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Latina. Giustizia per i fratelli Mattei. Francesco Ciccone: «Nessun colpo di spugna alla vergogna degli anni 70. Chi ha sbagliato deve pagare»

Quartiere popolare di Primavalle, periferia romana. Racconta Francesco Ciccone, segretario di Gioventù fondana: «È l'alba del 16 aprile 1973 e nell'aria si sente ancora l'odore acre del fumo. Un capannello di persone, assiepato nel cortile di un palazzo, rivolge lo sguardo verso l'alto in direzione di una finestra aperta, il muro tutto intorno annerito dalle fiamme che fino a pochi minuti prima ardevano alte. Appoggiati al davanzale, uno con il braccio sulle spalle dell'altro quasi a volerlo proteggere da una morte atroce quanto inevitabile, si intravedono i corpi ormai senza vita di Virgilio e Stefano Mattei, 22 e 8 anni, figli del Segretario della sezione missina di quartiere. Sono arsi vivi, divorati dalle fiamme che qualcuno, dopo aver versato del liquido infiammabile sul pianerottolo e sotto la porta dell'appartamento in cui viveva la famiglia Mattei, ha acceso poche ore prima, protetto dal buio della notte. Dall'incendio si sono salvati a stento Mario Mattei, la moglie Anna e quattro dei loro sei figli. Per Virgilio e Stefano purtroppo non c'è stato scampo. Sul selciato del cortile del palazzo viene trovato una sorta di "cartello di rivendicazione", un foglio a quadretti con la scritta "Brigata Tanas - guerra di classe - Morte ai fascisti - la sede del MSI - Mattei e Schiavoncino (i dirigenti della locale sezione missina, NdR) colpiti dalla giustizia proletaria". La Brigata Tanas è un gruppuscolo interno a Potere Operaio ed è composta da tre persone: Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo. Si tratta di una "squadra di azione militare e illegale" (come viene definita in un documento ritrovato nel corso di una perquisizione a casa di Achille Lollo), violenta, oltranzista e assai influenzata da una sostanziale simpatia per le BR. Un odio cieco e feroce verso i fascisti anima i componenti del gruppetto: "Bisogna impedire ai fascisti qualsiasi movimento . Dobbiamo realizzare non una, ma dieci, cento Piazzale Loreto" si legge in un volantino ritrovato sempre a casa di Lollo. Pochi giorni dopo la strage Achille Lollo, a fronte degli indizi e riscontri raccolti sulla sua colpevolezza, viene arrestato, mentre gli altri due componenti della Brigata Tanas, Clavo e Grillo, si danno alla latitanza. Negli ambienti di Potere Operaio, i cui dirigenti condannano l'episodio e si dicono all'oscuro di quanto avvenuto, si decide di difendere comunque i "frazionisti dissidenti" nonostante la loro colpevolezza e si realizza una controinchiesta (Primavalle: incendio a porte chiuse) in cui si sostiene la tesi della faida interna agli ambienti missini, nata e sviluppatasi "nel verminaio della sezione fascista di quartiere", tesi che verrà sostenuta anche dalla difesa degli indagati in sede di dibattimento. Il processo comunque si conclude con la condanna definitiva dei tre imputati, tutti latitanti all'estero, non all'ergastolo per strage come chiesto dall'accusa, ma a 18 anni di reclusione per duplice omicidio colposo ed incendio doloso. Del fatto che i vertici di Potere Operaio non abbiano alcuna responsabilità per il sangue sparso a Primavalle ci permettiamo di dubitare: anche se forse Lollo & compagni hanno appiccato il fuoco di testa loro quella notte, resta, a nostro modo di vedere, l'indelebile marchio di colpevolezza morale dei "cattivi maestri", che hanno alimentato l'odio al grido di slogan quali "Uccidere un fascista non è reato". Colpevolezza che peraltro ricade anche su tutti coloro che hanno coperto gli assassini di quegli anni e li hanno aiutati a fuggire all'estero per non pagare per i crimini commessi. Come Lollo infatti, molti altri, grazie al cosiddetto "Soccorso rosso" (potente organizzazione di cui peraltro facevano parte anche autorevoli esponenti dell'allora PCI), si sono sottratti all'arresto e non hanno mai saldato il loro conto con la giustizia. Tra essi Alvaro Lojacono che, proprio durante i giorni del processo ad Achille Lollo & compagni, ha ucciso lo studente greco Mikis Mantakas, sparandogli vari colpi di pistola davanti alla sezione missina di Via Ottaviano a Roma. Oggi vive libero in Francia, senza aver mai passato neanche un giorno in carcere. Noi in tale occasione chiediamo ancora una volta che Lollo e gli altri killer vengano estradati e che paghino per i loro crimini. È giusto ed è anzi doveroso chiedere che gli assassini paghino. E non per odio o per vendetta ma semplicemente per amore di giustizia. Lo dobbiamo non solo alla nostra coscienza, ma anche e soprattutto a coloro che la verità non la possono più dire e a chi ancora sta soffrendo perché è stato privato della possibilità di costruirsi un futuro con i propri cari. Solo se si avrà giustizia, infatti, si potrà finalmente mettere la parola "fine" ad un periodo buio e terribile come gli anni '70 e consegnare definitivamente alla storia la violenza cieca che ha inghiottito tante vite, quella violenza che, il 16 aprile di 32 anni fa, molte persone hanno visto dipinta sui volti ormai gelidi ed esangui di Stefano e Virgilio Mattei».

Elisabetta Rizzo


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