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Roma. Premio Almirante. Pasquale Squitieri: «Ho scritto una soggetto sulla sua vita. Spero di fare un film, la Cavani ha raccontato De Gasperi»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Pasquale Squitieri, regista storico della nostra cinematografia.
In occasione del Premio Almirante, lei ha detto poche parole ma profonde...
«Almirante è un grande protagonista culturale e politico della vita del nostro Paese. Si è mosso in un
territorio accidentato come il dopoguerra italiano. Cosa gli dobbiamo? La fedeltà all'Italia, con i suoi
errori ed orrori. Ma nella storia di ognuno di noi ci sono zone d'ombra. E invece noi abbiamo
buttato l'acqua con tutto il bambino. Il Fascismo ha avuto lati luminosissimi e lati bui.
Credo che oggi vada letto come lo leggeva Almirante. Senza rinunciare ai principi.
È tipicamente umano il bianco e il nero». La vita di un uomo come Almirante è cinematografica?
«Il cinema può raccontare tutto, il problema è il linguaggio. Ci sono vite "appannate"
da un punto di vista narrativo. Pensiamo a Togliatti. Ha passato buona parte della sua vita
in un albergo, schiacciato dal terrore di un criminale come Stalin. La vita di Giorgio è
un'avventura continua. Io ho scritto un soggetto. Ci ho messo due anni. Lui spesso mette
in gioco la sua vita, fino all'ultimo. Da un punto di vista narrativo sembra Balzac.
Ecco, noi abbiamo visto la vita di Alcide De Gasperi, che è una vita di una noia mortale.
Eppure la Cavani è riuscita a farne un film accettabilissimo. Ecco, spero di poterla realizzare».
Cosa pensa del cinema italiano, oggi? «Credo che non esista più. Per me la cultura
cinematografica va da Totò ad Antonioni. Non abbiamo cinema di genere. Abbiamo dei registi
bravissimi che fanno ogni tanto dei bei film. La televisione ha dato il colpo finale.
Non solo i Reality, ma pure Sky che ogni giorno ti porta 20 film sul piccolo schermo a un
prezzo bassissimo. È ovvio che la gente poi non va in sala. Poi c'è la concorrenza
del cinema digitale. Gli americani se lo possono permettere.
Noi abbiamo strutture pazzesche, spesso i registi d'oltreoceano vengono a girare qui.
Pensiamo a George Lucas o Martin Scorsese. Ma si portano dietro i loro tecnici. Noi non
abbiamo figure professionali valide. Rispetto all'evoluzione del cinema noi siamo
rimasti indietro. Anche a livello di linguaggio. Il futuro del cinema è il digitale, è
quella macchinetta che ha il vostro cameramen in mano».
Per terminare, come si sceglie un interprete, un attore? «Ho visto Edda Ciano.
Come si fa a prendere una ragazza carina come la Martinez per fare la Ciano che era notoriamente
brutta. Ed era questa sua bruttezza a darle una potenza espressiva così forte. Lei si mascolinizzava
per questo. Perché nel maschio la bruttezza non esiste. Come si fa a fare entrare in questo ruolo
una ragazza carina come Alessandra Martinez? Poi si prende come Mussolini un Costanzo pelato.
Quell'uomo con uno sguardo metteva a sedere Hitler. La mitologia, anche quella cinematografica,
è intoccabile. Il mio maestro, Francesco Rosi, mi ha insegnato che non esistono
attori bravi e attori meno bravi, attori fotogenici e attori non fotogenici, esistono
attori nel ruolo giusto e attori nel ruolo sbagliato.
Oggi noi abbiamo in Italia tanti bravi attori, ma non abbiamo più i ruoli. Come dice
un grande critico come Tullio Kezich il cinema italiano è un cinema che si guarda l'ombellico
in tre stanze e cucina. Molti film fatti nel passato oggi sono impensabili, perché costa
troppo per il mercato che ha. Oggi la gente non va al cinema. Oggi la gente va a vedere
qualche film. Che ne so, Benigni. O Marco Bellocchio. Ci sono film molto belli, penso a
Gianni Amelio, che non incassano una lira. Il digitale distruggerà tutte le vecchie
storie, come Kubrick ci ha già preannunciato. Le nuove generazioni capiranno che non si
può raccontare sempre Romeo e Giulietta nel Titanic».
Elisabetta Rizzo
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