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Latina. Il testardo Silvio, il rosso Brunetta. Domenico Cambareri: «Nemmeno Nostradamus avrebbe previsto quanto invece è successo»
Che Silvio Berlusconi ritenga di potere avere ragione sulla sua volontà di fare ridurre
le tasse, non penso proprio che lo si possa negare. La sua purtuttavia è una ragione
limitata all'esigenza di dare attuazione a quanto contemplato dal programma politico
della coalizione nel merito della politica finanziaria. Anzi, al completare quanto
già è stato attuato, favorendo dapprima i ceti meno abbienti. Non si capisce però il
limite, il limite evidente della ragione e delle ragioni di Berlusconi, e quindi il
suo repentino trapassare alle condizioni tipiche della testardaggine e dell'
irrigidimento irriflessivo, se non si considera il fatto che il quadro macroeconomico
nazionale e internazionale, soprattutto europeo, è tuttora fortemente segnato da
condizioni di perdurante stagnazione (gli USA, la Cina, l'India non stanno mica
trascinando il resto del pianeta nella ripresa economica), da instabilità monetaria di
cui paga un alto prezzo il super apprezzato euro, e da tutti quegli altri fattori che
discendono dalle gravi crisi internazionali degli ultimi tre anni. Ad essi è da
aggiungere la ben nota rigidità dei criteri dell'UE, a cui si deve particolarmente
attenere una nazione come l'Italia con posizioni fortemente debitorie da sanare con
misure draconiani per molti lunghi decenni a venire.
Di fronte a tutte queste altre considerazioni e ragioni di segno diverso e molto più
oggettive dei desiderata di singoli, gruppi, partiti e programmi elettorali, Silvio
Berlusconi aveva ed ha la possibilità di rintuzzare agli attacchi degli avversari politici
potendoli ben tacciare di demagogia. Infatti, il quadro politico entro cui era nato il
suo famoso progetto di "contratto con gli italiani" non poteva prevedere le ripetute,
gravi crisi internazionali, a meno di non interloquire già da prima Nostradamus e non
economisti, politologi, sociologi e esperti di demoscopia e soggetti politici concreti.
Il non attuare, o meglio, il rinviare questa ultima fase della riforma fiscale, dunque
era e rimane la via più realistica da percorrere per il nuovo esercizio finanziario. E
questo, ripeto, non significa la sconfessione del progetto berlusconiano.
Il capo di Forza Italia e della coalizione al governo ha comunque una possibilità diversa,
su cui in questi giorni si è lanciato a capofitto con ben più fondate motivazioni rispetto
alla stura delle polemiche che ha avviato con gli alleati. Essa è l'unica che può consentire
di avviare questa ultima fase della riforma fiscale, ma mi sembra che i margini temporali
sono molto risicati a meno che il governo e il parlamento non vogliano violare le regole
che discendono da Maastricht prima che esse vengano cambiate di comune accordo. Il
superare il fatidico 3%, già consentito dai capi di stato e di governo e dai ministri
monetari dell'UE in anteprima alla Germania e alla Francia rappresenta l'unica possibilità
di evitare uno scontro interno prolungato o la condizione più ristretta ma non meno grave di imporsi come vincitore sugli alleati in una materia così cruciale. Ciò consentirebbe di non calcolare le spese destinate ai processi di investimento strutturale anche virtuale, e al contempo permetterebbe di utilizzare maggiori risorse nella manovra finanziaria per abbattere le aliquote fiscali senza minimamente intaccare la già penalizzatissima scuola (tutti i docenti delle superiori e delle me
die, "ceto medio" pubblico, hanno stipendi al lordo al massimo della carriera ben al di
sotto dei 30.000 euro annui, e così molti funzionari pubblici, e da questa cifra AN vuole iniziare a beneficiare i "ceti medi": quale parossistica contraddizione"!), l'università, e il pubblico impiego in generale. Questa scelta, dettata da oggettive impellenze nazionali e in diversa misura sentita come necessaria da altre nazioni, grazie al precedente sopra richiamato, non costituirebbe, non potrebbe costituire una sfida aperta alle autorità della Banca europea e alla neocommissione di Barroso. Di necessità virtù, con il raggiungimento dell'obiettivo interno di disinnescare l'esplosione dello scontro politico e sociale che si profila molto elevato, e che avrebbe pesanti conseguenze anche all'interno di Forza Italia.
D'altronde, è da considerare che per quanto solo il sette per mille degli italiani
beneficerebbe di questa restante parte della manovra fiscale godendo del 20% delle
misure complessive, ciò accadrebbe in un contesto in cui il governo ha utilizzato lo
strumento del condono fiscale in più occasioni, favorendo certamente quei ristretti
ceti che vivono sulla mobilità del denaro e sulla più che presumibile cronica evasione
dei doveri fiscali. Certo, parte di questi cittadini non produce soltanto arricchimento
e speculazione individuale, ma contribuisce alla crescita della ricchezza e del lavoro
complessivi; ma si trova pure nella condizione di beneficiare in misura enorme della
riforma delle aliquote della tassazione, dopo avere goduto e ancora godendo di ampi
benefici derivati dai condoni. Tuttavia, ancora, queste ragioni al momento, in questa
attuale condizione politico-sociale-economica, non sono sufficienti, se non per
scelta ideologica, e quindi per impostazione di scuola e di schemi che porterebbero
ad adottare i pericolosi modelli liberistici anglosassoni dello strizzatolo, con
tante più lacrime amare, visto che la nostra nazione non ha il grado di
industrializzazione, di terziarizzazione, di teconologia avanzata diffusa e di
mobilità sociale degli USA o del Regno Unito.
