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Latina. Facce da culo. Dopo le anticipazioni su ParvapoliS Pennacchi su L'Indipendente: «I veneti facessero un monumento ai terroni...»
Primi decisi risultati della campagna di penetrazione leghista sul fronte di Latina: domenica prossima, a cura di una associazione di veneto-pontini, nel centralissimo Piazzale dei Bonificatori verrà inaugurato un "Monumento alla gente veneta emigrata in Agro Pontino per la bonifica e la colonizzazione delle Paludi". In realtà non erano solo veneti e, assieme alle 900 famiglie di cui il monumento immortalerà i nomi, ce ne erano perlomeno altre 2100 di friulani e ferraresi, declassati d’imperio. Già per questo – anche se veneto per parte di madre – l’operazione mi pare, culturalmente, una stronzata.
La colonizzazione è difatti cosa assai distinta dalla bonifica, la quale venne fatta in un primo tempo, a partire dal 1926, da circa 30 mila operai provenienti da tutte le regioni italiane, massimamente toscani e laziali dei locali monti Lepini. Finita la bonifica, questi operai tornarono a casa e a loro, giustamente, la città dedicò quel piazzale: "Piazzale dei Bonificatori".
Solo dopo la bonifica si dà avvio, a partire dall’ottobre 1932, alla colonizzazione Onc (Opera nazionale combattenti), con l'arrivo delle prime famiglie destinate a risiedere sui terreni: veneti, friulani, ferraresi, ma anche, ad Aprilia e Pomezia, forlivesi e trentini. Questa biblica migrazione Onc – con forti connotati combattentistici, ma anche con altrettanto forti conflitti con le popolazioni locali – segnerà per sempre, nell'immaginario collettivo italiano, l'epos ed il mito dell'Agro Pontino Redento. Ma accanto a questa ci furono anche – coeve – le colonizzazioni delle Università agrarie e dei privati, con oltre 2000 famiglie marchigiane, umbre e lepine (bassianesi, cisternesi, sermonetane e sezzesi).
L’odierna operazione dunque – situando il suo monumentum sullo spazio specifico "dei Bonificatori" quando "bonificatori" non si è stati, ed escludendo addirittura al proprio interno i co-coloni friulani e ferraresi come a dire: "Ghémo fato tuto nantri veneti" – costituisce, oltre che un falso storico, un insulto a tutti gli altri. È arroganza etnica di stampo ignorante e leghista, più indrìo de la còa del musso come sappiamo essere solo noi veneti, non a caso la regione italiana con il più basso tasso di diplomi e lauree.
È chiaro che, in democrazia, chiunque è libero di farsi i monumenti che vuole e metterseli in giardino, ma non è libero di metterli su suolo pubblico, a rappresentare l’intera comunità. Non è chiaro invece perché la comunità – attraverso i suoi specifici assessorati alla cultura ed al degrado urbano – anziché impedire, consenta. Dio ne scampi dagli assessori, se i xè più ‘ndrìo d’i veneti.
Latina è città di migranti. Dopo quelli della prima colonizzazione ne arrivarono altri e continuano ad arrivare tuttora, cittadini a tutti gli effetti come i primi, compreso il rumeno che lavora e manda il figlio a scuola, figlio che parla latinese come il mio. Vuoi celebrare, costruendo finalmente un’identità - e pluribus unum - le migrazioni che tutti qui ci hanno portato? Chiama un artista qualunque e fagli fare una valigia di cartone, enorme e iperrealista, in cui tutti, compreso il rumeno, possiamo riconoscerci. No: "Gò fato tuto mì". E gli altri? "Teste de casso". Poi dice che i lepini non scendono dai monti e te lo spaccano.
N.B. - Mi piacerebbe che l’Indipendente lanciasse una sottoscrizione per erigere, nel centro di Treviso, un monumento ai terroni ed ai nordafricani – tutti notoriamente ad alto tasso di scolarità – che oltre all’economia hanno sollevato la cultura del Veneto.
Antonio Pennacchi
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