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Latina. Giornalismo malato. Oliviero Beha: «Ovvio che ogni penna offra la sua interpretazione dei fatti. Ma oggi si rinuncia alla libertà»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Oliviero Beha. Ieri è stato presentato, in un incontro curato dal Comune di Latina, il suo nuovo lavoro: «Sono stato io» (Tropea). In un'Italia ipercontemporanea, tanto caricaturale da sembrare vera, si aggira una strana figura di giornalista in crisi. In crisi esistenziale, per l'impatto con la cosiddetta età matura e la difficoltà di fare il padre. In crisi professionale, per la quasi impossibilità di fare il suo lavoro in condizioni normali, senza servire un padrone. In crisi politica, stretto com'è tutto il paese nel referendum quotidiano pro o contro Berlusconi. Ad un tratto la svolta, un amico gli consiglia di compiere un'azione eclatante che serva da sfogo a lui e alla nazione: un attentato. Da questo momento in poi la vicenda si snoda intorno alla preparazione di ciò che dovrebbe cambiare tutto e ridare un senso alla vita di chi lo compie e della collettività...
Come nasce questo libro? «Dal bisogno di spiegare l'Italia di oggi e dalla preoccupazione dell'Italia di domani. Racconta tante cose: la vita e le avventure di un giornalista. O meglio: la vita raccontata da un giornalista. Se avessi fatto il dentista o il fioraio l'avrei raccontata da un angolo diverso. E poi politica, sentimenti, famiglia, cultura che non c'è o che c'è molto meno». Un quadro drammatico. Come uscirne? «No, qui bisogna mettersi d'accordo. Uno scatta fotografie. Poi o il fotografo ha la macchina taroccata o è un filibustiere. Oppure è inutile prendersela con lui. Quindi ne possiamo uscire recuperando dignità, amor proprio, etica e se volete intelligenza. Dobbiamo porci questi problemi. Lasciando per un attimo perdere Berlusconi». La situazione del giornalismo in Italia... «Ogni giornalista ha le sue idee e in base a quelle dovrebbe interpretare. Accade però che il giornalista diffilmente oggi è libero. Ci troviamo di fronte a un giornalismo quasi schierato, con un quasi sempre più labile. Abbiamo a che fare, a destra come a sinistra, di un esercito di soldatini, con i vari gradi, che sarebbero passibili, in un Paese serio, del reato di falso ideologico». E la colpa in questo caso di chi è: del giornalismo o della politica? «Basti vedere quanti giornalisti poi si danno alla politica». Ed anche qui, il segreto per uscirne? «Ognuno di noi sa cosa deve fare. Se non lo fa o non ha gli attributi o non ha sufficiente onestà intellettuale per farlo».

Andrea Apruzzese

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