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Latina. Per una storia condivisa. Giampaolo Pansa: «Se diamo retta ai vincitori sapremo sempre la metà delle cose». Quando l'ovvio fa scandalo

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Giampaolo Pansa, giornalista e scrittore, ieri al Palacultura per presentare i suoi ultimi lavori, «Il sangue dei vinti» e «Sconosciuto 1945». La cornice in cui si inserisce la ricostruzione dei tanti eventi ripercorsi nel «Sangue dei Vinti» vede Giampaolo Pansa confrontarsi con Livia, una brillante funzionaria della Biblioteca Nazionale di Firenze, che a suo tempo aveva svolto ricerche sui fatti sanguinosi dell'immediato dopoguerra. Assieme a lei, l'autore si avventura su un terreno minato, socchiudendo porte che ancora oggi molti vorrebbero tenere sbarrate: l'accusa di revisionismo è sempre in agguato per chi, pur condividendo le stesse posizioni dei vincitori, vuole scrivere tutta intera la storia. Pansa non se ne cura e indaga nelle pieghe di episodi e circostanze che videro migliaia di italiani vittime delle persecuzioni e delle vendette di partigiani e antifascisti. In «Sconosciuto 1945» l'autore è andato a trovare alcuni degli italiani che subirono vendette dopo il 25 Aprile, e gli ha chiesto di rievocare le sofferenze patite nei mesi seguiti alla Liberazione. Il risultato è un'opera che si sofferma su donne e uomini vissuti per decenni come se avessero una colpa da nascondere e la cui esistenza è rimasta comunque segnata da un assassinio, una ritorsione, un sequestro o la scomparsa nel nulla di un loro congiunto. Un libro forte, per l'immediatezza del racconto e il carico di dolore che ogni testimonianza porta con sé. Parlare di storia da un lato diverso, perché? «Perché la storia non può essere fatta ascoltando tutti i vincitori, ma bisogna sentire tutte le parti in lotta, quindi anche chi ha perso. Io sono un antifascista, sono un (ex) ragazzo di sinistra ma non ho mai scordato questa verità elementare, che molti dalla mia parte dimenticano». Le guerre civili, scatenate da fanatismi ideologici e religiosi, continuano a mietere vittime anche oggi. Qual è il messaggio che potrebbe arrivare, soprattutto alle nuove generazioni, alle nuove generazioni? «Guardate, io non sono mai stato un pacifista. Ho sempre avuto dei dubbi, se le guerre potessero essere fatte o meno. Ma un mio amico che lo è, mi ha detto che quando ho scritto libri come "I figli dell'aquila", "Il sangue dei vinti" e "Sconosciuto 1945" ho scritto i libri più pacifisti. Perché le guerre bisognerebbe sempre evitarle sino all'ultimo. Ho incontrato partigiani e combattenti della Rsi che mi hanno detto che la guerra civile è una cosa terribile. L'ultima cosa che vorrebbero è rivederla nella loro vita». Lei racconta la storia attraverso gli occhi dei bambini, o delle persone normali. Non i grandi eventi, ma la quotidianità... «Credo che sia il motivo del successo di "Sconosciuto 1945". Qui parlo degli italiani, e in queste testimonianze c'è l'orrore della storia in sé, le vite spezzate di chi non c'entrava nulla. E c'è una generazione che è cresciuta con l'angoscia nel cuore». Lei non ama questo termine, ma lei è un "maestro" del giornalismo italiano. Qual è lo stato del giornalismo italiano, oggi? «Troppo schierato politicamente. Io ho le mie opinioni ma ho sempre cercato di dividere i fatti dalle opinioni. Oggi avviene il contrario». Una ricetta per venirne fuori? «Licenziare tutti».

Andrea Apruzzese

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