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Latina. Riesplode il mito dei Duran Duran. Chi sono e cosa fanno le sedicenni e i sedicenni di allora. I ricordi di Andrea Apruzzese...

Era il 1981, credo fosse settembre o ottobre, comunque dovevano essere le settimane intorno al mio compleanno, che cade sotto il segno della bilancia. Mio cugino, di cinque anni più grande di me e che - quindi - all'epoca aveva diciannove anni, era grande appassionato di musica, e mi passava dischi e nastri per istruirmi alla conoscenza delle vecchie e nuove frontiere. Lui aveva preso in pieno l'onda degli anni '70 ed era un grandissimo appassionato del Bowie "prima maniera". All'alba del decennio le sue passioni si stavano spostando sulle nuove avanguardie e tendenze, in particolare il pop elettronico di cui - qualche tempo dopo - sarebbero stati paladini i vari Yazoo di Alyson Moyet, gli Human League, i Visage. Fu lui, in quei giorni, a passarmi un nastrino in cui c'erano quattro canzoni: "Girls on film", "Planet earth", "Careless Memories" e "Friends of mine". A questo punto, avrete già capito di quale album io stia parlando: "duran duran". Nel 1981 i cinque ragazzotti inglesi (Simon Le Bon, Nick Rhodes, Andy, John e Roger Taylor), tutti trucchi e capelli, stavano affacciandosi alla ribalta della discografia internazionale. Ma io, in quei giorni, non mi ero reso conto del successo che avrebbero avuto, né tantomeno della loro influenza sull'adolescenza mia e di tutti quelli che compivano quattordici-quindici anni in quell'anno. Avremmo preso in pieno l'onda duraniana e ancora non lo sapevamo... E devo essere sincero: ad ottobre del 1981, pensavo che piacessero solo a me. Non si può tacere il fatto che buona parte del loro successo sarebbe andata anche ad una aggressiva politica di video musicali per promuovere i loro album. All'inizio degli anni '80 la pratica dei video era già ben consolidata, dopo i primi, timidissimi tentativi avvenuti negli anni '60 negli Stati Uniti con dei particolari juke-box con annesso tubo catodico in cui venivano trasmesse immagini mentre la musica fluiva dall'altoparlante e - soprattutto - dopo le esperienze video di David Bowie (sempre lui, grande innovatore e precursore non solo delle tendenze musicali, ma anche delle mode e - più in generale - di tutto ciò che ruotava intorno alla "comunicazione musicale") e dei Queen. Cari ragazzi del Duemila, ventitré anni fa non avevamo ancora MTV e All Music: la nostra fame di video musicali era affidata unicamente ad un programma che andava in onda su Rai Uno il lunedì sera molto tardi (dopo le 23), condotto da Carlo Massarini e che trattava i video alla stregua di una "curiosità" della comunicazione. Una roba del genere "guardate come sono creativi questi cantanti". Massarini faceva del suo meglio, ma di certo su Rai Uno non sarebbe mai potuta andare in onda la versione integrale del video di "Girls on film" (in realtà non credo che l'abbia trasmessa neanche MTV Usa, nata nel 1982, all'epoca molto influenzata dal puritanesimo americano). Fu quindi su "Mister Fantasy" (così si chiamava quel programma) che vedemmo i primi video dei Duran, in particolare dell'album successivo, "Rio", che conteneva splendide canzoni come "Save a Prayer", "Hungry like the wolf": i cinque ragazzi inglesi ci sapevano anche fare, con le note, ed oltretutto in maniera innovativa. Io adoravo (e adoro ancora) quell'album: credo di aver consumato il nastro. Ma il grande pubblico, che all'epoca - per me - era soprattutto la mia classe del V ginnasio del San Leone Magno, ancora non si accorgeva di loro: erano tutti presi dai Police o dai Queen. Ancora nel 1983, l'album "Seven and the ragged tiger", di cui si ricorda in particolare "The Reflex", "New moon on monday" e "Union of the snake", ebbe un buon successo, ma era ancora lontano dall'esplosione nucleare. Il tutto sarebbe accaduto un anno dopo, con la famosa (o famigerata) "Wild Boys", contenuta nel live "Arena". Bah, che dire, quella canzone a me non ha mai entusiasmato: ispirata al romanzo di William Burroughs ("The Wild Boys: the book of the dead", 1971), ambientato in un futuro prossimo, con ragazzini che combattono contro gli umani oppressori e le loro forze di polizia, mi sembrava po' troppo rockeggiante e parecchio distante dalla loro linea di pop melodico elettronico. Però fu in quel momento che loro esplosero. E le ragazze del I° liceo classico del San Leone Magno non si sarebbero più tolte dalle labbra il nome di quel gruppo. Era una, in particolare, la duraniana sfegatata della classe: Valeria. Ora, beata lei, dopo la laurea in medicina e la specializzazione in ginecologia conseguite al "Gemelli", è fuggita in America e vive felice da anni a Philadelphia («Ah, la città dell'amore fraterno...» le dissi. «Ah, la sai pure tu questa cosa?» mi rispose...) con suo marito. Ma, all'epoca, avrebbe fatto salti mortali per sposare Simon Le Bon. E sì che io avevo fatto di tutto per distoglierla: il 30 gennaio del 1984 l'avevo anche portata al mitico concerto dei Police al Palaeur...
