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Latina. Segni e significati strategici delle alleanze italo-americane. Il successo del nuovo elicottero tricolore: il presidenziale "Marine One"
Il grande successo conseguito dall’industria aerospaziale italiana con la vittoria conseguita negli USA per la scelta e l’adozione dell’elicottero EH101 “Merlin”, ribattezzato
oltre Atlantico US101, quale “Marine One”per il Presidente americano, è un fatto che assurge a rilievo mondiale. E ciò sia come “immagine” di per sé, sia nell’ambito
delle politiche di acquisizione delle macchine e dei prodotti tecnologicamente avanzati. L’entusiasmo che ha suscitato in Italia, su tutta la stampa nazionale e come fatto
del tutto inatteso per la stragrande dei cittadini, è ben comprensibile, così come quello suscitato nel Regno Unito. Ma lo è soprattutto per noi italiani, in quanto la Agusta
aveva appena finito di versare nello scorso dicembre la seconda trance per la completa acquisizione della consociata inglese Westland (già da anni rilevata dalla società GKN),
facendo quindi di questo colosso mondiale, che concorre con la franco-tedesca Eurocopter e l’americana Sikorky, una società del gruppo Finmeccanica a capitale interamente
nazionale. L’accordo peraltro contempla che gli inglesi continueranno a fornirsi di elicotteri Agusra-“Westland” e ad usufruire dell’assistenza tecnica per la linea dei loro
elicotteri, compresi i vecchi Lynk di produzione anglo-francese.
L’entusiasmo suscitato non deve però produrre falsa informazione e soprattutto idee ingannevoli, sia fra i cittadini che, soprattutto, fra i politici a digiuno di queste cose o
perché intenzionati a sfruttarli in maniera demagogica. Ad esempio, ingenerando l’idea che nel settore della tecnologia avanzata gli italiani siamo fra i primi della classe a
livello mondiale. Su queste cose, ho avuto molte occasioni di scrivere e di documentare per i lettori la realtà nazionale e internazionale. Per dirla in breve, con dei raffronti di effetto
immediato, ricorderò che la nostra industria della tecnologia avanzata (aerospaziale, elettronica, cantieristica militare) è da anni scesa ben al di sotto delle 40.000 unità, a
fronte del mezzo milione di impiegati in Francia e nel Regno Unito, e agli otre 600.000 dipendenti del Regno Unito e che essa, per quanto è presente in quasi tutti i maggiori
progetti o attività produttive internazionali, occupano complessivamente degli spazi marginali. Come ha ricordato l’ing. Guarguaglini, Presidente e Amministratore delegato
della Finmeccanica, Premio Capo Circeo 2003, artefice delle strategie vincenti del Gruppo, nell’intervista di domenica scorsa al Corriere della Sera, Berlusconi e Blair hanno
dato un grosso supporto all’operazione “US101”, ma ancora poco o nulla viene fatto concretamente in Italia per partecipare a livello più ampio in attività di ricerca, produzione
e di vendita di tecnologia che produce competitività, ricchezza e lavoro. Ciò lo testimoniano in particolare i tagli spaventosi alla ricerca e all’acquisizione nell’ambito dei bilanci
del Ministero della Difesa, e, invia direttamente specifica, gli ordinativi complessivi previsto per l’EH101 per l’appunto.
In verità, l’inettitudine e l’incapacità politica nazionale continuano a essere proverbiali, come e non di meno degli anni del dissesto del settore provocato dalle scelte
autolesionistiche dei governi del centro-sinistra all’indomani della caduta del muro di Berlino. Inoltre, l’Italia, in quello che i nostri politicanti hanno definito con un
preziosismo linguistico tipico dei produttori di fallimenti, “nicchie” (e soltanto nicchie) tecnologiche, ebbe e conseguire grandi successi con la coproduzione del
cacciabombardiere Tornado con Germania e Regno Unito (ma mentre gli inglesi “piazzavano” ordinativi all’estero, noi ci limitavamo a comprare un parco velivoli di soli cento “pezzi”).
Inoltre, ha conseguito e continua a conseguire un grande successo a livello planetario nella produzione di radar e artiglierie navali di medio e medio-piccolo calibro, come il
cannone da 76/62 per impiego polivalente (compreso antimissile) e vero gioiello ai vertici della tecnologia, adottato anche dalla US Navy.
L’elicottero Merlin, mezzo sicuramente caro ma anche il più avanzato della categoria medio-pesante, ha già riscosso un buon successo, visto che è stato adottato anche
da danesi, portoghesi e giapponesi, e continuerà certamente a riscuoterne. Pertanto, la mancata scelta dell’amministrazione americana in suo favore non avrebbe
compromesso il mercato delle vendite. Certo e tuttavia è da dire, come ho detto, che l’immagine dell’elicottero italiano come “Marine One” della Casa Bianca non potrà
che rafforzare la posizione di maggiore credibilità e forse predominio nel mercato specifico.
