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Latina. Sulle inesistenti "radici cristiane" dell'Europa. Mario Leone (MFE): «Condivido le critiche all'anima clericale di An. E aggiungo...»

Caro Cascio. Innanzitutto ti manifesto la mia più grande solidarietà per l'episodio del "boia" e mi sembra veramente simpatico il tono che state dando al fattaccio sul sito. Nelle riflessioni da te fatte in merito alle affermazioni di Gustavo Selva pubblicate su ParvapoliS poco tempo fa hai, e condivido, sottolineato l'anima clericale di An che è tornata a chiedere l'inserimento delle radici giudaico-cristiane nella costituzione dell'UE. A tal proposito vorrei sottoporre a te e ai tuoi lettori un mio breve saggio sul nazionalismo e il federalismo che è l’estremizzazione positiva del termine Stati uniti d’Europa che, come sai, è stato più volte usato da personaggi che di cattolicesimo sapevano ben poco, prima Einaudi e poi Spinelli, memori della coniazione fatta da Mazzini e Cattaneo, come anche da te accennato nel tuo intervento. Quanto segue è stato pubblicato da me su una rivista del 1993 “Il Dibattito federalista” (EDIF editrice) e credo, permettimi l’azzardo, spazzi via alcune tenere lacunose parole quando si cercano realmente le radici del pensiero europeista, laico per definizione.
"La assoluta assurdità del principio di autodeterminazione nazionale deve essere palese a chiunque si sforzi anche solo per un momento di criticarlo; tale principio equivale all’esigenza che ogni Stato sia uno Stato nazionale, che sia limitato da un confine naturale, e che questo coincida con la naturale dimora di un gruppo etnico, sicché dovrebbe essere un gruppo etnico, la nazione, a determinare e proteggere i confini naturali dello Stato. Ma degli Stati nazionali di questo genere non esistono". Ecco come Karl Popper prefigura il principio dello Stato come Stato nazionale. Premessa di condanna verso ciò che ha rappresentato e rappresenta da decenni, da secoli il ‘feticcio ideologico' propulsore di barbarie e di massacri: il nazionalismo. Ad esso è opposto come risolutore di nefandezze il federalismo. Ma quale apparato socio-culturale tanto radicato nella storia contemporanea li fa sorgere e scontare? Il fatto nazio­nale è presente nella maggior parte delle guerre del XIX sec. È questa una caratteristica che differenzia i rapporti internazionali prima e dopo il 1789. Nell’Europa dell’antico regime, le ambizioni dei sovrani stavano alla radice dei conflitti. Nel XIX sec. il sentimento dinastico ha ceduto il passo al sentimento nazionale parallelamente al trasferimento di sovranità dalla persona del monarca alla collettività nazionale. Il fatto nazionale non è contrassegnato da nessuna ideologia determinata, non ha legami sostanziali con nessuna delle tre ideologie tradizionali (socialismo, democrazia, liberalismo), non possiede un colore politico uniforme. Tuttavia l’idea nazionale di solito non è autosufficiente: propone all’intelligenza politica una specie di quadro, che esige di essere riempito. Siccome l’idea nazionale ha bisogno di associarsi ad altre idee politiche, di amalgamarsi con altre filosofie, può entrare in diverse combinazioni, che non sono determinate in anticipo. L’idea nazionale può accordarsi sia con una filosofia di sinistra, sia con una ideologia di destra. Ecco perché può affermarsi l’esistenza di due nazionalità. La prima ha tendenze conservatrici e tradizionaliste, la seconda è incline alla democratizzazione della società e recluta i suoi seguaci fra gli strati popolari (la prima fra i notabili tradizionali). Il nazionalismo non deve quasi nulla alla grande rivoluzione del 1789, ma deriva da una seconda sorgente che non si richiama né alla democrazia né alla libertà: è lo "storicismo" che ispira la presa di coscienza delle particolarità nazionali. Mentre il nazionalismo nato dalla rivoluzione è più universalistico, lo storicismo pone l’accento sulla singolarità dei destini nazionali, sulla affermazione