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Latina. Elezioni in Iraq. Domenico Cambareri: «Ma vuoi vedere che alla fine bisogna dare ragione all'America e gli invasori diventano liberatori?»
Il successo della partecipazione popolare alle elezioni in Iraq, al di là da ogni possibile distinguo e da ogni precisazione specifica, costituisce un inaspettato e incontrovertibile
responso. Esso ha indicato come la maggioranza del popolo iracheno ha dimostrato di volersi riscattare dalle condizioni di generale sudditanza a cui è stato per decenni sottoposto,
e di diventare oggetto attivo della vita politica nazionale. La nuova sudditanza a cui ha dovuto soggiacere dal momento dell’invasione anglo-americana e della caduta del regime
di Saddam Hussein è stata quella delle terribili, fanatiche e in buona parte imprevedibili operazioni delle bande del terrorismo islamico-esclusivista internazionale che ha scandito
con cadenza quasi quotidiana il bagno di sangue di questi ultimi due anni.
È difficile valutare in tutta la sua portata l’importanza di questa partecipazione, così come è difficile prevedere come e quando le nuove forze di polizia e la nuova guardia
nazionale, ma soprattutto le truppe degli “invasori liberatori” diventati adesso, alla prova dei fatti, alleati a pieno titolo, riusciranno a sconfiggere o quantomeno a ridurre a un
fattore marginale e in generale poco incidente nella vita civile, ma probabilmente endemico, l’attività di questi fanatici della crociata islamica, così come quella delle residue quinte
colonne del rais deposto e quella di alcuni gruppi di oltranzisti sunniti. Sul piano strettamente militare, il controllo del territorio è stato – come era ben prevedibile – il difficile scotto
e l’ininterrotta causa dell’emorragia a cui sono state e sono sottoposte le truppe della coalizione, ad iniziare da quelle statunitensi. La facilissima vittoria anglo-americana sul campo
e la contenuta, settoriale serie di sacche di resistenza dell’esercito iracheno, avevano chiaramente anticipato il classico ricorso alle operazioni di guerriglia e di terrorismo, del
“mordi e fuggi” dei fedelissimi di Saddam Hussein. Poco prevedibile nelle sue dimensioni era semmai stata la capacità d’azione dei terroristi, soprattutto il ricorso continuo,
incessante agli attacchi suicidi.
Non può e non deve sfuggire inoltre la considerazione che è stato messo in atto un quasi scontato “passa parola” frutto di un diffuso convincimento individuale e collettivo
dell’andare a votare come unica ed esclusiva possibilità di oggettivare in termini definitivi all’interno della loro nazione e nel mondo intero una scelta che non può essere
scaturita esclusivamente dalle decisioni prese dai capi religiosi (peraltro, in via ufficiale e generale, solo di quelli sciiti e non certo di quelli sunniti) e da quelli tribali. Spero che
questo non sia un mio errore di valutazione dovuto all’“occidentalizzare” eccessivamente i moti d’animo e i pensieri degli iracheni. Ritengo soltanto non adeguato a dare valide
spiegazioni il fatto di imputare per l’appunto la totalità della decisione all’unicità delle direttive dei capi religiosi e dei capi clan, almeno per quanto attiene agli abitanti delle maggiori
città. Centri nei quali risiedono sì la maggioranza delle istituzioni e dei centri culturali e dei luoghi di culto religiosi, ma anche in cui si è sedimentato da decenni un non indifferente
grado di occidentalizzazione di quei ceti che hanno avuto un più proficuo rapporto con la cultura e i modelli politici e di vita occidentali, non disdegnati dallo stesso Saddam Hussein.
Quindi, senza dimenticare che questo Paese aveva avuto ed ha perduranti e positivi scambi a tutti i livelli con l’Occidente nel suo complesso.
La sorpresa generale che ha destato nella stampa, nel mondo politico e nell’opinione pubblica internazionale la partecipazione al voto come diretta “indifferenza” e non semplice
sfida ai protagonisti del terrore arrivati da ogni dove da oltre frontiera, non può non generare una serie di nuove considerazioni e di radicali riflessioni, in base alle posizione individuali
e politiche in precedenza assunte. Ciò è stato dimostrato ad esempio dal presidente della Repubblica francese, il quale ha telefonato al presidente americano Bush per congratularsi
dell’esito elettorale universalmente inaspettato. E’ strano che invece in Italia la coalizione di centro-sinistra prenda una decisone “unitaria” superata e bruciata in tutto e per tutto
dall’esito elettorale. Andare a votare con il rischio di saltare in aria o di essere mitragliati o sgozzati, non è stata cosa da poco per uomini e donne sottoposti al silenzio e a covare
solo il rancore, l’odio, la paura, e a reprimere ogni moto di rivolta e di desiderio di libertà che scaturivano dal profondo dell’animo. Con questa coraggiosa decisione, gli iracheni
hanno dimostrato al mondo intero di potersi riappropriare della libertà di decidere e di organizzare le loro rappresentanze elettive.La presenza dei soldati americani, inglesi, italiani e
di altre nazionalità ha garantito loro un grado di sicurezza non totale di fronte all’imprevedibilità e all’ubiquità dei possibili attacchi suicidi, anche se ha suscitato e indotto
certamente una condizione psicologica di insostituibile supporto, ma non ha certo determinato, così come nel caso delle decisioni assunte dai capi religiosi, l’attivazione di un
predeterminato, meccanico imput. Ciò significa nient’altro che il popolo iracheno, lo Stato iracheni sono ridiventati da qualche giorno appena soggetti sovrani quanto di
espressione di determinazioni politiche autonome, non soggetti quindi alla tutela diretta dell’ONU. L’Organizzazione mondiale può e deve continuare a sovrintendere e a
verificare tutti i passaggi politici in base ai criteri di legittimità istituzionale, e può e deve verificare che le Nazioni della coalizione vi potranno rimanere solo se su richiesta effettiva
del governo iracheno, a sostegno e difesa dell’ancora fragilissima rinascita delle condizioni democratiche.
È quindi inconcepibile come in Italia i partiti politici moderati della bruttissima “Gad” possano farsi stritolare dal ricatto dell’ultrasinistra, da sempre antioccidentale a livello
di pregiudizievole meccanismo mentale e di confezionamento ideologico precostituito. In tanti desideriamo il ritiro dei soldati italiani, americani e inglesi dall’Iraq, ma è pur vero
che i desideri devono fare i conti con ragioni, esigenze, interessi ben più ampi, e che devono anche saper tacere, soprattutto quando si cònstata che delle scelte politiche e
strategiche errate o parzialmente errate hanno inaspettatamente e imprevedibilmente prodotto esiti positivi di così larga portata. Si abbia dunque il buon senso di riconoscere
tutto questo, e di sapere con realismo sceverare le questioni sul campo. Ma anche l’onestà politica di sapere dire che i diversi altri problemi che rimangono ancora aperti andranno
considerati e affrontati in un momento successivo. In attesa che l’ulteriore evoluzione del quadro politico iracheno e delle decisioni che dovrà rendere di pubblico dominio la
Casa Bianca forniscano elementi di riferimenti certi per arrivare a valutazioni e a scelte politiche più ponderate e coerenti con la realtà irachena e non con i preconcetti ideologici.
Domenico Cambareri
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