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Latina. L'orgoglio socialista. Gianni De Michelis: «Tangentopoli è stata anche un'arma tutta politica per far sparire la nostra tradizione»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Gianni De Michelis, segretario
nazionale del Nuovo PSI.
Si è chiuso il congresso. Che temi sono emersi? Quali priorità?
«Abbiamo affrontato due problemi, fondamentali. La questione socialista
e la questione italiana. Un lavoro che da anni portiamo avanti è la ricostruzione
di una grande forza socialista, autonomista, riformista e la rinascita di
un partito che possa finalmente chiamarsi con il suo nome.
E poi i problemi italiani: economici, sociali; un declino che si può trasformare
in collasso. Occorre lavorarci su. Il rischio è forte e i tempi sono stretti.
La nostra tesi è che tra queste due questioni c'è un nesso forte.
La difficoltà politica italiana è anche causata dalla manipolazione forte
che è stata fatta da tangentopoli, facendo sparire la forza socialista. Rimettendoci in campo
contribuiremo a risolvere i problemi del Paese».
Continua la diaspora dei socialisti? «No. Per me la questione è risolta. Ci facciamo carico
noi, PSI, di offrire un punto di riferimento a chi vuole essere socialista anche nel futuro.
Una cosa viva che si misura sui problemi di oggi e del futuro.
Noi non riteniamo possibile un dialogo con l'attuale centrosinistra. Vogliamo discutere
e confrontarci con la Casa della Libertà, con le altre forze dell'area laica e riformista».
In merito alle possibili alleanze, non ritiene che la Casa della Libertà applichi
una politica troppo proibizionista? Noi ci ricordiamo il PSI delle grandi battaglie
per le libertà civili, assieme al Partito Radicale... «Con i radicali c'è una vicinanza
fortissima, anche oggi. E chiederemo anche a loro di costituire questa area laica e riformista.
Siamo con loro per il referendum. Saremo in prima fila per la battaglia sulla fecondazione
assistita, anche se non siamo forse il linea con il governo attuale, così come siamo
stati coi radicali nelle grandi battaglie per il divorzio o l'aborto pur stando al governo
con la Dc». Lei ha parlato di una differenza tra la conquista e l'utilizzo del voto.
E ne ha fatto la discriminante nell'analisi delle capacità politiche di Craxi e Berlusconi...
«Sì, è un'osservazione politica spicciola. Ci sono due obiettivi: la conquista del consenso,
e qui Berlusconi è un maestro. E il suo uso, dove primeggiava Craxi che non a torno
è stato definito il più grande statista della seconda metà del secolo scorso, forse
pure più di De Gasperi». A cinque anni dalla sua morte, come definirebbe oggi il suo impegno?
«La sua è stata una vita caratterizzata da grandi successi. Fino alla fine tragica, all'esilio
dove lo si è fatto morire. Quando si poteva consentirgli di ritornare in Italia non si è
avuta la correttezza di farlo. Se si fosse curato in Italia forse sarebbe ancora tra noi.
Ecco, noi non vogliamo rendere vano il suo sacrificio e vogliamo rimettere in campo un grande
partito, il suo partito».
Elisabetta Rizzo
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