Parvapolis >> Cultura
Latina. Populismo cattolico, sopravvissuti a stento. Domenico Cambareri: «Un'eredità in chiaro-scuro». Considerazioni di un non-cristiano
In uno dei suoi eccezionali casi, la storia della Chiesa cattolica è stata con i funerali di Giovanni Paolo II quasi davvero cattolica nel senso proprio del termine, cioè universale (salvo i “mondi” russo e cinese). Un evento simile lo abbiamo avuto, con le dovute proporzioni mediatiche e spettacolari, politiche e storiche, durante il pontificato e in particolare durante i funerali del “papa buono”, il papa del Concilio ecumenico Vaticano II, Giovanni XXIII.
Se all’elevazione al soglio pontificio di quello che allora era un arcivescovo polacco, il New York Times lo definì “geopolitical pope”, come fa bene a ricordare Alberto Ronchey nel suo “pulpito planetario” sul Corriere della sera, e se oggi possiamo confermare in tutto il suo valore il significato di quella definizione, bene sarebbe menzionare un non meno importante giudizio espresso tempo addietro da Sergio Romano sulla politica ecumenica di Giovanni Paolo II. Giudizio con cui correttamente individuava una delle caratteristiche peculiari e costanti dell’attività del pontefice defunto: quella di imperiale.
I funerali di Karol Wojtyla (cognome che per anni abbiamo scritto in maniera diversa) hanno rappresentato in effetti qualcosa di unico, di epocale, che costituirà un punto di riferimento e una data obbligata nella storia che sarà scritta su questo inizio secolo. Essi, con la partecipazione di centinaia di capi di stato e di governo, di sovrani cristiani e non, di ministri e di ex governanti e con una partecipazione enorme di genti delle più diverse provenienze e anche di fedi, hanno infatti dimostrato quale elevatissimo grado di “appeal”, di successo, di simpatia e di attenzione avesse riscosso in gran parte del globo il papa. Egli su questo piano ha rappresentato sicuramente la migliore rivincita della Chiesa su di se medesima a proposito dei pregiudizi storici espressi fino in età contemporanea nei confronti della ricerca e dei prodotti tecnici più avanzati. Ma certo non dalle esigenze etiche che hanno dettato in parte giudizi estremamente guardinghi e di aperta diffidenza, giudizi espressi (quasi sempre a ragione) per l’uso spesso improprio o distorto che si fa degli strumenti di comunicazione, ad iniziare dalla produzione di stampa e di celluloide a fini di aperta corruzione dei costumi e di diffusione di modi di agire e di vivere moralmente depravati non solo secondo la morale cattolica.
Vedendo la sua azione a giro d’orizzonte, non si può sottacere di come egli avesse letteralmente sconvolto le tradizioni di chiusura, di auto-reclusione dei papi, e di come, sulle orme dei timidi iniziatori, i papi Pacelli e Montini, avesse finalmente utilizzato il jet come uno strumento di uso normale, come si utilizza insomma nella vita delle cosmopolite città nordamericane. Un papa che sostituiva la sedia gestatoria con l’aereo gestatorio, con l’elicottero gestatorio, con la seggiovia gestatoria, con la jeep blindata gestatoria. Un “pulpito planetario” in grado di arrivare ovunque, di colpire ovunque con le sue richieste, di portare benefici ovunque, anche se forse momentanei o solo emotivi alle misere plebi del terzo e del quarto mondo Un ovunque che però ha lasciato, con sua somma sconsolatezza, due giganteschi vuoti: quello russo e quello cinese.
