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Latina. Figli di uno sport minore. Daniele Masala: «C'è una monocoltura, in tivvù, così come negli impianti delle città. Ed è un rischio»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Daniele Masala, campione olimpico di pentathlon moderno alle Olimpiadi di Los Angeles 1984, più volte campione del mondo, ed oggi neo presidente regionale del Lazio (appena eletto alla fine di maggio) dell'UISP-Unione Italiana Sport per Tutti. Nella sua qualità di neo presidente, Masala ha scelto di effettuare la sua prima visita in una sede provinciale fuori Roma, proprio nella sede dell'UISP di Latina, delle cui iniziative ed attività si è detto molto soddisfatto. Quali sono i suoi primi programmi? «I primi programmi sono di aumentare il peso specifico dei comitati, chiamiamoli "periferici a Roma". Roma ha un comitato molto importante, molto nutrito ed il mio compito è quello di sviluppare non già più Roma, che ha numeri molto alti, ma di sviluppare quei comitati provinciali compresi all'interno del comitato regionale del Lazio. L'altro obiettivo è quello di realizzare una buona comunicazione, perché gli eventi sviluppati dall'UISP sono molto importanti, sotto il profilo della specializzazione, del vivere bene, del wellness, e quindi sicuramente alla portata della maggior parte delle persone che vogliono fare attività fisica». Lei ha scelto di fare la sua prima uscita ufficiale da presidente proprio nel comitato provinciale di Latina. Come giudica il livello di pratica sportiva nel capoluogo pontino? «Lo giudico molto positivamente dal punto di vista dell'UISP. Trovo che il comitato provinciale di Latina sia un comitato molto importante, sotto tutti i profili, delle iniziative, della serietà, dell'organizzazione, dei numeri, quindi dobbiamo prendere spunto, attraverso questo esempio, e cercare di esportarlo negli altri sei comitati (perché sono otto i comitati del Lazio e quindi, tolte Roma e Latina, ne rimangono sei), perché questo modo di organizzare lo sport che ha Latina in questo momento è sicuramente un punto trainante». Lei ha fatto una denuncia forte: in Italia stiamo andando verso il rischio di una monocultura sportiva, ovvero una monocultura calcistica. È così reale questo rischio? «Questo è indubbio, non si parla altro che di calcio: i giornali sportivi trattano il calcio per il 90% delle loro pagine, vediamo che le trasmissioni sportive parlano solo di calcio per il 90%, tranne qualche piccola isola felice, ad esempio per il motociclismo, in questo momento in cui vi è un certo Valentino Rossi, che secondo me è un atleta formidabile, al di là dei risultati. Vedo che gli impianti sportivi sono per la grande prevalenza impianti per il calcio, soprattutto nelle periferie delle grandi città. Credo che sia necessario tornare ad una cultura più profonda dell'attività fisica e dello sport. Solo in questo modo si riesce a capire effettivamente l'essenza dello sport e del benessere. Se continuiamo così, rischiamo tra qualche anno di avere una generazione fatta solo di calciatori e questo sarebbe molto deleterio sotto diversi profili, non ultimo quello fisico, perché il calcio è un bello sport, ma ha delle controindicazioni, mentre ci sono altri sport che sono altrettanto belli e soprattutto sono molto più accessibili, soprattutto a tutte le età».

Andrea Apruzzese

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