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Latina. Giustizia: l'equilibrio della nostra civiltà. Maurizio Calvi (Udeur): «La relazione di Favara rappresenta una presa di coscienza»
Secondo il sociologo Bauman la società più giusta è quella che pensa
costantemente di essere ingiusta. Poiché la società è un permanente
avvenire, la sensazione che ci possa essere un livello di giustizia non
ancora raggiunto, stimola le parti sociali e i soggetti politici a
cercare
livelli di giustizia più alti e migliori.
Se questo è vero, la relazione del Presidente Generale presso la Corte di
Cassazione, Francesco Favara, rappresenta un insuperabile contributo per
il miglioramento della nostra società: la presa di coscienza di una
ingiustizia diffusa per una società dalla giustizia cercata.
Ma non è così. Purtroppo.
La nostra è una società dalla giustizia tradita. Ciò che manca in Italia,
non è la competenza tecnica nel riconoscimento del deficit, ma una
coscienza politica. Pertanto la individuazione chiara del disagio sociale
e dei vuoti di civiltà, che all'inaugurazione di ogni diverso Anno
Giudiziario il magistrato di turno è in condizione di individuare, non si
traduce mai in un atto legislativo. Tanto meno in un fatto giuridico.
Restano urla nel deserto, sempre meno forti, che si perdono, dopo l'eco
di
qualche giorno, nell'immenso e confuso vociare della comunicazione. Un
conservatore intelligente come Longanesi, aveva perfettamente colto
questo
spirito tipico nazionale, tant'è che amava ripetere che gli italiani alle
ristrutturazione preferiscono le inaugurazioni.
E allora all'Alto Magistrato, nella pomposa inaugurazione dell'Anno
Giudiziario, non resta che sciorinare l'almanacco delle nefandezze:
aumentano le truffe informatiche e telefoniche, le violenze sessuali, i
maltrattamenti familiari verso i bambini, e gli omicidi. Il profilo della
ingiustizia è tanto più evidente se si pensa che l'81% dei delitti
denunciati restano sconosciuti e la maggior parte di quelli noti sono
impuniti. Ciò a causa, prevalentemente della lungaggine processuale e
dell'eccessivo numero di persone coinvolte che accresce il generale
malcontento. Si tratta, dunque, di una acerrima autoreferenzialità:
l'ingiustizia che dovrebbe eliminare l'ingiustizia, nella sua essenza
qualitativa, produce ingiustizia e dunque anche insicurezza.
Altro che Bauman!
Alla fine il mondo della giurisprudenza diventa un sistema isolato dai
cittadini, che ne subiscono quotidianamente, come imputati o parti lese,
le disfunzioni e talvolta le aberrazioni. Un sistema chiuso, fatto di
sigle, parole incomprensibili, riferimenti oscuri a norme inaccessibili
che, ignorando l'esigenza di sicurezza di cittadini impauriti, alimenta
esclusivamente la professione degli avvocati, dimentico e indifferente
alla prestazione sociale di giustizia a cui dovrebbe assolvere. Ecco
un'altra, ben più acerrima, autoreferenzialità: coloro che fanno
funzionare la giustizia parlano tra loro di una giustizia che non
funziona
e, proprio perché non funziona, ha bisogno di loro.
Un esempio? "Il gran numero di ricorsi a carattere esclusivamente
dilatatorio, - dichiara Favale - per pervenire alla prescrizione o
comunque differire il momento della esecuzione della sentenza, ha trovato
risposte parziali nella giurisprudenza delle Sezioni unite nella
inapplicabilità della prescrizione in caso di ricorso inammissibile".
Di chi è la responsabilità?
"Il legislatore dovrebbe...".
Certo il Legislatore dovrebbe, ma non fa.
La Casa delle Libertà ha accatastato la giustizia in cantina, in attesa
di
buttarla, appena può, definitivamente nei rifiuti. Il Governo e la sua
maggioranza di centro destra, schiacciata dalla urgenza degli interessi
personali e la smania di una vendetta collettiva, ha dimenticato di
riformare la giustizia italiana e l'ha lasciata ammuffire tra polvere e
ragnatele.
Per amore o per calcolo?
Non so.
So però che una società senza giustizia è una società profondamente
tradita, una società ingannata e delusa, provata nella sua stessa
identità. "Diligite Justitiam Qui Judcatis Terram", amate la giustizia o
voi che giudicate la terra, diceva Dante, perché la libertà è connaturata
nella vostra stessa vita, è genetica, mentre la giustizia è il prodotto
del vostro governo, del vostro sistema sociale.
So per certo, dunque, che un sistema di giustizia non può essere relegato
alle beghe e agli interessi di una qualsiasi maggioranza. Ha una valenza
Costituzionale e la sua riforma deve essere attuata con lo stesso spirito
super partes con cui si riforma la Costituzione. Oltre gli schieramenti,
oltre gli interessi personali, nel rispetto degli interessi individuali
che una società solidale e tollerante reclama.
So infine, che nel vuoto di giustizia che, per inefficienza ed
inefficacia, il sistema produce può cadere la nostra democrazia.
La giustizia tradita è il primo inequivocabile sintomo di un regime
totalitario, discrezionale e dispotico.
La società non può superare la giustizia.
Quando lo fa, con trucchi e astuzie avvocatesche di rinvio, induce nei
cittadini un senso di solitudine e di insicurezza che inghiotte il
diritto
del più debole e frantuma così il fondamento di ogni democrazia matura.
Quando lo fa con procedure forzate che invertono le ragioni e artifici di
tempo per favorire i torti, disarticola il nostro fragile equilibrio di
civiltà che garantisce sufficienti margini di sicurezza e di democrazia
nella vita quotidiana.
E da noi lo fa ormai troppo spesso.
Elisabetta Rizzo
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