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Latina. Israele, la democrazia occidentale contro il terrorismo palestinese. Guido Bedarida: «La tregua rischia di non bastare...»

In queste ore il primo ministro israeliano Ariel Sharon incontra il presidente degli Stati Uniti George W. Bush per esprimere le proprie preoccupazioni sulla tregua assicurata dall'Anp, tregua che pur avendo ridotto di molto la consistenza della seconda Intifada, non ha evitato sia il lancio di oltre cento colpi di mortaio in territorio israeliano sia la necessità che le forze di sicurezza israeliane effettuassero alcuni interventi tesi a prevenire attentati. Sharon sa che i gruppi terroristi palestinesi stanno approfittando di questi momenti per rafforzarsi e il presidente dell’Anp Abu Mazen non sembra sufficientemente deciso a fermarli. Osserva Guido Bedarida: «Il problema però è più profondo di quanto non possa sembrare ed ancora una volta riguarda l'affidabilità e la democraticità dell'Anp, unica garanzia per il mantenimento degli accordi presi con Israele. Infatti, mentre il mondo salutava le elezioni palestinesi come un grande traguardo e la base per la nascita di un nuovo stato, in pochi si ricordavano e facevano presente che tali elezioni, ammesso che fossero libere e democratiche, non bastano a costituire uno stato democratico che invece richiede, tra i suoi elementi fondanti, anche la corretta e certa amministrazione della Giustizia (il rispetto dei diritti umani, il rispetto delle regole, la loro certezza); l’ attuale gestione palestinese, figlia dei metodi dittatoriali di Yasser Arafat, è purtroppo quanto di meno democratico e civile vi possa essere. Se è vero infatti che il governo dell'Anp prevede tra gli altri anche il ministero della Giustizia bisogna ricordare che esso adotta ancora il Codice Penale Rivoluzionario del 1979 (ereditato direttamente dall'Olp), che include la pena di morte e la ritiene applicabile da corti militari e corti di sicurezza. I reati per cui è prevista la pena capitale sono ben 42 e tra di essi è compreso naturalmente anche il "tradimento" il cui concetto è molto elastico: un certo scalpore ha suscitato il caso in cui tale pena è stata comminata ad un anziano commerciante arabo reo di aver venduto ad ebrei alcuni suoi terreni siti in Gerusalemme Est. Se il codice penale palestinese non brilla per modernità purtroppo non da meno sono i metodi con cui viene applicato: i processi, che di solito non durano più di un giorno, non necessariamente prevedono la difesa e di fatto non la permettono, così come non è prevista possibilità appello. A coronamento dello stravolgimento di questo sistema di “giustizia” c’e’ infine quello che in altri codici è un atto di liberalità: la facoltà di intercessione da parte del capo dello stato a favore del condannato, che nel Codice Rivoluzionario si ribalta e diviene addirittura un plauso ufficiale alla eliminazione del colpevole: tutte le condanne a morte sono infatti confermate direttamente dal presidente dell'Anp. Arafat, per motivi di opportunità politica, sospese ufficialmente le esecuzioni nel 2002, ma dal 1994 ad oggi circa 300 persone (tra “collaborazionisti" veri o presunti) sono state uccise a seguito di processi farsa o con esecuzioni sommarie ad opera di milizie armate, attualmente il numero dei condannati alla pena capitale da parte della “giustizia” palestinese continua a salire. Abu Mazen, anche per rafforzare una leadership tutt’altro che affidabile, proprio in questi giorni ha annunciato che le esecuzioni riprenderanno presto e la loro legittimità sarà rafforzata da una nuova conferma non prevista dal Codice: l’avallo religioso del Mufti' Ikima al Sabri che naturalmente non ha fatto venire meno il suo supporto politico e propagandistico. Il governo israeliano sta adoperandosi per fare fronte a questa situazione ed ha incaricato i servizi di sicurezza israeliani di proteggere e nascondere oltre mille famiglie palestinesi mentre le denunce di associazioni per i diritti umani israeliane, palestinesi ma anche internazionali quali Nessuno Tocchi Caino e Amnesty International sono state numerose ma senza alcun esito, tanto che il ministro della giustizia palestinese ha dichiarato che non accetterà alcun tipo di pressione esterna. Se queste sono le premesse e le garanzie del nascente stato palestinese Sharon dovrà chiedere a Bush molto di più che supporto per il mantenimento di una tregua che rimanda ed amplifica i rischi futuri: e’ infatti molto difficile che qualsiasi garanzia possa essere risolutiva, c’è ormai bisogno che pressioni e soluzioni si muovano su piani e progetti di più ampio respiro e che si levino alte le denunce da parte di organismi internazionali troppo spesso strabici e complici dei massacri. Il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan e la sua famigerata riforma dell’Onu, propagandata da 10 anni e mai neppure cominciata, restano l’alibi di molti governi anche occidentali ma per Israele ed Usa il tempo stringe, ancora una volta la soluzione e le speranze per la pace andranno cercate altrove, ancora una volta si conferma l’urgenza di dare vita ad una Comunità delle Democrazie che sia davvero il luogo di sviluppo della democrazia e non la pubblica tribuna dei dittatori che è divenuta l’Onu».

Mauro Cascio


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