Venerdì 02/05/2025 
Parvapolis
categorie
Home page
Appuntamenti
Cronaca
Cultura
Economia
Politica
Sport


Parvapolis >> Politica

Latina. Giustizia: l'equilibrio della nostra civiltà. Maurizio Calvi (Udeur): «La relazione di Favara rappresenta una presa di coscienza»

Secondo il sociologo Bauman la società più giusta è quella che pensa costantemente di essere ingiusta. Poiché la società è un permanente avvenire, la sensazione che ci possa essere un livello di giustizia non ancora raggiunto, stimola le parti sociali e i soggetti politici a cercare livelli di giustizia più alti e migliori. Se questo è vero, la relazione del Presidente Generale presso la Corte di Cassazione, Francesco Favara, rappresenta un insuperabile contributo per il miglioramento della nostra società: la presa di coscienza di una ingiustizia diffusa per una società dalla giustizia cercata. Ma non è così. Purtroppo. La nostra è una società dalla giustizia tradita. Ciò che manca in Italia, non è la competenza tecnica nel riconoscimento del deficit, ma una coscienza politica. Pertanto la individuazione chiara del disagio sociale e dei vuoti di civiltà, che all'inaugurazione di ogni diverso Anno Giudiziario il magistrato di turno è in condizione di individuare, non si traduce mai in un atto legislativo. Tanto meno in un fatto giuridico. Restano urla nel deserto, sempre meno forti, che si perdono, dopo l'eco di qualche giorno, nell'immenso e confuso vociare della comunicazione. Un conservatore intelligente come Longanesi, aveva perfettamente colto questo spirito tipico nazionale, tant'è che amava ripetere che gli italiani alle ristrutturazione preferiscono le inaugurazioni. E allora all'Alto Magistrato, nella pomposa inaugurazione dell'Anno Giudiziario, non resta che sciorinare l'almanacco delle nefandezze: aumentano le truffe informatiche e telefoniche, le violenze sessuali, i maltrattamenti familiari verso i bambini, e gli omicidi. Il profilo della ingiustizia è tanto più evidente se si pensa che l'81% dei delitti denunciati restano sconosciuti e la maggior parte di quelli noti sono impuniti. Ciò a causa, prevalentemente della lungaggine processuale e dell'eccessivo numero di persone coinvolte che accresce il generale malcontento. Si tratta, dunque, di una acerrima autoreferenzialità: l'ingiustizia che dovrebbe eliminare l'ingiustizia, nella sua essenza qualitativa, produce ingiustizia e dunque anche insicurezza. Altro che Bauman!
Alla fine il mondo della giurisprudenza diventa un sistema isolato dai cittadini, che ne subiscono quotidianamente, come imputati o parti lese, le disfunzioni e talvolta le aberrazioni. Un sistema chiuso, fatto di sigle, parole incomprensibili, riferimenti oscuri a norme inaccessibili che, ignorando l'esigenza di sicurezza di cittadini impauriti, alimenta esclusivamente la professione degli avvocati, dimentico e indifferente alla prestazione sociale di giustizia a cui dovrebbe assolvere. Ecco un'altra, ben più acerrima, autoreferenzialità: coloro che fanno funzionare la giustizia parlano tra loro di una giustizia che non funziona e, proprio perché non funziona, ha bisogno di loro. Un esempio? "Il gran numero di ricorsi a carattere esclusivamente dilatatorio, - dichiara Favale - per pervenire alla prescrizione o comunque differire il momento della esecuzione della sentenza, ha trovato risposte parziali nella giurisprudenza delle Sezioni unite nella inapplicabilità della prescrizione in caso di ricorso inammissibile". Di chi è la responsabilità? "Il legislatore dovrebbe...". Certo il Legislatore dovrebbe, ma non fa. La Casa delle Libertà ha accatastato la giustizia in cantina, in attesa di buttarla, appena può, definitivamente nei rifiuti. Il Governo e la sua maggioranza di centro destra, schiacciata dalla urgenza degli interessi personali e la smania di una vendetta collettiva, ha dimenticato di riformare la giustizia italiana e l'ha lasciata ammuffire tra polvere e ragnatele. Per amore o per calcolo? Non so. So però che una società senza giustizia è una società profondamente tradita, una società ingannata e delusa, provata nella sua stessa identità. "Diligite Justitiam Qui Judcatis Terram", amate la giustizia o voi che giudicate la terra, diceva Dante, perché la libertà è connaturata nella vostra stessa vita, è genetica, mentre la giustizia è il prodotto del vostro governo, del vostro sistema sociale. So per certo, dunque, che un sistema di giustizia non può essere relegato alle beghe e agli interessi di una qualsiasi maggioranza. Ha una valenza Costituzionale e la sua riforma deve essere attuata con lo stesso spirito super partes con cui si riforma la Costituzione. Oltre gli schieramenti, oltre gli interessi personali, nel rispetto degli interessi individuali che una società solidale e tollerante reclama. So infine, che nel vuoto di giustizia che, per inefficienza ed inefficacia, il sistema produce può cadere la nostra democrazia. La giustizia tradita è il primo inequivocabile sintomo di un regime totalitario, discrezionale e dispotico. La società non può superare la giustizia. Quando lo fa, con trucchi e astuzie avvocatesche di rinvio, induce nei cittadini un senso di solitudine e di insicurezza che inghiotte il diritto del più debole e frantuma così il fondamento di ogni democrazia matura. Quando lo fa con procedure forzate che invertono le ragioni e artifici di tempo per favorire i torti, disarticola il nostro fragile equilibrio di civiltà che garantisce sufficienti margini di sicurezza e di democrazia nella vita quotidiana. E da noi lo fa ormai troppo spesso.

Elisabetta Rizzo


PocketPC visualization by Panservice