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Latina. Laicità possibile. Mentre da più parti si vorrebbero cattolici e credenze religiose fuori dalle scuole, la testimonianza di Sergio Andreatta

La laicità è apparsa in questi giorni quasi una bestemmia. Ricordare, contro l'onda delle emozioni, che non per tutti Wojtyla è stato un grande papa appariva persino provocatorio. Eppure in tanti in Italia hanno apertamente criticato e combattuto la quasi totalità delle posizioni del capo dei cattolici in materia di libertà civili, sessuali e di ricerca scientifica. Eppure è una verità storica che l'Italia è un paese anche anticattolico, è un Paese nato contro e non con la chiesa di Roma, è un Paese la cui quasi totalità dei padri fondatori ha sempre tentato di emarginare il ruolo e la portata delle credenze religiose. Sergio Andreatta, dirigente scolastico, racconta la sua personale esperienza: «Ho ricevuto da alcuni dipendenti dell’istituzione scolastica statale che dirigo una nota scritta "di rammarico" perché avrei loro impedito di vedere in diretta tv i funerali del papa, non avendo provveduto a mandare a casa gli alunni alle 10 dell’8 aprile come invitava l’ordinanza del sindaco... E siccome non si parla, fortunatamente, di lesione di diritti ma soltanto di insensibilità da parte mia ho dovuto ricordare loro che anch’io avevo sofferto per lo stesso motivo e per lo stesso limite, benché autoimposto. Ma ho dovuto anche ricordare che il coraggio del proprio dovere è... resistenza ai meccanismi di moda, padronanza delle situazioni, non badare all’opinione degli altri, alle loro voci quando vogliono piegare a piacimento gli Ordinamenti e distoglierti dal tuo dovere. E questa, vi assicuro, è la cosa... più difficile al mondo! Pensai, così, che informare il proprio operato ai principi e ai caratteri laici dello Stato volesse dire agire fondamentalmente nel rispetto dell’art.3 della Costituzione, senza far distinzioni... Così mi sono dovuto interrogare se una scuola ancora laica e dello stato dovesse comportarsi da... scuola laica e dello stato, non assente al dolore e alla partecipazione, in questo come in altri casi, ma limitandosi, specie nella scuola dell’infanzia e primaria, a filtrarlo emotivamente e sublimarlo in una funzione educativa».

Elisabetta Rizzo


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