religione e dell'uomo, con particolare enfasi sul
predominio delle attività intellettuali. Maimonide, figura legalistica che redasse
un codice halachico, non mise mai in discussione l'importanza dei riti religiosi, ma spostò
il centro di gravità dalle attività corporee, religiosamente importanti, all'operazione
mentale perfetta, quale coronamento della religione. A questo punto, i credenti e gli eretici
sono definiti non dal loro comportamento esterno ma dal loro pensiero più intimo, nascosto.
Implicitamente, e raramente in modo più esplicito, i riti religiosi furono considerati strumentali
ai fini della creazione della situazione ideale per un corretto sviluppo del pensiero.
L'halakhah divenne una sorta di propedeutica per l'attività filosofica noetica intesa come
obbligo religioso. Così, per esempio, il divieto di avere rapporti incestuosi, una
delle proibizioni più severe dell'ebraismo, è stato interpretato da Maimonide come volto
a ridurre il pericolo di rapporti sessuali con donne che si trovano nelle immediate vicinanze,
cosicché il pensiero di una persona sia libero di contemplare Dio nel Suo manifestarsi nella
natura. Questo spostamento del locus della forma più importante di attività religiosa
dal corpo alla mente, rappresenta la più importante rivoluzione dell'ebraismo e può essere definita una
riforma mentale. L'espressione letteraria più importante di questa riforma è costituita dai
Tredici Principi di Fede di Maimonide, il primo credo dell'ebraismo, basati sul presupposto
che sia possibile riassumere il giudaismo in alcune definizioni che possono essere capite
non soltanto dai filosofi ma anche dal vulgus. La comparsa dell'interpretazione intellettuale
nell'ebraismo suscitò, come si è detto in precedenza, vivaci reazioni. Alcune di queste furono
piuttosto conservatrici e non creative, il che significa che non cercarono di offrire un'alternativa
alla visione innovativa dell'ebraismo di Maimonide. Altri oppositori furono, tuttavia,
più creativi e tentarono di proporre un'alternativa che prendesse in considerazione anche alcuni
aspetti delle posizioni assunte dal filosofo. Di particolare rilevanza furono alcune tesi dei
primi Cabalisti. Infatti il primo critico serio del codice di Maimonide è anche il primo
Cabalista storico conosciuto, R. Abraham ben David, o il Rabad di Posquieres. Come ho suggrito
in varie occasioni, la comparsa delle principali scuole di Cabala, soprattutto quella
teosofica-teurgica, può anche essere letta come una reazione alla riforma mentalista.
Spicca tra le critiche rivolte a Maimonide e in particolare ai suoi seguaci quella che
riguarda il fatto di preferire la preghiera mentale a quella vocale, un imperativo dell'Ebraismo
rabbinico. Ciò risulta esplicito da un breve trattato scritto da R. Jacob ben Sheshet, Cabalista
di Gerona attivo verso la fine della prima metà del XIII secolo. Questa reazione deve essere
intesa come volta a proporre un'alternativa in cui non l'intelletto, ma il pensiero
unito all'azione rappresenta l'Ebraismo autentico».
Sara Fedeli
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