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Latina. Laicità a rischio. Maria Mantello: «Ratzinger vuole un ritorno alla Teocrazia. E noi laici ci consoliamo con le parole di Ciampi»
A ridosso della sconfitta referendaria sulla legge 40, dove ha pesato la crociata astensionista voluta dalla Curia, l’incontro tra il Presidente della Repubblica italiana e il Monarca assoluto della Chiesa cattolica assume una caratterizzazione particolare. In Ciampi c’è un sobbalzo d’orgoglio laico; la volontà di riaffermare il valore fondante della laicità per la democrazia e per la convivenza civile dell’Italia. "Con lo stesso orgoglio affermo come Presidente della Repubblica e come cittadino, la laicità della Repubblica italiana", ha detto Ciampi, che, citando anche l’articolo 7 della Costituzione: "Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani", ha voluto sottolineare la necessaria distinzione tra credo religioso e società civile.
Le parole di Ciampi sono suonate come un riscatto per la laicità tradita dal disinteresse e dalla mancanza di responsabilità di tanti; ma anche dall’opportunismo di quanti (di qua e di là del Tevere) la vorrebbero ridotta ad un agnosticismo relativistico, a cui contrapporre la forza di una identidaria fede cattolica, facile rifugio nella diffusa carenza di progettazione politica.
Benedetto XVI, dal canto suo, ha ribadito l’universalismo cattolico e consequenzialmente la superiorità del potere papale su quello statale. Ratzinger parlava a Ciampi. Ma ben attento a sottolineare che, come vescovo di Roma e come pastore dell’umano gregge, si rivolgeva ai romani e agli italiani tutti. In tal senso, nelle sue pur pacate parole, veicolava tutta la tradizione ecclesiale tesa a sottoporre gli Stati al controllo della Chiesa: dal Dictatus Papae di Gregorio VII, al Sicut Universitatis Conditor di Innocenzo III, dall’Unam sanctam di un Bonifacio VIII... fino alla Mirari vos di Gregorio XVI, o al Sillabo di Pio IX, o alla Diuturnum di Leone XIII, o alla Ad beatissimi apostolorum principis di Benedetto XV... ed oltre. Nelle sue pur pacate parole si riconosceva ancor vivo l’eco di Giovanni Paolo II, che non ha mai perso occasione per ripetere: "la legge stabilita dall’uomo, dai parlamenti, da ogni altra istanza legislativa umana, non può essere in contraddizione con la legge di natura, cioè in definitiva con la legge di Dio (cattolico. ndr.)".
"Cristo è il Salvatore di tutto l’uomo, del suo spirito e del suo corpo, del suo destino spirituale ed eterno e della sua vita temporale e terrena", ha detto il papa, evidenziando l’antico anelito teocratico: l’aspirazione a far coincidere l’Uomo con il Cattolico, lo Stato con una Religione. È la riproposizione dell’evangelizzazione in nome di una Verità che si vorrebbe unica eterna totale, a cui pertanto si dovrebbe conformare per legge l’intera società civile.
La laicità, allora, che a garanzia del pluralismo, considera la Chiesa alla stessa stregua di qualsiasi altra associazione o Ente privato, che svincola il cittadino dal credente non piace al papa. Ecco allora Benedetto XVI, alle prese con una singolare definizione di laicità asservita al bene religioso: "sana laicità" è quella "in virtù della quale le realtà temporali si reggono secondo le norme loro proprie, senza tuttavia escludere quei riferimenti etici che trovano il loro fondamento ultimo nella religione". Un’affermazione, dunque, che svuota la laicità di ogni suo valore intrinseco. Leggi e strutture statali, dunque, ispirate ai principi della dottrina cattolica. Di qui la richiesta a Ciampi per incrementare le scuole cattoliche, le famiglie cattoliche, …le persone cattoliche. Insomma per far sì che la società civile non sia altro dalla società della fede, nell’identità tra città terrena e città divina di agostiniana memoria.
La posta in gioco è dunque alta. È una vera e propria sfida allo Stato democratico, da parte di chi ha imparato ad usare gli strumenti della democrazia per imporre la Croce sull’Italia.
Maria Mantello
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