Dall’indomani della sua elezione, questo papa dimostrò la saldezza delle sue convinzioni e la perseveranza delle sue azioni nel contesto del contenimento della sovranità limitata imposta dai russi con sempre più aspra e arrogante violenza ai popoli satelliti e in particolare a quello polacco. Si arrivò perfino a dire e a scrivere che questa eccezionale spina nel fianco dell’Unione Sovietica fosse stata la causa del disfacimento dell’impero comunista. La storia è stata completamente diversa. Lasciando stare il ruolo svolto dalla Provvidenza secondo il papa e secondo la Chiesa cattolica (o meglio: lasciando stare la lettura del ruolo svolto della Provvidenza alla Provvidenza stessa, poiché essa non è leggibile solo con l’occhio della fede che per i suoi non minori gravi limiti distorce e acceca), e lasciando stare la funzione di primario complemento svolto da Wojtyla sul piano di una guerra (non combattuta con le armi) psicologica e culturale ma innanzitutto religiosa contro l’ateo-materialismo di Mosca, la vittoria si deve più crudamente alla saggia decisione del presidente americano Reagan di fare installare nelle basi europee l’allora rivoluzionaria bomba a neutroni. Ciò nulla toglie al ruolo di primario concorso svolto dal “papa geopolitico”, se non aspetti di strumentalità del tutto inappropriata..
Wojtyla partecipò al Concilio ecumenico Vaticano II, e per quanto si sa dimostrò di condividere le scelte allora fatte dal Concilio e di averle, purtroppo spesso a parole, condivise fino alla morte. Senza tirare per il sottile la condivisione che esprimo per una parte dei rilievi fortemente critici espressi da anni dal teologo cattolico Hans Kung (ad esempio: sì per la critica alla non abolizione del celibato dei sacerdoti - creazione medievale che non ha nulla a che fare con i Vangeli e con la Chiesa di tutti i primi secoli -, no per il sacerdozio femminile giacché fu lo stesso Gesù a scegliere solo uomini - si tratta cioè di un’iniziazione “sacrale” solo su linea maschile e tale dovrebbe rimanere perché è uno dei pochi aspetti che si riallaccia direttamente al “fondatore”, anche se per quasi tutto il resto la dottrina teologica cattolica è una creazione più o meno spuria e sincretica -; sì per l’utilizzazione dei contraccettivi, no per il ricorso indiscriminato all’aborto come “diritto della persona”), e facendoli da non cristiano, non posso non porre in risalto che buona parte dei temi e delle battaglie affrontate dal papa hanno aperto problemi e lasciato nodi spesso irrisolti. Un’eredità molto in chiaroscuro? E’ difficile dare giudizi generalizzanti, è qui necessario muoversi su cose che partono da cose precise e arrivano a cose precise.
Questo papa si è spinto in maniera rivoluzionaria in avanti, compiendo passi dapprima impensabili e incredibili, “eretici” diremmo con un termine consono alla terribile tradizione cattolico-romana, come l’essersi recato in visita alla sinagoga di Roma che la Chiesa voleva che cessasse di esistere al momento dei negoziati concordatari, e avere chiamati i “deicidi” fratelli maggiori. Lo stesso quello dei passi impensabili e dello scalpore per quanto ha ripetuto a Gerusalemme sia con gli ebrei che con i musulmani. E, soprattutto, con gli altri cristiani nel 2000, in particolare con gli ortodossi di Istambul (Bisanzio). Ha chiesto perdono per i peccati commessi dai figli di Dio cattolici, ha chiesto scusa e comprensione per le persecuzioni messe in atto dall’inquisizione (con la salvaguardia di verificare la fondatezza delle accuse), per le colpe “cristiane” intrinseche al fenomeno del colonialismo europeo o per i diffusi e prima sempre nascosti casi di pedofilia e di omosessualità, ha fatto prosciogliere Galileo Galilei secoli dopo…e quanto si potrebbe ancora elencare? In tutto questo, Giovanni Paolo II pare avere fatta propria nei fatti e in spirito la lezione della Massoneria, con lo spirito di apertura, di tolleranza, di rispetto, di coesistenza e di polifonia delle diversità dei pensieri e dei credi su cui si basa il cuore della civiltà laica europea moderno-contemporanea, che oggi è indicata come modello universale ma talora in maniera eccessivamente, marcatamente esemplificativa, demagogica e strumentalmente e unilateralmente intesa come religione (fa bene a sottolinearlo Emanuele Severino) “laicista” e antisacrale tot court. Massoneria che riaffermava quello su cui si erano basate gli aspetti più