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Roma. I poteri della mente e gli stati di coscienza. Giuseppe Nappi: «L'uomo dell'Iliade era un uomo in cui la coscienza ancora non era nata»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Giuseppe Nappi, docente di Neurologia all'Università La Sapienza di Roma e direttore scientifico dell’Istituto Neurologico C. Mondino di Pavia, relatore al convegno organizzato alla Sapienza dal Rito Scozzese Antico ed Accettato dal tema "I poteri della mente e gli stati di coscienza". Nappi, sulla scorta degli studi di Julian Janes, ha distinto tra tra "operatività coscienziale" (ma più in generale al livello antropologico diremmo anche "religiosità") e neurofisiologia. Il classico di questo argomento è il saggio "Il crollo della mente bicamerale" pubblicato in Italia da Adelphi. Sappiamo che a livello scientifico è provato che l'emisfero sinistro è associato al pensiero razionale, logico, lineare ed è tipicamente verbale, laddove quello destro è associato allo schema intuitivo ed olistico, tipicamente non verbale, chiamato per questo, simbolico o affettivo (Bateson), al quale si attribuisce un tipo di pensiero detto "metaforico" (Vaughan), il quale è frequentemente trasmesso mediante immagini e varie forme artistiche di espressione. A sinistra sono collocate sia l'area di Broca che quella di Wernicke, la prima è deputata all'articolazione, al lessico, all'inflessione e alla grammatica (una lesione provoca l'incapacità di parlare, mantenendo intatta la capacità di capire), la seconda è deputata alla sintassi, al significato del linguaggio (e la cui lesione provoca l'incapacità di comprendere le parole). Gli studi neurofisiologici hanno dimostrato che non esistono aree corrispondenti nell'emisfero destro. Jaynes, ed è qui la straordinaria innovazione, postula l'esistenza di un uomo bicamerale (prima della "caduta" e dell'atrofizzazione del lato destro), senza coscienza, senza spazio mentale, senza spazi interiori. Un'indagine, quella citata da Nappi, che riguarda anche il mondo letterario, alle sue origini: il mondo dei miti e degli eroi. Lei ha citato l'Iliade... «L'Iliade riguarda avventimenti capitati nel secondo millennio avanti Cristo. Quando è caduta Troia, più o meno. Lì non esiste il libero arbitrio, la libertà di scegliere tra due opzioni. Ognuno ha il suo "padrino", il suo protettore, un suo Dio che gli dice cosa deve fare. Successivamente, pensiamo all'Eneide ma alla stessa Odissea, cominciano a pensare col proprio cervello. Cosa vuol dire? Che nell'Iliade la coscienza dell'uomo, così come oggi la intendiamo, non era ancora nata. Solo in seguito nasce la coscienza, l'astuzia, la capacità di dire una cosa e farne un'altra. Pensate a Ulisse. C'è stata invece un'epoca in cui gli uomini non sapevano mentire. Così come c'è stata un'epoca in cui gli uomini non avevano ancora il linguaggio. E come si comunicava? A gesti, col corpo. Aggrottando le ciglia o assumendo un fare aggressivo e minaccioso quando non si passava direttamente all'azione. È come una corsa. Immaginatevi una maratona. C'è un gruppo di uomini che arrivarono per primi. Nella capacità di identificare le cose e dare loro un nome. Non dobbiamo pensare ad una luce scesa dall'alto che all'improvviso è data a tutti gli uomini della terra. È una conquista individuale. Una selezione. E ci sono cose che nascono e cose che muoiono». Ed oggi abbiamo da una parte le credenze religione e dall'altra la scienza e la filosofia... «La scienza empirica sta cercando di sbrogliare il bandolo della matassa. Ed usa metodi oggettivi, quelli dell'evidenza, non dell'immaginazione». È un buon modo di procedere? «L'uomo inventò la ruota. Da contadino e stanziale cominciò a muoversi e a venire a contatto con altre realtà. La scienza, le scoperte, le invenzioni aiutano ad andare avanti. Il progresso tecnologico va usato con cautela ma è utile e necessario. Con "coscienza"».

Sara Fedeli

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