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Roma. Il tempo e la stanza. Walter Pagliaro: «Noi viviamo nel nostro guscio;delle cose che ci sono vicine. E, per questo, ci troviamo sempre soli»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Walter Pagliaro, regista de "Il tempo e la stanza"
di Botho Strauss al Teatro India.
La stanza di un moderno edificio accoglie spezzoni di vita. La storia scaturisce
dalla testa di "tipi" lombrosiani: l'impaziente, l'addormentata, lo sconosciuto, l'uomo
senza orologio. Julius (scrittore? regista?) evoca Olaf (suo alter ego? amante?).
Insieme evocano Marie, la "donna scintillante" senza età che ha segnato gli ultimi
decenni: faro magico che guida o destabilizza, moderna Cassandra presaga di apocalissi
urbane. Nella scrittura di Botho Strauss, drammaturgo tedesco tra i più autorevoli
della scena contemporanea, il palcoscenico, polimorfico e ingannevole, è metafora del
mondo. Il tempo del teatro è un tempo impazzito, che sgretola la logica naturale e
ogni certezza d'identità.
Perché mettere in scena Strauss? «Perché è una commedia bellissima. E racconta di noi,
delle nostre paure, dei nostri smarrimenti». È inquietante l'apatia dell'uomo nella
sua inconcludenza... «Una malattia contemporanea. Noi viviamo nel nostro guscio.
Viviamo delle cose che ci sono vicine. E le conosciamo molto in superficie. Questo
ci dice Strauss. Ci fermiamo sulla soglia dell'immagine. Mai nel sentire più intimo.
Stiamo scivolando verso la solitudine».
Lei ha scritto "Il mondo, così come il teatro, è qualcosa di inafferrabile"...
«Sì, credo che sostanzialmente Strauss ci inviti a ripensare il passato e la cultura». Lei punta a rapporti sociali profondi? «Sono un osservatore del mondo appena più attento della media». Che non guarda la televisione... «La televisione non ce l'ho nemmeno». Prossimi impegni? «Tanti. Porteremo in giro questo spettacolo per l'Italia. Prossimamente saremo in Sicilia. Pirandello. E poi mi aspetta l'Opera lirica: la Norma di Bellini».
Elisabetta Rizzo
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