qualificanti delle tradizioni antiche prima dell’orientalizzazione dell’impero romano e della nascita e dell’affermarsi delle fedi esclusiviste. Ma ci accorgiamo che in tutto ciò papa Vojtyla ha mantenuto eccessive riserve mentali: nel caso degli ortodossi, e in maniera spiccatamente evidente di quelli russi, l’idea che il chiedere scusa non implicava anche un dare l’alto là alla sua politica espansionistica di proselitismo cattolico nelle terre d’oriente. In riferimento alle altre fedi non cristiane, con l’avere riconosciuto per la prima volta che anche un non cristiano può essere salvato da Dio (ma quante cose facciamo dire a Dio?), e al tempo stesso con il mantenere la riserva mentale che queste fedi hanno una loro carenza radicale intrinseca. In riferimento al mondo degli animali, infine, nell’evitare di contraddire la splendida, atipica, unica presenza nel cattolicesimo di un santo come Francesco d’Assisi, con il superare il cieco disprezzo dogmatico, teologico e assiologico verso gli animali, affermando che essi rientrano nel piano della Provvidenza divina in maniera a noi sconosciuta. Tutte le aperture del papa, spesso palesatesi con rinvigorite manifestazioni di giovialità e di amore per il ruolo delle donne e per l’importanza dei giovani (fino all’invenzione del fenomeno dei papaboys) hanno portato ad un’accentuazione eccessiva, a volte smisurata quanto utile ma anche necessaria e irrinunciabile dei dati legati alla simpatia, ad una presunta ubiqua persistenza della condizione di reciproche empatie tra lui e i singoli delle moltitudini accorse quasi ovunque (ma non a Praga…) a salutarlo e a osannarlo anche se come un “divo”. Ad uno slargamento insomma puramente emozionale e del tutto privo di quadri di riferimento in cui i tratti della superficialità, della banalità perfino, sono stati riassorbiti e apparentemente ammortizzati da una regia di pan-messianismo. Certamente è immensamente preferibile questo ecumenismo messianico alle altre forme di utopia prosperate nel XX secolo soprattutto sul terreno delle ideologie e delle lotte armate. Non bisogna però dimenticare che il messaggio del papa, per quanto messaggio di amore, di fratellanza, di aiuto reciproco e di evitare le guerre con tutti i mezzi umani non violenti, è imprescindibilmente legato al concetto di proselitismo e al mantenimento di un retaggio di cultura religiosa di sensibilità atavica ma con un patrimonio etnico-religioso cristiano scarsamente millenario che hanno determinato una battuta d’arresto molto brusca degli effettivi contenuti del Vaticano II. L’accentramento papalino, imperiale, “romano” del potere decisionale ha ridotto il ruolo dei vescovi a meri funzionari mandati in terre lontane e lontanissime solo per applicare direttive. L’esorbitare del potere della curia romana è un fatto acclarato e degno di nota, così come i suoi reiterati tentativi di intromettersi sino ai livelli più spiccatamente decisionali e politici della vita dei popoli europei, come quelli italiano (il 25 marzo era la ricorrenza della firma del nuovo Concordato che a me pare che gli attuali governanti stanno irrispettosamente, apertamente e sistematicamente violando, anche in questi giorni di lutto, non lasciando ai cittadini libertà di spontanea, individuale adesione e imponendo decisioni scelte di aperto, ripetuto, interessato favoritismo), tedesco, spagnolo. Non si può negare ai sacerdoti e ai vescovi di esprimere la loro posizione e quindi quella della Chiesa in materie che concernono temi di natura eminentemente morale e non solo giuridica (come le problematiche sulla fecondazione e sulla bioetica). Ma altrettanto costoro non possono approfittare di ciò che è consentito per dilatare a dismisura le loro intromissioni e quelle papali fino a livelli esasperanti. Papa Giovanni Paolo II spesso ha saputo mediare fra queste esigenze, quando lo ha voluto, anche se su temi di particolare importanza (dal punto di vista della Chiesa intesa come un potere temporalmente costituito e soltanto di natura temporale), ma ha anche cercato di inficiare in tutti i modi le libere e sovrane decisioni dei poteri civili (vedasi la Convenzione europea e la querelle sulle inesistenti radici ebraico-cristiane di popoli di ben altra origine e di ben altro ethos, per quanto nei secoli “cristianizzati” secondo modalità che quasi sempre nulla ebbero a che spartire con i contenuti dell’originaria tradizione evangelica).