della diversità; e propone ai popoli di tornare al loro passato, di coltivare i loro particolarismi, di esaltare la loro specificità. Il patriota, erede del cosmopolitismo illuminista, considera la nazione una parte dell’intera umanità. Una nazione, quindi, ha credibilità solo se si pone al servizio dell’umanità. Questo è l’obiettivo del patriota figlio della rivoluzione francese. "Il vero patriottismo non è altro che l’espressione della più pura filantropia. Essa non si limita agli stretti confini di un paese e di una nazione", afferma Ise­tin. "Lo storicismo si oppone quindi all’universalismo astratto della rivoluzione; il sentimento, l’istinto contrapposto al razionalismo e al geometrismo. Si resuscita la lingua nazionale in cui non si vede soltanto un mezzo di comunicazione, ma una struttura mentale, grazie alla quale un popolo conserva la propria anima. Nel XIX secolo la lingua assume un’importanza crescente sia nelle ricerche erudite, sia nelle lotte politiche. "La nazionalità è sacra". Indicata a un tempo dalla tradizione, dalla lingua, dai segni di una attitudine o missione speciale, deve mettersi in armonia con l’insieme e operare per il miglioramento di tutti, per il progresso dell’umanità scrive Mazzini nel 1850, a Londra. Quando l’oppressione pratica una religione diversa da quella della nazionalità assoggettata, religione e nazionalismo si fondono e gli esiti di tale incontro sono la ferocia della guerra in difesa del principio nazionale contro la passionale fratellanza tra gli uomini del principio religioso. La storia, la lingua, la religione: queste sono le linee, ma anche gli obiettivi degli scontri. La storia dell’idea nazionale è quasi tutta compresa nelle oscillazioni fra il nazionalismo di sini­stra e quello di destra. In un primo tempo è contenuta fra il moto delle nazionalità e l’idea liberale, tra il 1815 e il 1830-40, deriva dal misco­noscimento delle aspirazioni nazionali da parte dei diplomatici. Ormai i due movimenti si confondono e in quegli anni "patriota" è il liberale che combatte per l’instaurazione di un regime di libertà contro le monarchie, e il nazionalista che vuole liberare il suo paese da un dominio straniero. In un secondo tempo, al subentrare del movimento democratico, il nazionalismo, tra il 1830 e il 1850, è sostenuto da una ideologia democratica. In Italia, la "Giovine Italia" animata da Mazzini combina l’aspirazione ad una Repubblica democratica con l’aspirazione all’indipendenza e all’unità d’Italia. Sul calare del XIX sec., nazionalità della stessa etnia prendono coscienza delle solidarietà che le legano, e abbozzano raggruppamenti in funzione di loro affinità. Ma prima del 1914 l’idea nazionale fa un nuovo voltafaccia, rovesciando le alleanze. Il nazionalismo diventa alleato dei conservatori.
Mentre le rivoluzioni del 1848 tendevano la mano ai patrioti italiani, proclamavano la pace mondiale, il nazionalismo francese dopo il 1870 è un nazionalismo suscettibile, spesso xenofobo ed esclusivo. Questa trasformazione prepara lo slittamento del nazionalismo europeo verso teorie autoritarie e verso il fascismo, dopo il 1918. Il movimento nazionale diventa principe dell’antisocialismo, dell’antidemocraticismo e dell’anti-liberismo, combatte contro tutte le forze che gli sembrano extra o sovrannazionali, sviluppando la xenofobia e l’antisemitismo. L’esito della trasformazione del nazionalismo lo conosciamo: una guerra mondiale culminata con l’incubo atomico e ora più che mai l’atroce carneficina della ex-Iugoslavia. La nazione è frutto delle orde barbariche, la conversione di alcune di loro hanno portato altre nazioni e la cristianità unita è stata un fallimento. È la forma di coscienza politica che tiene artificialmente divisi gli uomini col potere, afferma Albertini, e permette di mistificare il fatto che l’economia e la difesa vanno ormai ad occupare spazi sempre più ultra-nazionali rendendo i confini sempre più labili e non più conformi a quelli di un tempo