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Latina. Aspettando Thomas Bernhard. Al Burgtheater di Vienna «La forza dell'abitudine». A febbraio, con Gassman, al Teatro D'Annunzio...

Davanti le Telecamere di Parvapolis Maria Happel, Robert Meyer, Johannes Krisch und Urs Heft, gli attori protagonisti della piece di Thomas Bernhard "La forza dell'abitudine", per la prima volta in scena a Vienna al prestigioso Burgtheater, il più importante teatro europeo in lingua tedesca. A Latina lo vedremo il 4 ed il 5 febbraio nell'edizione italiana curata ed interpretata da Alessandro Gassman. L'allestimento viennese, che da un anno sta registrando il tutto esaurito, nell'efficace regia di Philip Tiedemann evidenzia i temi salienti dell'universo bernhardiano: smarrimento, disagio esistenziale, ricerca dell'assoluto e anelito verso la perfezione, il tutto condito in chiave grottesca e con una sferzante vis comica che rende ancora più stridente l'assurdità della condizione umana. Il testo, del 1972, è quanto mai attuale e di notevole impatto emotivo nei confronti dello spettatore. Tutto ruota intorno alla figura, per certi tratti affascinante ed enigmatica, dell'inflessibile direttore di circo Caribaldi, che da 22 anni, tutte le sere dopo lo spettacolo, costringe la sua scalcagnata compagnia di artisti -il giocoliere, il domatore, la ballerina ed il clown- a provare musicalmente il quintetto della trota di Franz Schubert, cercando di arrivare almeno una volta alla perfezione artistica. Ma gli artisti, costretti loro malgrado all'inflessibile esercitazione musicale, appaiono sempre 'imperfetti', denotando il fallimento della missione intrapresa: il domatore è sempre ubriaco, al clown cade continuamente il berretto a terra, la nipote ballerina e il giocoliere suonano controvoglia. Il carrozzone bernhardiano è la riuscita allegoria della finitezza umana, del tragico destino e della corta visione dell'umanità, costretta ad una quotidianità banale e monotona infarcita di ripetitività ed ipocrisie, con la speranza, quanto mai vana, che il giorno dopo qualcosa cambierà, il tutto sottolineato dall'ossessiva reiterazione della frase 'Domani ad Augsburg' pronunciata dai personaggi sin dall'inizio della piece. Tiedemann pone chiaro allo spettatore sin da subito il senso di fallimento umano, con un espediente non previsto dal testo -la ballerina che cade dalla corda tesa in alto e lancia un urlo agghiacciante ancor prima del levare del sipario- e poi il regista si avventura nel discorso di straniamento dell'individuo nei confronti della propria esistenza, catapultando i personaggi all'interno di un carrozzone-navicella spaziale che entra in scena in movimento, il tutto scandito da una musica onirica e a tratti da incubo, che inquieta ed intriga al tempo stesso il pubblico. Efficace e sottolineata dai ripetuti e convinti applausi del pubblico l'interpretazione degli attori, ad iniziare dal carismatico e catalizzatore Caribaldi, e passando poi alla esuberante e prorompente ambiguità del giocoliere, alla smarrita e grottesca figura del domatore, alla ben riuscita sudditanza psicologica di una allampanata nipote ballerina, per finire ad un divertente e buffo vecchio clown.
Signor Meyer, da un iniziale rapporto di odio-amore degli austriaci nei confronti di Thomas Bernhard, oggigiorno sembra esserci solamente un grande amore, come mai? «Perché in Austria, dopo che si è morti, la gente ti vuole bene! E poi Bernard, già nelle prime opere, è stato un provocatore con insulti verso gli austriaci che non l'hanno certo presa con humor...»
Signor Krisch, quali le difficoltà nel suo personaggio di domatore? «È un uomo distrutto perché ferito dal direttore del circo, che comunque cerca di rimanere in qualche modo fedele e di partecipare alle prove ma che, con la morte della propria figlia, compie una rivoluzione interna e tenta di reagire contro questa dittatura. Per me è stata appassionante la sua elaborazione. Bernhard ha descritto un caleidoscopio di vita, nel quale ogni figura all'interno di questo circo contiene uno spectrum definito di personalità, un universo di esistenze umane».
Signora Happel, anche la ballerina è dominata dallo zio tiranno... «Certo. È nelle intenzioni di Bernhard una figura che quasi non parla o quando lo fa dice pochissimo e che si salva e si difende attraverso la risata... Ho già collaborato due anni fa con il regista, recitando ne 'L'ignorante ed il matto'».
Signor Heft, l'importanza del clown è nell'evidenziare la forza comica del testo di Bernhard... «Sì. In una lunga intervista in Spagna Bernhard dichiarava che il clown deve fare piccoli scherzi, essere tenero ma non prendersi mai seriamente e muoversi leggermente con il piede».

Claudio Ruggiero

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