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Latina. Tifo da stadio per il Teatro Greco. Maurizio Donadoni: «Mi son sentito come un toro alla corrida. Sono uscito e mi son detto: e qua?»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Maurizio Donadoni, dopo il bagno di folla al Teatro Greco
di Siracusa per l'Antigone di Sofocle.
«L’Antigone di Sofocle fu rappresentata nel 442-1, a distanza dunque di pochi anni
dall’Aiace, la più antica tragedia sofoclea rimastaci, e in un periodo nel quale il poeta,
partito dalle conclusioni eschilee, andava maturando una sua originale visione religiosa.
Di fatto l’Antigone riprende, ponendolo al centro dell’azione, un problema già posto
nella parte finale dell’Aiace: la liceità morale di lasciare insepolto il cadavere dì
un nemico ucciso. Le due tragedie mostrano più di un’analogia: anche nell’Aiace
l’ordine di lasciare Aiace insepolto è emanato dai due capì dell’esercito, o in
nome di un meschino desiderio di vendetta di fronte a un nemico che finalmente si
vede alla propria mercè o nel timore di non apparire abbastanza fermi e incapaci
di punire con la dovuta energia chi ha osato ribellarsi. La situazione è risolta
dall’intervento di Odisseo, il quale non rinnega la propria rivalità nei confronti
dell’eroe morto, riconoscendo anzi che Aiace era per lui la persona più ostile di
tutto l’esercito. Ma in un cosmo ben regolato, in cui ogni passione e sentimento,
anche negativo, deve avere il suo spazio, esiste un limite anche per l’odio: Odisseo
ha odiato Aiace finché poteva essere motivo di nobiltà, nel contesto eroico in cui
l’azione si svolge, spingere la propria rivalità fino ai limiti dell’odio: dopo la morte
tali sentimenti non hanno più ragion d’essere, e la stessa divisione fra bene e male
assume contorni sfuggenti. Nel sottolineare il valore dell’eroe morto, Odisseo dissuade
Agamennone dallo spingere la vendetta a un eccesso che farebbe «calpestare la giustizia»;
lasciare insepolto Aiace «non costituisce un affronto a quest’uomo, bensì alle leggi
degli dèi». Cosa si prova a recitare davanti a 10000 persone?
«Quello che può provare un toro davanti all'arena di una corrida. Ha davanti la gente e fa:
e qua? O li infilzo io o mi infilzano loro. Ed ho infilzato io. È stato bello
perché c'erano tanti giovani». Il tuo rapporto con Irene Papas?
«Non abbiamo avuto timori reverenziali. L'abbiamo considerata come una collega.
E lei ci tratta così, alla pari». Prossimi impegni? «Sognavo questo momento dal 1978.
Lo sentivo dire all'epoca dagli attori: ho fatto Siracusa, come se fosse da Pedigree.
Per il resto film e teatro».
Claudio Ruggiero
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