che si presidiavano "con un esercito per la suprema difesa della patria". Ma come si può oggi trasformare questa Europa delle Nazioni in Europa Unita? Si chiede Le Goff: bisogna riuscire a trasformare il nazionalismo in patriottismo, un patriottismo che dobbiamo conservare nel cuore dell’Europa ma bisogna anteporre un patriottismo europeo ai nostri patriottismi nazionali. Così come era possibile salvare il cosmopolitismo, durante il Settecento coniugando il concetto dell’amor di patria al concetto illuminato del patriottismo (che abbiamo visto in precedenza essere favore per l’umanità); bisognava soltanto guidare l’uomo nel cosmo come facevano Montesquieu ed altri. E lo stesso Montesquieu aveva concluso la sua autobiografia concentrando l’analisi sul rapporto delle patrie più ridotte dell’uomo: il soggetto, la famiglia, la nazione e l’umanità: "Se sapessi qualcosa che mi fosse utile, ma che fosse pregiudizievole alla mia famiglia, la rigetterei dalla mia coscienza. Se sapessi qualcosa che fosse utile per la mia famiglia, ma non per la patria, cercherei di dimenticarla. Se sapessi qualche cosa che fosse utile alla mia patria, ma danno­sa per l’Europa, ovvero utile per l’Europa, ma dannosa per il genere umano, la considererei un crimine". Alla domanda di Le Goff si può rispondere con il mezzo del federalismo in cui "Serbando intatto ogni diritto di indipendenza quanto alla elaborazione dei problemi speciali noi possiamo tutti congiungerci, ordinarci e lavorare concordi ed affini alla loro applicazione pratica, alla emancipazione del popolo e dei popoli" (per citare Mazzini nel suo Manifesto del Comitato Democratico Europeo). Bisogna contrapporre la federazione alla fusione (che è cancellazione delle diversità) e non all’unità (che permette invece la diversità), e mostrare che un patto fra i popoli liberi è la sola via che può avviarli alla concordia e all’unità: ma ogni fusione conduce al divorzio, all’odio... Questa è l’immagine che offre Carlo Cattaneo nel 1848 dell’egoismo nazionalistico, e questa ancora è l’immagine, come per un ricorso vichiano, alla disgregazione della ex URSS e della ex Iugoslavia. Solo nella federazione si ha l’organizzazione della libera unità: "la libertà non vive e progredisce se non organizzata nell’unità, dove le antinomie si proporzionano nella più vasta e intesa comunanza" scrive Belloni nel 1944 in un uso saggio sullo stesso pensiero di Cattaneo. Libertà e non anarchia. Si è molto discusso se il federalismo non rappresenti una rinuncia all’anarchismo ed al suo modello. Per Proudhon il sistema federale è una concessione che è costretto a fare, è un processo irreversibilmente attuale; è una conseguenza necessaria del suo "droit communique", cioè dell’applicazione della giustizia all’economia politica. Lo spirito proudhoniano constata come autorità e libertà non possono realizzarsi compiutamente e che pertanto è necessario trovare un sistema in cui essi possano combinarsi tra loro, garantendo la salvaguardia di quanta maggiore libertà è possibile. Ottimo è il sistema federale. Questo è il sistema in cui quello che il "consociato sacrifica è meno di quello che acquista con l’entrata in società". E la Storia ce lo ha insegnato: dalla costituzione federale degli U.S.A. del 1787, da quel puro modello americano "avremmo pace vera, quando avremmo gli Stati Uniti D’Europa". Stati Uniti D’Europa: felice formula di popolarizzazione di un’idea, concepita da Cattaneo prima di ogni possibilità di realizzazione; non delimitazione e limitazione geografica della realizzazione vagheggiata. L’Europa non è un’isola. È piuttosto un principio. Un principio utopico o reale; ma di questa Europa, garante della pace perpetua kantiana, "L’esemplare sta forse nel cielo, e non è molto importante che esista di fatto in qualche luogo o che debba esistere; a quell’esemplare deve mirare chiunque voglia in primo luogo fondarlo entro di sé".

Mario Leone


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