Senza cadere nella sciatteria di uno dei cronisti di Rai uno (mi pare dalla voce che fosse Bruno Vespa, con beneficio d’errore), il quale, in riferimento all’assenza del patriarca e della gerarchia della Chiesa ortodossa russa aggiungeva la frase che più meno suona così: “e della sua congrega” (era comunque presente il numero due del patriarcato russo), non si possono mettere a tacere tutte queste cose e altre ancora, altrimenti si cadrebbe in un’apologia, in un’acritica e fanatica esaltazione di un papa che ha dimostrato di sapere agire in grande, ma di non avere saputo sempre pensare in grande. Poiché la grandezza l’ha anteposta al solo raggiungimento degli obiettivi confessionali cattolici e non automaticamente cristiani o, più universalmente, di credente in quanto credente, o sul piano etico e su quello filantropico. Questo non annulla il ruolo, il significato, la portata della sua azione, semmai aiuta a focalizzarla meglio; così nel capire la sua incontenibile giovialità, perfino nei casi in cui gli serviva per esprimere dal suo punto di vista delle rampogne, vedasi il suo rivolgersi ai molti toscani che giocano a fare i massoni.
La stessa apertura, e lo stesso livello di comunicazione il papa li avrebbe dovuti applicare all’interno della sua Chiesa. Ma qui è stato rinsaldato l’assolutismo papalino. Ratzinger è l’espressione più emblematica dell’usbergo pontificio. Quali e quanti lontani quasi improvvisamente i tempi della teologia della morte di Dio, della secolarizzazione intesa come nuovo dogma ma da non accettare acriticamente e da contestualizzare e problematizzare, e del pensiero ferocemente anticristiano del cristiano di nascita Nietzsche (ma non contro Gesù) e dei tardi fedeli di Marx! Quale e quanto l’importanza della disfatta politica del comunismo!
Gli ultimi anni e gli ultimi mesi di questo papa sono stati degni di un uomo che ha saputo sopportare sino in fondo l’accanirsi del dolore e delle limitazioni fisiche, come ha saputo fare proprie le contraddizioni sue e dei suoi giovani supporter con i quali mai si è trattenuto a parlare esplicitamente degli argomenti più delicati dell’etica cattolica e in particolare dell’etica sessuale. Sono anni, mesi e giorni di lezione, perché dimostrano sino a quale livello l’ascesi spirituale può portare l’uomo ad accettare il male fisico, senza compromissioni teologiche e morali. Considerandolo soltanto come un dono di Dio, sempre, ma potendo fare a meno di quanto è ritenuto artificiale prolungamento della vita o accanimento terapeutico. Non certo quello di un volto di un vegetale che sorride, poiché la scienza che va difesa dalle invadenze delle gerarchie religiose è pure vero che spiega quel poco che sa e non quel tanto che non sa. Casi specifici in sincronia con l’approssimarsi della morte di Wojtyla, dai quali si ricava la completa assenza del diritto dei parenti di sangue dalle decisioni finali sulle sorti di una persona senza attività cerebrale rispetto a quelle del coniuge (Terry Schindler Schavo), in mancanza di quello che incominciamo frettolosamente a chiamare testamento biologico. In tutto questo, Wojtyla ha additato molto, che non vale solo per i cristiani. È questo messaggio che davvero diventa planetario e che sfugge ai giovanili gioiosi canti dei papaboys quasi Peter Pan o alle suore che battono le mani o al suo proselitismo e al suo imperialismo. Giovanni Paolo II ha cercato di portare il dolore delle stazioni della Croce di Gesù e il dolore di ogni singolo uomo, non solo il suo. Qui sta la sua grandezza finale. Come quella di Gotama che volle reincarnarsi per aiutare gli uomini a trovare la via oltre la malattia, il dolore, la morte.
Domenico Cambareri
|