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Latina. L'Italia e le riforme: le vittorie di Silvio o le vittorie di Pirro? Domenico Cambareri: «Un blitz del governo che speriamo funzioni»

La riforma fiscale avviata con un blitz di governo mentre i giorni destinati alla definitiva approvazione del bilancio dello Stato scorrono inesorabilmente, ha segnato un altro trionfo di Silvio Berlusconi. La sinistra risulta maldestramente spiazzata, quella estrema quasi impazzita, i sindacati in apparenza a corto d'ossigeno. Certo è che Silvio ha colpito nel segno, ricreando condizioni di momentaneo ricompattamento della sua coalizione e mettendo in cassaforte un round di enorme importanza mediatica e politica. Per la coalizione di centro-sinistra il guaio in tutto questo contesto è di pagare il fio della sua sconfinata sequela di atti di una guerra infinita e politicamente inconcludente al personaggio Silvio Berlusconi, posponendo sempre la necessità di elaborare una strategia politica in grado di battere le proposte e le scelte della maggioranza. L'assoluta inadeguatezza degli esponenti e delle cosiddette idee di questa coalizione risulta palese, per quanto essi cerchino di avvantaggiarsi strumentalmente e senza maturità politica alcuna delle continue frizioni e contraddizioni che ci sono all'interno della Casa delle Libertà, che obiettivamente sono sempre meno rilevanti di quelle che dividono e poco uniscono il variegato Polo opposto. D'altronde, prima di soffermarci direttamente sul significato della riforma fiscale, è bene che ci si soffermi a constatare, con una visuale a giro d'orizzonte, come le riforme promesse da Silvio Berlusconi fioriscono e sfioriscono al tempo stesso. Ciò, per capire i limiti della portata di riforme che paiono stabilire valide condizioni di affrancamento dalla subalternità a schemi e ideologie, mentre il grado di mediazione è rimasto e rimane in realtà alto, eccessivo rispetto all'esigenza di ammodernamento strutturale delle istituzioni, della società, dell'economia, della ricerca. Oltre il primo impatto dato dall'informazione, le riforme berlusconiane che sembrano essere di rottura con il passato in effetti non lo sono. Inoltre, questo preliminare soffermarci mi permette di adempiere alla scelta, che è al tempo stesso esigenza di voler essere e di essere coscienza critica di un governo e di una maggioranza da me auspicati ma in cui fatico a riconoscermi da tempo e che non posso totalmente azzerare come riferimento obbligato proprio per il fatto che l'altro Polo sguazza o affoga nella manifesta incapacità di elaborare strategie rispodenti alle esigenze del Paese. È il caso della riforma giudiziaria, laddove per una compromissoria manovra di palazzo la maggioranza ha receduto dall'approvare uno dei basilari e irrinunciabili aspetti innovativi, ossia la separazione delle carriere fra giudice "inquirente" e giudice giudicante. È il caso della legge Bassanini sulla dirigenza, legge forsennata ancora intoccata. È il caso della riforma della Scuola, riforma proposta dal ministro Moratti - da me non condivisa, per quanto ho riconosciuto una sua coerenza di fondo - poi alterata e adulterata dai contributi imposti dalla moda e secondo i cliché della sinistra e dell'Adornato che la fanno da padrone all'interno di Forza Italia. È il caso della revisione costituzionale che ha spinto verso irricevibili neocentralismi regionali in grado solo di portare all'estremo i conflitti fra Stato e regioni, di dissolvere ogni tessuto connettivo, di accentuare gli sprechi finanziari. È il caso della messa in vendita dei beni pubblici quali gli ospedali per aiutare con operazioni di ragioneria contabile a dimostrare come l'abbattimento del debito a breve termine venga raggiunto entro i termini prestabiliti, per quanto quello che è stato appena venduto viene preso subito in affitto: io te lo vendo e tu un minuto dopo me lo affitti. Logica forsennata che entro un arco decennale potrà confermare di avere prodotto impoverimento e danni, laddove alla messa all'incanto dei beni immobili, ospedali inclusi, sarebbe convenuto e ancora converrebbe limitare o sostituire ciò con l'associare i privati nella proprietà delle strutture con quote non maggioritarie. A fronte di esiti certamente profittevoli per gli investitori, si avrebbero risorse finanziarie aggiuntive fresche che, anche se notevolmente inferiori nel breve termine per le casse pubbliche, consentirebbero di preservare una parte cospicua della proprietà del capitale degli immobili pubblici. Esempio e caso ancora non grave, da me già denunciato su queste pagine, è quello costituito dal fatto che ci sono leggi che presentano molti aspetti di incostituzionalità e che hanno più che il sapore di leggi che attentano ai diritti acquisiti, alla solidarietà sociale, alla trasparenza e alla legittimità stessa della determinazione potestativa, leggi insomma apertamente eversive dell'ordine costituito, approvate allora dalla sinistra "garantista", che non vengono ancora oggi fatte