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Latina. Sciopero e scaltrezze che non pagano. Domenico Cambareri: «E i demagoghi dell'estrema sinistra hanno di che declamare e di che vivere»
Il giorno dello sciopero generale ha avuto nella tarda serata che l’ha preceduto il rilancio in Senato delle cifre destinate al rinnovo del contratto dei ministeriali, che adesso risultano quadruplicate, e l’abbattimento della clausola del 2% del contenimento delle assunzioni dei docenti (per le elementari, esclusivamente per le elementari, andrebbero bloccate per anni). Questo è un ulteriore brusco modo d’agire atto a spiazzare l’opposizione e i sindacati sul filo dei minuti ma dimostra anche che lo scontro politico in funzione delle scadenze elettorali di primavera si fa sempre più duro e che il governo e la maggioranza sono pronti a riparare ogni grave errore in cui incappano di continuo.
Quello che è necessario sottolineare è il fatto che la spregiudicata e apparente lungimiranza del governo ha portato da una parte a un’intesa tattica fra Confindustria e sindacati, compresi la UGL e gli autonomi, e dall’altra a fare rinserrare le fila di gruppi che agiscono scoordinatamente e che gioiscono della sprezzante ipoteca posta già da tempo sul tavolo da parte dei fauturi del "tanto peggio, tanto meglio". Questo è un errore che intrappola sin dall’inzio della lunga campagna elettorale che ci accompagnerà per un lungo anno e più, dalle regionali alle politiche, le forze moderate del centrosinistra che sanno che con il Polo che governa si deve sempre e comuqnue ragionare, e che il nuovo indirizzo di politica impositiva indiretta va condiviso, quantomeno per non ritornare a scatenare nuovamente la fuga dei capitali con un nuovo, controproducente e drammatico inasprimento della leva fiscale. Teorie economiche di sgocciolatoio o strizzatoio a parte, gli italiani sappiamo che l’evasione fiscale e la fuga di capitali liquidi all’estero sono state la cronaca quotidiana di decenni di vita politica e governativa nazionale incapaci di contenere questo smisurato fenomeno, sicché la pressione fiscale si è abbattuta nella più completa sistematicità e nella cruda realtà in gran parte sui lavoratori dipendenti. Con buon diletto per demagoghi come Diliberto e Rizzo che hanno avuto ed hanno sempre di che declamare e di che viverci...
In questo momento, oltre che cercare di sincerarci sugli effetti della mini-manovra dell’abbattimento delle aliquote fiscali, dei suoi eventuali costi e delle sue necessarie e reali coperture, e oltre ad apprezzare molto l’inziale e ancora parziale avvio di una politica sociale finalmente attenta alle famiglie monoreddito e ai figli, importa di più sincerarci che il governo non abbia a demordere dal forte, fortissimo freno che deve imporre alle spese degli enti locali, regioni in primis, e della sanità. Questa necessità di sincerarci, questa esigenza di dire che non ci bastano rassicurazioni alcune, discende dal non volere scoperchiare la pentola quando il danno del federalismo pazzo si sarà manifestato con tutta incontenibile evidenza. Ci preme ancora verificare come il governo voglia finalmente avviare una rivoluzionaria politica retributiva atta a chiudere la peggiore storia del dopoguerra, iniziata con gli accordi con le parti sociali del 1973 e trascinata sino a quelli del 1993. Ridare finalmete fiato ai ceti medi e professionali proletarizzati e rimasti intrappolati sotto la soglia dei 25.000 euro, ripristinare le anzianità biennali per i docenti e via via per tutto il mondo del lavoro dipendente pubblico e privato, ponendo termine alle insulse, giocose vessazione dei professiori cottimizzati, ai quali si pagano i “progetti” con attività extra laddove agli altri, giustamente, sono stati riconosciuti nell’ambito del normare orario di lavoro. Rilanciare in grande stile, attraverso la dinamica industria strategica