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Latina. Novità in libreria: "Ut unum sint. L'Uno e il Molteplice", il nuovo saggio di Mauro Cascio. L'insostenibile leggerezza del leggere
"Ut unum sint. L'Uno e il Molteplice. Unione, congiunzione, adesione nella filosofia
e nel patrimonio mitico-simbolico dell'occidente". Questo è il titolo del saggio
scritto da Mauro Cascio, giornalista e studioso, pubblicato dalla Bastogi, e da
oggi disponibile in tutte le librerie.
"L'Uno e il Molteplice", frase questa che oltre ad un esplicito riferimento a Pitagora
evoca il titolo dell'opera
pirandelliana "Uno Nessuno Centomila". La differenza però sta nell'ampiezza dell'analisi.
Per Pirandello la realtà è illusoria, relativa e soggettiva, ed è l'espressione di
costruzioni personali; una sorta di gioco degli specchi. La conoscenza che gli altri
hanno di noi è stereotipata, codificata, definita; la nostra identità invece è un
continuo divenire, la nostra personalità non è unitaria, ma molteplice. «Sapete
su che poggia tutto? Ve lo dico io. Su una presunzione che Dio vi conservi sempre.
La presunzione che la realtà, qual è per voi, debba essere e sia ugualmente per tutti
gli altri». Queste le parole di Gangè, il protagonista che accetta di rinascere "nuovo
e senza ricordi: vivo e intero, in ogni cosa fuori", totalmente escluso dalla vita
sociale e dalla visione comune degli uomini. La sua alienazione consiste nella
totale scomposizione dell'io. L'"Uno" pirandelliano si riferisce all'uomo, non
all'unità del divino. Su questo concetto possiamo allacciare il discorso relativo
all'opera di Mauro Cascio, un saggio che tenta proprio di esplorare ed illustrare
la questio dell'unità e della molteplicità, nel costante rapporto tra il Dio (Uno) e
l'essere ( molteplice). La sua visuale, a differenza di quella pirandelliana,
abbraccia l'esistente e l'esistenza, travalicando schemi scientisti e pseudo-filosofici,
attraverso un procedere per investigazioni nell'eredità mitico-simbolica dell'occidente.
"Ut unum sint" è il nome di un'enciclica di Giovanni Paolo II sull'unità della cristianità.
Velatissima è l'allusione polemica ad una Unità che l'autore vede più ampia di quella
di una confessione religiosa; ne "L'Uno e Molteplice", quello che è davvero importante
è il rapporto esistente tra la finidutine umana e l' unità del trascendente, cioè la
costante congiunzione della carne con il verbo. Maestra di questa congiunzione è
la ricerca filosofica, o meglio, una filosofia che non scandagli semplicemente, ma ambisca
a possedere la conoscenza. Dall'opera emergono la complessità del problema e la
necessità di continuare la ricerca attraverso una rigorosa indagine dialettica,
mostrando una grande fiducia nelle capacità della Ragione di pervenire alla Verità.
Mauro Cascio vuole far vedere al suo lettore come il rapporto tra assoluto (l'uno)
e il relativo (il molteplice) sia la costante non solo di tutta la Filosofia ma
anche della Qabalah, della Massoneria, dell'Alchimia, cioè di quelle "forme", figlie
di una determinata cultura, di cui, storicamente, si è rivestito il "Concetto". Nessuna
di queste forme è vera se presa in sé, ma è vera solo se presa come un "momento" dello
Spirito. La chiave di lettura resta questa. Esemplificata da quell'immagine zolliana
evocata nell' introduzione (la fontana del Bernini dove l'Uno è l'obelisco e il
molteplice è rappresentato dai fiumi, dal "quaternario") e da quella che l'autore
ha voluto fosse la copertina del libro: la "Creazione di Adamo" di Michelangelo,
con l'indice di Adamo (la creazione, il molteplice) che è teso a sfiorare Dio
(il creatore, l'Uno). Socrate dice, rivolgendosi a Zenone: «Non è assurdo dimostrare
che tutto è uno perché partecipa del genere dell'uno e che lo stesso tutto è
molteplice perché d'altra parte partecipa del genere della molteplicità. Non ci sarà
niente di strano, se uno dimostrerà che io stesso sono uno e molti dicendo,
per esempio, per provare la mia molteplicità, che io ho una parte destra
diversa da una parte sinistra, e un davanti diverso da un dietro, e cosí una
parte superiore e una parte inferiore - anch'io, lo credo, partecipo infatti
della molteplicità - e invece, per provare la mia unità, affermerà che di
noi sette uomini io sono uno, partecipe anche dell'uno». Mauro Cascio,
attraverso "Ut unum sint", tenta proprio di esaminare questa fusione originaria tra
la molteplicità del visibile e l'unità del Vero. «La conoscenza dell'Uno non si
ottiene né per mezzo della scienza, né per mezzo del pensiero, come per gli
altri oggetti dell'intelligenza (nous), ma per mezzo di una presenza che val
di più della scienza» (Plotino).
Sulla tenuta generale del libro, l'autore non voleva fare un "manuale". Il lettore non
deve "capire" (anche perché c'è poco da capire e l'unica cosa davvero importante da
capire non l'ha capita neanche l'autore, scherza Mauro Cascio). Lui si
accontenta di molto meno.
E cioè che ci siano spunti, indicazioni, vie di fuga. Che rimanga cioè uno stimolo,
un affetto nei riguardi del libro che lo faccia conservare nello scaffale migliore
e non in fondo ad uno scatolone in soffitta. Se l'opera ha solo annoiato o è sembrata solo
citazionistica, sarebbe creazione di un pedante. E sarebbe tutto da buttare.
«Io ho scritto un libro e ho scoperto che mi piace scrivere libri. Non è per
giustificarmi o per mettere le mani avanti, ma quando ho scritto questo non sapevo
che sarebbe stato pubblicato. Ecco la presenza di capitoli che forse, se avessi
pensato di avere un pubblico vero, non ci sarebbero stati. Non so dare un giudizio
su quanto ho scritto. L'ho
riletto tante di quelle volte che mi è venuto a nausea. Ora mi sembrava buono, ora
mi sembrava banale. Aveva qualche buona intuizione, anche se spesso relegata in
nota per mancanza di coraggio intellettuale. Ora non so. Non vedo l'ora di staccarmene
del tutto per recuperare oggettività. E di dedicarmi al prossimo che ho già in cantiere.
Comunque non credo che questo sia una sòla e non credo che sia
necessariamente per un pubblico di specialisti. Del resto, come ho sentito dire
nei corridoi di Villa Mirafiori (dove c'è
la Facoltà di Filosofia, ndA) mentre aspettavo di essere ricevuto da un docente:
Ahò, se sbaji fa
mica niente. Fai er filosofo, mica er medico».
Elisabetta Rizzo
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