La decisione statunitense non è comunque da imputare soltanto alla bontà della macchina, un trimotore in grado di fornire elevate prestazioni, rispetto al concorrente
dell’americana Sykorky, un bimotore risultato di meri aggiornamenti e non una cellula progettata interamente ex novo. E neppure alle pressioni esercitate da Berlusconi e
da Blair, se non in funzione di un certo grado di riconoscimento per il coinvolgimento nella guerra irachena (su questo punto, bene farebbe Berlusconi a non dormire e a
pensare di caricare al massimo le artiglierie da puntare sulla Casa Bianca per la riforma del Consiglio di Sicurezza e per il posto permanente all’Italia nel Consiglio di Sicurezza).
I retroscena che hanno guidato verso la scelta della macchina italo-inglese sono diversi e di sicuro peso: senza di essi sarebbe stato impossibile superare la campagna
politico-industriale Usa per comprare un prodotto stelle e strisce e a nulla sarebbe valso il coronamento della pressione di Roma e di Londra, Cerchiamo di vederli brevemente.
Innanzitutto, gran parte della tecnologia imbarcata sull’elicottero sarà americana e il velivolo sarà prodotto interamente negli States (investendo anche nello Stato in cui risiede
il nocciolo della Sikorky), attraverso l’alleanza con la Lockheed Martin, il gigante dell’industria aerospaziale mondiale assieme alla Boeing. Inoltre, l’alleanza con la Lockheed è
il risultato di giochi sicuramente complessi, entro i quali va letto necessariamente l’andamento di tutta l’operazione del nuovo US101. Questi giochi includono parzialmente il
velivolo da trasporto tattico erede del G222 Aeritalia, il C27J Spartan, ormai da considerarsi a tutti gli effetti un mezzo italo-americano (e infatti alla consociata americana spetta
la commercializzazione, che non guardacaso è la Lockheed Martin), che incontra difficoltà di vendita per il costo e la notevole concorrenza di velivoli di prestazioni inferiori
come il Casa spagnolo, ma certamente meno cari. Inoltre, non è da dimenticare, nella cornice d’insieme, che l’industria aerospaziale italiana ha ottimi livelli di partecipazione
e di acquisti nell’industria dell’aviazione civile, per cui ne fa un partner privilegiato rispetto ad altri Paesi europei maggiormente o totalmente coinvolti nell’attività della Airbus,
alla quale pure partecipano le nostre aziende; e che l’Italia fece giustamente il “gran rifiuto” di partecipare allo sviluppo e alla produzione e all’acqusizione del primo velivolo
da trasporto strategico europeo (di fatto, in gran parte franco-anglo-tedesco), inidoneo a imbarcare un mezzo corazzato (cosa che ci dovrà portare in un futuro spero non
remoto ad acquisire qualche aereo USA C5 da trasporto strategico, come già hanno fatto gli inglesi che partecipano anche all’altro progetto europeo). Infine e soprattutto,
l’Italia partecipa come partner di primo livello assieme al Regno Unito (ma con una percentuale dimezzata) e all’Olanda al progetto e allo sviluppo del nuovo velivolo da attacco
al suolo STOVL supersonico, l’ F35 Joint Strike Fighter, erede del Sea Harrier. Su questo aereo rivoluzionario, gli Usa stanno investendo cifre colossali (finora 45 miliardi di dollari),
per cui, anche se hanno aperto sotto forma societaria la partecipazione a una dozzina di Nazioni amiche, il predomino finanziario e tutto il cuore del sistema rimangono
americani e gelosamente “secret”. I mille miliardi anticipati dall’Italia sono pertanto cosa percentualmente irrisoria. Se pensiamo che gli americani, e non soli, sono
assolutamente certi che venderanno molte centinaia di velivoli (l’Italia li acquisterà in alcune decine di esemplari non solo per la Marina – vera anticipatrice di scelte
avvedute – ma anche per l’Aeronautica), e, negli anni, sicuramente migliaia, e che questo li riporterà a una condizione di sicuro predominio mondiale per tutta la prima
metà del secolo, assieme al caccia da superiorità aerea Raptor, di prestazioni e costi ben superiori al nostro nuovo Eurofighter, possiamo capire che la logica delle cose
porta a esigenze di rafforzamento di alleanze industriali, di equilibrio e di compensazioni. In piccolo, così accadde anni addietro per l’adozione della pistola Beretta da
parte delle forze armate americane. In un contesto talmente ampio e finanziariamente enorme e complesso, il grande successo dall’elicottero italo-inglese, oggi tutto italiano,
va quindi riconsiderato ma non sminuito. Da tutto ciò è sempre utile e non mai tardi per capire, politici e cittadini italiani, al di fuori dai soliti ritriti demagogici schemi,
cosa significa investite in questi settori, e quanto dobbiamo alla geniale intraprendenza di alcuni gruppi di manager e di ricercatori, non ultimo lo stratega delle più
importanti operazioni di questi ultimi anni anche nell’ambito degli investimenti nei satelliti per telecomunicazioni, Pierfrancesco Guarguaglini.
Domenico Cambareri
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