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Roma. Solitudine e Disperazione. Valentina Capone: «Un tremito incessante, trattenuto; la febbre incontenibile di una dolorosa sensibilità»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Valentina Capone, in scena al Teatro India con «Psicosi 4:48». Sarah Kane, una scrittrice che negli anni novanta ha sconvolto il teatro inglese prima di scomparire prematuramente. Prima del suo personale "ultimo atto" nel gelido febbraio 1999, prima che il sipario calasse sui suoi 28 anni appena compiuti, Sarah Kane ha compiuto un gesto distruttivo e rivoluzionario, scardinando i confini che normalmente separano vita e teatro, realtà quotidiana e finzione creativa: con poetica lucidità ha vergato sulla pagina bianca le linee di un dolore che nessuno aveva scandito e ritmato con una tale, sconvolgente essenzialità. Psicosi 4.48 è questo: l'agghiacciante prefigurazione di un gesto che religione e senso comune condannano. È la parola che denuda se stessa. È il male di vivere in presa diretta, pronunciato a gola spiegata, in piena luce, senza consolazione. In scena è Valentina Capone, autrice e interprete di Sole, e proveniente come altri componenti del Teatrosfera dal Teatro di Leo (di cui la compagnia mantiene nel nome il riferimento al teatro-laboratorio creato da Leo a Bologna). Regista è Davide Iodice, fondatore della compagnia Libera Mente, premio Ubu 1999, che così scrive di Psicosi 4:48 "Del grido resta una nota viva, dolorosa ma fatta gentile, che spinge al canto, alla melodia. Del 'gesto' resta il nitore di perla tragica, la sua incomprensibile sfericità. Della malattia resta la veggenza della febbre. (...) Del morire ci resta un comico svenire con cui ci perdoniamo l'un l'altro 'questa indecenza di sopravvivere'. Dirsi meravigliose bugie".
Claudio Ruggiero
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