elettronica, aerospaziale e della difesa a partecipazione statale, la ricerca applicata è un’altra delle scommesse che si aspetta di vedere sempre davanti le porte del parlamento e del governo. Ci interessa capire se si vuole ancora operare con scelte atte a favorire le giungle selvagge di regioni ede enti o a disboscare cespiti e parassitismi delle nuove burocrazie e delle nuove dirigenze e degli eserciti di capi e di capetti che sono uno dei flagelli bassoliniani (pensiamo ai direttori didattici e ai presidi, agli ex funzionari ministeriali diventati chissà come dirigenti della nomenklatura). Relativamente alla scuola, una scelta coraggiosa e storica porterebbe non alla stupida e incosciente idea di burocratizzare la funzione docente inventando carriere e concorsi per vice-preside e chissà quali criteri pseudo-meritocratici, quanto ripristinando l’autonomia della docenza come per l’area medica e l’aggancio storico alla docenza universitaria. E abolendo il burocratico ruolo del preside a vita, come in Portogallo, Spagna, Francia e nelle facoltà univesitarie, ove il preside è eletto direttamente dai colleghi e conserva la funzione e l’attività docente. Un modello operativo altamente meritorio contro i baracconi del parassitismo che vede chissà quali percentuali di capetti diventati tali senza avere superato concorsi ordinari per l’immissione in ruolo come prof e, poi, come burocrati che appestano la scuola, o che mai ebbero ad amare o a brillare nella professione che si erano trovati ad esercitare. Ci incuriosisce capire come si voglia rendere fisiologico in rapporto alla popolazione e ai mille problemi della società e dei contesti connessi alla vigilanza delle frontiere l’enorme esercito di uomini e di donne delle forze di polizia, settore in cui continuiamo a detenere il primato da almenoi tre lustri nell’ambito del "Primo Mondo". Ci spazientisce il non sapere se stanno per essere avanzate proposte per porre rimedio definitivo all’impazzimento partitocratico che ha portato alle stelle il costo della vita politica e “istituzionale” con la volontà di D’Alema di retribuire con stipendi un apparato enorme di consiglieri circoscrizionali e comunali, facendo delle cariche elettive uno strumento di "classe", di censo che ha allontanato e sovraordinato i politicanti rispetto ai cittadini. Ci preoccupa non sentire parlare in maniera precisa di strategie inerenti ad una politica energetica in grado di recuperare il nucleare, di attuare con urgenza provvedimenti legislativi finalizzati alla promozione della produzione su larga scala di pannelli solari e non al mero scomputo decennale dell’Iva da parte dell’acquirente, di incentivare lo sfruttamento dell’energia eolica per quanto marginale. Queste sono alcune delle cose che ci interessano più di altre. Non so se ne parleranno domani i capi delle organizzazioni scioperanti e dei partiti dell’opposizione. Non so neppure se ne parleranno i compositi e metamorfici uomini della maggioranza e di A.N., spettacolare gioiello della natura che surclassa i piccoli, bellissimi camaleonti. Non so se ne vorreste parlare voi. Io certo sì, ancora, come ho dimostrato con una spero convincente e non tediosa ripetitività atta a dare più coscienza e non smemoratezza su cose di fronte a cui la nostrana fauna politico-sindacale ha sempre abbondantemente sbuffato e preferito abbuffarsi nell’ignoranza dei problemi e nella catena dei favori che ci hanno affondato. Vere, belle e tristi le parole di Franco Battiato quando canta "Povera Italia". Ma tutto ciò non mi consola, e vorrei una "scossa" di migliaia di volt a Montecitorio e a Palazzo Madama. Sarebbe più produttiva della "mini" scossa della transitorietà dell’effetto delle rifrome delle aliquote fiscali: quante specificazioni, per dire che è meglio la scossa alla testa e al cuore dei politici.
Domenico Cambareri
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