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Latina. L'ultimo repubblichino. Carlo Mazzantini: «Da tanto tempo propongo un nuovo corso ai cinquant'anni di odio e di divisione...»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Carlo Mazzantini, a Latina per presentare la sua
più recente opera letteraria, "L'ultimo repubblichino". Nato a Roma nel 1925, Mazzantini
appartiene a quella schiera di ragazzi che l'8 settembre del 1943 fece la scelta che
lui definisce «sbagliata, ma dettata da nobili ideali, quali il patriottismo, in
un'Italia che era tutta immersa nel fascismo» di combattere per la Repubblica di Salò.
Catturato alla fine della guerra, rischiò la fucilazione, ma riuscì a salvarsi. Ha
vissuto molti anni all'estero, insegnando prima nel liceo di Tangeri e successivamente
presso l'Università di Galway (Gran Bretagna).
Perché ha scritto questo libro?
«Per continuare nella mia opera di riscatto di una generazione di giovani che nel 1943
prese quella che fu definita - ed è - la strada sbagliata ma per nobili motivi, per motivi
di patriottismo e perché erano stati educati in un certo modo, per cui seguirono quella
che altro non era stata se non l'educazione data loro dalla scuola, dalla stampa, da
tutto l'ambiente in cui erano nati. Questi ragazzi, davanti allo sfacelo del Paese,
scelsero la strada che ritennero fosse quella dell'onore del Paese e della dignità militare».
Ritiene che ormai, a sessant'anni di distanza, quella divisione e quell'odio possano
essere superati?
«Lo ritengo senz'altro, a livello di gente comune, di opinione pubblica generale sono
senz'altro superati. Permangono però dei gruppi che speculano su quelle divisioni di
allora, ai fini di una politica quotidiana attuale. Ma nell'animo degli italiani quelle
divisioni sono state superate. Oramai c'è una documentazione vastissima di una memoria
non condivisa, di una parte e dell'altra, per cui la gente comune ha superato. Solo
delle speculazioni politiche portano a scontri. Io ho fatto una proposta, e colgo
quest'occasione per propagandarla ulteriormente, di cambiare il nome di piazzale Loreto
a Milano - dove si svolsero dei fatti orrendi, sia da parte dei fascisti, sia da parte
dei partigiani, con l'esposizione dei corpi di Mussolini, della Petacci e degli altri -
in piazzale della Concordia. In tutte le occasioni che mi capitano, io rinnovo
questa proposta».
Il discorso con cui Luciano Violante si insediò alla carica di Presidente della Camera
dei Deputati nel 1996, in cui parlò apertamente della necessità di rinconciliazione con
i "ragazzi di Salò" segnò un momento di discrimine con le divisioni del passato?
«Violante colse una sensazione che era già nel mondo, ed alla quale i miei libri
avevano contribuito, quella di sanare questa sensazione. Violante ha letto i miei libri
ed ha colto da questi libri quello che fu veramente il sentimento, le intenzioni che
animarono quei giovani che seguirono Mussolini nella sua ultima avventura».
Il periodo degli anni di piombo che insanguinò l'Italia negli anni '70 tra il terrorismo
sia nero che rosso aveva delle radici nell'odio della guerra civile degli anni Quaranta?
«Senz'altro, si formarono due filoni di cultura: uno nero e uno rosso, quello
rosso maggioritario, alimentato da una vasta operazione culturale di imporre
una certa visione della Resistenza (la Resistenza dura, la Resistenza rossa), e
dall'altra parte un filone di figli dei reduci di Salò e dei fascisti. E quel
motto infame che fu coniato allora, "uccidere un fascista non è reato", è il frutto
di quella cultura, dell'esaltazione di un certo partigianesimo, di una certa
visione della guerra di liberazione (che sembrava essere stata portata avanti
esclusivamente da formazioni di sinistra, cosa che non è vera): tutto ciò aveva
creato tutto un filone che portò quei giovani a quegli eccessi».
Andrea Apruzzese
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