Quello che desta in me maggiore perplessità è soprattutto la determinazione puramente
volitiva che il premier esprime in questi giorni di duro scontro, senza dimostrare di
essersi fatto carico, lui e la sua maggioranza, finora di risolvere i gravissimi problemi
che ci avevano lasciato i precedenti governi. Berlusconi e il Polo anzi, scriteriatamente
e perfino forsennatamente, hanno aggravato il quadro di tale squallore (pensiamo
ai misfatti normativi di Bassanini e di Berlinguer). In più occasioni Sartori e altri
attenti politologi e analisti hanno avuto buon motivo di richiamare su questo il
governo, ma ciò è caduto nel vuoto. Ad iniziare dagli specifici richiami alla riforma
federalista, di cui sconosciamo gli oneri complessivi e che ha il sapore di una sciacallesca beffa. Dunque, mentre ci si dibatte in mille scontri polemici e politici per far quadrare conti che non tornano, si è provveduto ad alimentare una riforma costituzionale che divorerà in pochi anni decine di migliaia di miliardi delle vecchie lire.
Ma una delle cose più gravi a cui mi à dato di assistere in questi giorni, è la sceneggiata di Renato Brunetta, economista in carriera oggi con Forza Italia, il quale da vero Brunetta il rosso, ha parlato volutamente con un linguaggio la cui carica polemica era tipica delle faziosità dei comunisti "estremi" e cigiellini degli anni settanta-ottanta. Egli si è cimentato in più occasioni perfino nello sfidare e istigare al tempo stesso sinistra e CGIL con il dire che oggi essi chiedono per il contratto dei pubblici più di quanto chiedono per i metalmeccanici. Non so se nel pedigree di Brunetta il rosso vi sia traccia di paternità di un qualche Luciano Lama e, per quanto possa capire perfino la motivazione della sua acida polemica, mi risulta incomprensibile come abbia avuto la cinica voglia di riproporre una "verità" inconculcabile come quella che ha contribuito grandemente alla rovina della società e dell'economia italiana di quei tristi anni, di cui paghiamo e pagheremo ancora per settanta anni lo scotto dell'indebitamento per il rovesciamento dei criteri e valori operato. Il Renatino sempre a galla, sempre primo e dotto professore, ha dimostrato anche quali e quanti siano i suoi limiti culturali, anche in termini di scuola economica, oltre che la pesantissima, datata e da lui amata sopraffazione esercitata dalla leadership metalmeccanica nei confronti delle altre organizzazioni operaie e di lavoratori dell'industria, ad iniziare dai tessili. E di come sconosca o faccia finta di sconoscere la realtà retributiva e pensionistica di altre nazioni, come il Belgio. I limiti grossolani di Brunetta il rosso sono macroscopici, perché egli ancora addita al ruolo di figura guida una categoria che ha qualcosa di anacronistico, se non di figura di terz'ordine rispetto alle società anglosassoni e del nord Europa, in cui le categorie forti sono quelle della tecnologia avanzata come l'aerospaziale, ovvero quegli altri settori molto meno soggetti alla delocalizzazione e ai trasferimenti selvaggi verso il Terzo e il Quarto mondo. Brunetta, d'altronde, assieme ad Adornato, come ho avuto occasione già di scrivere, fornisce il destro per verificare quanto di condizionamenti comunisti traslati, camuffati, ibridati, sublimizzati…o ben conclamati siano presenti nella coalizione al governo. Brunetta, infine, gioca come hanno giocato per decenni gli uomini della prima e ben vegeta repubblica dei fallimenti e delle nequizie, presentando sempre grossolani riferimenti e dati sul "pubblico impiego" in cui con i sodali burocrati e sindacalisti hanno fatto e fanno di tutto e di più, veri santoni dannati della prestidigitazione, nel trasferire di capitoli in capitoli risorse per dire a piacimento che soldi non ce ne sono e non ce ne erano per questo o quell'altro contratto pubblico.
Quando il bel Renatino sciorinerà con Epifani, Adornato e l'amico Maurizio Gasparri -
vero mitragliatore di cifre e statistiche - dati totalmente disaggregati, cioè esposti
neppure secondo la logica di comparto per comparto ma esattamente di categoria per
categoria, e indicherà gli allineamenti e gli scostamenti contrattuali retributivi
(comprese indennità e voci accessorie varie) degli ultimi trent'anni con comparazioni
interne e internazionali? Quando Brunetta dimostrerà di essere meno, come o più di
quelli che ha chiamato giornalisti tutti venduti? Ne ho diritto di saperlo, come
cittadino, come professore che non ruba o riceve in regalo cattedre universitarie o
cerca mallevadori, come giornalista molto libero di pensiero e di civismo tanto da
potergli essere sia buon maestro che rigoroso cattedratico, come propugnatore di
svolte di cui altri hanno goduto tutto o quasi tradendo, ad iniziare dalle svolte.
E come me e non meno di me, anche gli altri cittadini hanno diritto di saperlo,
quelli che hanno votato o non hanno votato per Forza Italia, per capire come mai
egli milita in questo partito e perché e con quali fini. Anche e più di prima,
non ci rimane che dire, che questo è il governo dell'incredibile.
Domenico Cambareri
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