decadere dal non meno "garantista" centro-destra. Mi riferisco alla legge che ha attuato il passaggio di migliaia di maestre laureate direttamente alle secondarie superiori (!) attraverso un corso-concorso basato sulla frequenza di settanta ore di lezione tenute da docenti delle superiori con esamini finali, e non attraverso un normale concorso ordinario, in cui è sempre presente per legge una riserva di posti. Una tale norma di natura eversiva ha sottratto all'immissione in ruolo (incarico a tempo indeterminato) migliaia di docenti delle superiori vincitori di concorsi ordinari e con anni e anni di insegnamento, i quali vivono in condizioni di sfruttamento cronico, da stagionali a vita, laddove nelle materne e nelle elementari i posti lasciati liberi hanno figliato altrettanti nuovi posti di lavoro per maestre dalla fortuna d'oro. La riforma fiscale attuata ora dal governo e in via di approvazione al Senato nei prossimi giorni non è poi così rivoluzionaria come si crederebbe a prima vista. Essa anzi era già data per assolutamente scontata negli ambienti interrnazionali. In verità, il principio più importante da porre in risalto è quelloche introduce più sostanziosi aiuti alle famiglie monoreddito e per i figli a carico (voce che andava svincolata da calcoli prefissati di scaglioni almeno fino a 40.000 euro). Questa è davvero un'ottima scelta che ci pone decenni dopo a fianco delle linee di politica sociale dei Paesi del Nord Europa. Essa consegna alla preistoria politica le scelleratezze sindacali, parlamentari e legislative degli aumenti forsennati della contingenza unificata e calcolata su base trimestrale degli anni settanta-ottanta, aumenti che però disconoscevano gli effetti reali determinati dall'onere oggettivo dei figli e scaricavano effetti negativi devastanti sulle famiglie monoreddito che di fatto subirono una veloce proletarizzazione. Il secondo aspetto è quello che conferma che ci stiamo avviando, sia pure con non poche incertezze, verso il modello dell'imposizione fiscale indiretta, tipica delle società liberali. Questa scelta fa quindi capire che non bisogna incorrere nell'equivoco di ritererci più "ricchi" con l'abbassamento delle aliquote fiscali, e che quanti del governo e della maggioranza dicono queste cose lo fanno con intenti demagogici. Demagogia ancora più grave e vieta è quella che afferma che la riduzione fiscale costituisce quasi un aumento contrattuale autonomo. In riferimento al turn-over della pubblica amministrazione, non si è perso il vezzo di giocare con le grandi cifre e non con l'utilizzazione di dati disaggregati e specifici, al fine di dimostrare con trasparenza come si vuole agire per filo e per segno e che non si vuole nascondere più alcunché. La stessa cosa vale per il principio generale dell'offerta delle risorse per il rinnovo dei contratti pubblici, e si continua a fare finta che le dinamiche finanziarie da dieci anni in qua per il personale delle regioni, della sanità, delle aziende e della "dirigenza" sono state di segno grandemente diverso rispetto ai docenti delle secondarie e a gran parte del pubblico impiego "statale". Non possiamo giustificare queste cose come grezze marginali o come persistenti residui di vecchie mentalità dei capi della burocrazia del Tesoro. Esse sono cose sostanziali di assluta centralità, sono il discrimine atto a qualificare modelli, metodologie e criteri applicativi, e a valutare i "limiti" delle bravure dei medesimi responsabili. È da riconoscere al governo anche la volontà di porre un forte freno alle nuove assunzioni negli enti locali: ma la questione del turn-over qui non si scontra con i diritti di legittimità riconosciuti alle "autonomie locali"? E' una domanda che prima trova risposta acconcia a salvaguadare gli interessi generali, e quindi a bloccare ogni conato reattivo di regioni province comunità e comuni, meglio è per tutti e per riconoscere maggiore credibilità alle decisioni dell'esecutivo. In generale, i limiti della riforma fiscale sono notevoli - come è il caso dell'Irap per il settore della ricerca - e bisogna per di più capire se i suoi contenuti ricadranno direttamente in un indiretto "accorpamento" di quella che è l'autonoma area normativa dei rinnovi contrattuali. O se all'abbattimento delle aliquote concorrerà in misura più determinante qualche meccanismo atto a determinare il superamento del fatidico 3%. Infine, è difficile attendersi da queste misure che in fondo non sono altro che adeguamenti a una più rispettosa politica sociale e adeguamenti a un'impostazione di tipo impositivo diverso, una "scossa" atta a trarci fuori dalla stagnazione economica. Aspettiamo tutti quanti di potere leggere documenti con le adeguate informazioni. Ci auguriamo per il bene di tutti che nel frattempo questa nuova, incontenibile vittoria di Silvio alla vigilia dello sciopero generale sindacale e dell'opposizone sia e rimanga tale e non diventi una vittoria di Pirro.

Domenico Cambareri


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