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Latina. Lettera aperta sull'Indipendente. Antonio Pennacchi: «Generale Pollari, gli ammazzi il capo della Cia. Dopo gli chiediamo scusa»

Egregio generale, io non lo so che cosa avrebbe fatto Craxi e nemmeno so - come dice Berlusconi secondo Repubblica - se "ci possiamo giocare quattro anni di lavoro con Washington per questa storia". Quello che però so è che dietro quelle mani - le mani di Ciampi su quella bara - c'era, per via estetico-mitopoietica, il sentimento unitario della nazione, che mai s'era espresso così compatto, almeno a partire dalla conquista dell'Impero e dal mondiale, assai meno doloroso, di Spagna. Calipari d'un soffio - col soffio vitale suo - ha costruito la pacificazione di tutti, di destra e di sinistra, con le istituzioni ed i servizi, che non significano oramai più solo valigette sopra i treni. Dietro quelle mani, su quella bara, c'è tutta la nazione unita ed orgogliosa. Ma anche, e soprattutto, violata ed offesa. Qui difatti le cose sono due: o io sono uno sprovveduto o tu mi stavi aspettando, tertium non datur. Dice: "No, il coglione è quello che ha sparato". Certo, la colpa verrà data al marine che verrà anche magari, per la nostra soddisfazione, sbattuto in galera: "Tante scuse e arrivederci e grazie, alleati come prima". Il che può stare pure bene, per ragion di Stato. Ma tu non mi puoi venire a raccontare che l'élite dei miei servizi, gli uomini migliori del Paese - un poliziotto con alle spalle chissà quanti posti di blocco e un maggiore dei carabinieri che ha fatto accademia, scuola di guerra, corsi di specializzazione e d'ardimento, il meglio del meglio della mia tradizione militare - si presentano davanti a te con movenze e cautele tali da originare "un deprecabile incidente, una fatalità", come lo zingarello di 15 anni che ruba la sua prima macchina. Non ci credo. Tu m'offendi. E io e lei, generale Pollari, e tutta la nazione sappiamo - per via estetica perlomeno, e dietro quelle mani su quella bara - che tu li stavi aspettando. E aspettavi proprio loro, non la Sgrena, ti fregava assai della Sgrena, aspettavi proprio loro per un regolamento di conti, un regolamento di conti tra servizi alleati: "E come ti permetti? Così impari". Non so a questo punto cosa è meglio che faccia il governo. Tornare? Restare? Non voglio strumentalizzare. Per me in Iraq, a dire il vero, era meglio non esserci proprio andati ma, una volta che ci sei andato, ci devi saper restare con onore. Non puoi andare e venire come ti pare e un alleato è un alleato. Ma è un alleato appunto, non un cameriere o un subalterno. Il governo quindi - a prescindere da quello che avrebbero fatto Craxi, Togliatti o Mussolini - faccia quello che ritiene più giusto, secondo ragion di Stato. Accetti pure le scuse se crede e se sente, io non so. So però, mio caro generale Pollari, quello che dovrebbe fare lei. La morte di Calipari ha unito il Paese all'interno, ma i modi della sua uccisione ne hanno umiliato l'onore all'esterno, umiliando in primis l'onore dei suoi servizi. Le scuse possono bastare al governo e alla ragion di Stato, ma non a lei, ai servizi e alla nazione. È una questione, appunto, di onore. Restituisca il colpo. Gli ammazzi il capo della Cia, o similare. Dopo chiediamo scusa e amici come prima. Anzi, anche di più. Dopo però, sull'uno a uno. Sull'uno a zero per loro non ci sono scuse, facciamo la figura degli àscari. E che madonna, solo piazza Fontana? Per piacere, generale Pollari, gli affondi almeno una nave nel porto di Gaeta.
P.S. - La polemica sulla liceità del riscatto è pretestuosa e depistante. E chi lo ha detto che per il senso dello Stato sarebbe più giusto non pagare? Ma che, per caso, D'Avanzo e Luttwak di Stato ne sanno più di Giulio Cesare? Cesare, rapito dai pirati, paga regolarmente il suo riscatto. Poi, una volta liberato, ritorna lì con la flotta e li scanna tutti. Questo sì che è senso dello Stato.

Antonio Pennacchi


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