Il tempo passò e - cari ragazzi del Duemila - il 1° aprile (tranquilli, non fu un "pesce") del 1984 riuscimmo anche noi ad avere la nostra televisione nazionale tutta musicale. La giovanissima imprenditrice toscana Marialina Marcucci prese l'idea da MTV e pensò «Perché non farla anche in Italia?». Fu così che - da un luogo ameno, immerso nel Parco delle Alpi Apuane - iniziarono le rotazioni di video su video, "24 hours a day". Ragazzi, guardate che a metà degli anni 80 esistevano solo Rai e Mediaset, e anche parecchio "ingessate": Videomusic per noi fu un'esplosione di musica, la tenevamo a palla per tutto il pomeriggio, impegnati a studiare (e si studiava: ho ancora gli incubi del V ginnasio. Pensate che il lunedì avevo classici di latino e greco: ho passato le domeniche di nove mesi filati sull'Anabasi di Senofonte e sul De Bello Gallico di Giulio Cesare...). Anche grazie a Videomusic (scusate se ne parlo tanto, ma ne sono stato addetto stampa: a volte i sogni si avverano), il successo dei Duran in Italia si trasformò in un vulcano in piena eruzione: i cinque ragazzotti se ne accorsero ed agirono con non poca scaltrezza, centellinando ad arte le presenze nel nostro paese. Ogni volta, erano resse di migliaia di ragazzine urlanti che cercavano di gettarsi addosso a Simon e gli altri. Piangevano, pregavano, si presentavano con look scioccanti, tutto per ottenere uno sguardo, un sorriso, magari un autografo e - forse, chissà - un bacio sulla guancia. Era impressionante accorgersi di come alcune fossero convinte di poter veramente giungere non solo a conoscerli, ma addirittura a sposarli. Erano certe, di una certezza data da chissà cosa. Noi maschiotti incominciavamo anche un po' ad averne le balle piene... Le fanciulle non pensavano ad altro che a loro. Se - per puro caso - riuscivi ad ottenere un'uscita con una tipa, rischiavi di passare il pomeriggio a parlare del video dell'ultima canzone! E io - oltretutto - mi stavo spostando su altri autori: se già il 1983 lo avevo passato a consumare Police e Dire Straits, il 1984-85 lo passai con il Prince di "Purple Rain" (il film però dovetti andare a vederlo da solo, perché all'epoca il "reuccio" non piaceva a nessuno), lo Springsteen di "Born in the USA", ma soprattutto con i miei adorati Ultravox di "Lament". E poi, scusate se è poco, mi stavo anche innamorando delle canzoni di Antonello Venditti. Quindi ero tagliato fuori dalle ragazzine urlanti... Le ragazzine urlanti erano uno degli accessori "inscindibili" dei Duran Duran: un fenomeno di divismo nato già negli anni 60, prima per i Beatles e poi per i Rolling Stones, ma che ora veniva moltiplicato per diecimila, massimizzato (nel senso di mass media) dalle coloratissime televisioni degli anni 80 (e - appunto - dalle emittenti "all-music"), nonché da giornali e riviste (è l'epoca in cui si affermano i periodici per ragazzine e si moltiplicano quelli musicali). La partecipazione al Festival di Sanremo, con frattura del piede di Simon, crea uno scompiglio indefinibile, con migliaia di ragazzine che partono per la città dei fiori (anche senza soldi, prendendo un treno al volo, viaggiando di notte da sole) per "soccorrere" il loro idolo. Altrettante tragedie quando annunciò il matrimonio con Yasmine: non ricordo di aver sentito tante male parole rivolte dalle ragazzine nei confronti di un'altra donna («quella str... p...). E poi le speranze: «Tanto la lascia subito...» fino alla pubblicazione di un romanzo, scritto da Clizia Gurrado nella stagione 85-86 (quando già i Duran si erano scissi in due gruppi per portare avanti percorsi musicali diversi). Il titolo del breve romanzo era - manco a dirlo - «Sposerò Simon Le Bon» (e dodici mesi dopo, arrivò anche il film...). Nella pubblicazione editoriale di una di loro, le ragazze di tutta Italia sublimarono i loro sogni e desideri. Per me è ancora incredibile pensare come tutto avvenne, sostanzialmente, grazie ad un unica canzone: quel "Wild Boys" divenuto un inno della generazione della prima metà degli anni '80. Una canzone urlata, dalla mattina alla sera, quasi come un grido di ribellione: siamo ragazzi, ma esistiamo! Ci siamo anche noi, con i nostri sogni, e i nostri problemi, ma viviamo e il mondo deve saperlo. Pensate che non pubblicarono altro, eccezion fatta - nel 1985 - per "il singolo di 007": quella "A wiew to a kill" dell'ultimo James Bond di Roger Moore. Quando, nel 1987, uscì lo 007 di Timothy Dalton, furono gli A-ha a realizzare la "title-track", "The living daylights" e quando un giornalista chiese loro come era stato scrivere una canzone per un film di una serie-mito come quella di Bond, loro semplicemente risposero: «L'hanno fatto i Duran Duran, perché noi no?». Già, il fatto era però che nel 1985 di Duran Duran c'era rimasto poco: si erano scissi nei Power Station e negli Arcadia. Quest'ultimo era il gruppo che raccoglieva Simon, con Nick Rhodes e Roger Taylor: con la loro "Election Day" (dall'album "So red the rose") sbancarono le classifiche nell'autunno-inverno di quell'anno. La scissione fu vissuta in modo particolare: non avvennero fenomeni di grave isteria, forse perché il risultato degli Arcadia piacque - e non poco - e anche perché si era sicuri che i Duran non potevano morire lì. Si sentiva (e si aspettava) una rinascita.
Avvenne nel 1986, con l'album "Notorius", che vedeva i Duran di nuovo insieme, anche se con una formazione nuova (entrava ad esempio il chitarrista Warren Cuccurullo, che aveva lavorato con Frank Zappa ed era stato nei Missing Persons). L'album mi piaceva e mi piace, e ancora ascolto il mio vinile (ebbene sì, conservo ancora i miei LP, e li suono "all'antica", con piatto e puntina: è tutta un'altra storia). In particolare adoravo "Skin Trade", "Winter marches on", "American science" e "Meet el presidente". Nel frattempo, nel giugno 1986, ero uscito dal liceo (nel senso che avevo fatto la maturità, non mi avevano buttato fuori...). Di Notorius mi piace ricordare - oltre alla musica - soprattutto una battuta: come detto, ormai eravamo all'università e Valentina, entrata ad Economia e Commercio alla Luiss, in quei mesi mi fece un esempio su quell'università (che notoriamente ha le aule scavate sotto terra). «Siamo impegnatissimi, scappiamo da una lezione all'altra, da un'aula all'altra. L'altro giorno ho visto due che si baciavano, lui sulla parte alta delle scale a chiocciola, lei in basso: sembrava il video di Notorius». E i Duran erano ancora nella nostra vita. L'esplosione avvenne il 1 giugno del 1987. Tour dei Duran in Italia e mega-concerto, a Roma, allo Stadio Flaminio. C'era proprio tutta Roma, anzi, mezza Italia e tutti ipergasatissimi. Ma fu uno degli ultimi sprazzi. Nel 1988 uscì "Big Thing", album che - a mio parere - a parte un paio di canzoni non male, come "Too late Marlene", "Do you believe in shame" e "I don't want your love", per il resto non ha lasciato traccia nella storia. Il problema fu che fece anche disamorare i fan, delusi dal risultato musicale, sia su vinile, sia - soprattutto - dal vivo. Quello che sconvolse i fan fu anche lo spot televisivo: apparirono spenti, dalla voce incerta ed impastata, con gli occhi bistrati di nero e lo sguardo perso nel nulla, tanto che ci fu anche qualcuno che azzardò: «Ma questi se fanno le pere?». Avevamo ventun anni ormai, e la nostra adolescenza era conclusa da un pezzo. Ma probabilmente chiudere con i Duran, che ci avevano accompagnato in quei difficili anni di tempeste ormonali tra i tredici e i diciotto, era necessario per dichiarare concluso un capitolo di vita, per affrontare definitivamente il fatto che si era adulti, e che le responsabilità erano ormai alle porte. Mi viene in mente "Compagno di scuola" di Venditti, quando ripenso a quei primi anni di università in cui si cominciava a perdersi di vista con gli amici del liceo. Bhé, non c'è tanta differenza: di trenta che eravamo, c'è chi è entrato in banca, chi è diventato avvocato, chi è medico negli USA, chi, dopo brillantissime carriere in Telecom (spese ad ingegnerizzare l'avvio della rete di telefonia mobile) ha mollato tutto ed ora ha un ristorante megagalattico in piena Roma, e chi è manager di una televisione satellitare. Abbiamo anche un filosofo, un critico cinematografico e, guarda un po', un giornalista. E, purtroppo, c'è anche chi ci ha lasciato, portato via da un alieno (come lo chiama l'Oriana nella sua "Intervista" a se stessa) che lo aveva infettato già a quattordici anni e che piano piano è cresciuto dentro di lui, dandogli, di sei mesi in sei mesi, l'illusione bastarda di essersene andato per poi tornare; fino all'incontro definitivo. E c'è anche chi, colta dalla sclerosi a soli vent'anni, ora vive con coraggio senza volere nessuno accanto, ripetendo al mondo, ma soprattutto a se stessa, che ce la fa benissimo da sola. Trenta persone, una comunità, un gruppo statisticamente significativo in cui c'è (in piccolo) tutta la società. Trenta persone che hanno ascoltato "The Reflex", Qualcuno mi dice che nel 1990 uscì "Liberty": chi se lo ricorda alzi la mano... Ormai, all'inizio degli anni '90, erano rare le volte che ci si ritrovava con gli amici del liceo: una di queste fu nel '93, e i Duran erano tornati, e lo avevano fatto alla grande, con "The Wedding Album" e la straordinaria "Ordinary World". E, ancora una volta, quella sera del 1993, nei gazebi all'aperto di un bar su viale Parioli, in sette-otto, ci ritrovammo a parlare dei Duran. C'era Claudio, il critico, Michela, avvocato, Valeria, medico, Vittorio, ingegnere, Corrado, filosofo... Noi, i ragazzi dell'86. E ancora una volta, i commenti: «Però, l'ultimo dei Duran non è niente male». Già, e intanto erano passati dodici anni... Come disse una volta Valeria: «Noi vi abbiamo visto diventare uomini, e voi ci avete visto diventare donne»: la parabola della vita, la lunga avventura della crescita. In tanto tempo, una colonna sonora: i Duran, che creavano emozioni e sublimavano i piccoli, grandi problemi dell'esistenza. Ora sono trascorsi altri undici anni. Siamo nel 2004, ormai ho 3... anni (meglio non dirlo: la mia età è difficile da credere anche per il sottoscritto) e loro sono tornati. "Reach up for the sunrise" è una bella melodia, in pieno stile Duran, ed ha avuto addirittura l'imprimatur di essere il jingle di un noto operatore di telefonia mobile. E quando sei la colonna sonora di un telefonino, vuol dire che sei nell'empireo... Non so, c'è chi mi dice che non sono "tornati", perché in realtà non se ne erano mai andati, avevano continuato a pubblicare album, anche se nessuno se ne era accorto: qualcuno si ricorda "Thank you" del 1995 o "Medazzaland" del 1997 o "Poptrash" del 2000?. Quello che so è che avevo quattordici anni, e ora ne ho quasi quaranta, e continuo ad ascoltarli e ad emozionarmi.
P.S. A proposito: ma lo sapete che c'è di strano? Nell'adolescenza non mi ero mai posto il problema: solo alcuni anni più tardi (dovevamo ormai essere alla fine degli anni 80, forse inizio dei 90), in orario "vampiresco" e su una scassatissima televisione locale romana, mi capitò di vedere - per la prima volta - un film. Il regista era Roger Vadim, l'interprete era una giovanissima Jane Fonda. Una storia di fantascienza che definirei non all'altezza di "Blade Runner" o "Guerre Stellari" (e sono ancora generoso...), ma che - nei lontani anni 60 - ebbe il merito di far vedere un po' di pelle di quella meravigliosa creatura che era la figlia di Henry Fonda (vorrei sapere che gli faceva Vadim alle donne: è stato il marito - oltre che di Jane - anche di Catherine Deneuve e Brigitte Bardot, scusate se è poco...). Fu proprio in una scena di quella pellicola - che, per la cronaca, era "Barbarella" - che udii quel nome: dottor Duran Duran. Ah, ecco dove cavolo avevano preso il nome...

Andrea Apruzzese


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