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Latina. Città nuove e falsi storici. Antonio Pennacchi torna sull'Indipendente sulla mostra a cura di Novecento in corso a Palazzo M

Dice: “Sì vabbe’, però a te quello che ti rode è che questa mostra l’hanno fregata a te”. Certo, non si discute. Questi sono venuti a casa mia a vedere progetti, foto e materiali – mia moglie gli ha fatto pure da mangiare e ancora me lo rinfaccia – e poi se la sono fatta per conto loro, scopiazzando a rotta di collo pure i miei scritti. Il peggio però è che hanno copiato male. Ci sono pure in catalogo (Città di fondazione italiane 1928-1942, a cura di Giorgio Pellegrini e, pare, M. Vittori) alcuni contributi – Accame, Guerri e Ricci su tutti – sicuramente importanti ma che si perdono nel mare magno delle altrui imprecisioni, inesattezze e vere e proprie falsità storico-filologiche: di quasi tutte le foto in mostra non è riportata la data lasciando quindi pensare – ma di alcune debbono averlo pensato essi stessi – che il periodo di riferimento sia il 1928-1942 indicato nel titolo. Invece no: le foto d’epoca sono indiscriminatamente mischiate a quelle più recenti e così accade che per Fertilia – di fronte a una gigantografia alta più di tre metri – tu credi davvero che lì ha fatto tutto il Duce. L’intera palazzata di via Pola invece è stata costruita tra 1948 e 1955. Dice: “Però era in progetto”. D’accordo. Il campanile della chiesa però no. Il campanile lo hanno voluto i profughi giuliano-dalmati quando sono arrivati qua. Quello non era proprio previsto in progetto, l’architetto non lo voleva e hanno cominciato a farselo loro – con l’aiuto di Segni e della Dc – nel 1955, finendolo nel ‘57. Tu non puoi venire a dire che lo ha fatto il Duce. Questi inoltre non capiscono la differenza tra nuove fondazioni e processi di espansione e decentramento delle vecchie realtà, già esistenti. E così Villar Perosa – che esiste almeno dal 1064 – risulta per loro fondata dal fascio perché in quel periodo è stata ampliata, come Valdagno peraltro, che è piena di palazzi e ville del Settecento. Dice: “Ma così è città del Duce pure S. Agata dei Goti”. Esatto. Però questi si pigliano pure – nella foga di battere i record – 21 villaggi costruiti in Sicilia negli anni Cinquanta dalla Dc, con la riforma agraria: Borgo Baccarato per esempio, che tu lo vedi da lontano, con tutto quel cemento armato, che non lo può avere fatto il Duce; come pure Borgo Palo. E via di questo passo: foto sbagliate, informazioni errate, piani regolatori fasulli (v. Aprilia). La carta della Sicilia è fatta a casaccio, vai a cercare con quella i posti se sei buono: Borgo Riena, Filaga e Recalmigi stanno a Sud, invece che a Nord di Borgo Gattuso (Filaga sta a 60 km da dove dovrebbe stare). E così tanti altri. C’è un Borgo Portella della Croce collocato a una trentina di chilometri a Nord di Borgo Màrgana. Ora si dà il caso che Borgo Màrgana e Portella della Croce siano la stessa cosa: esisteva una località Portella della Croce in cui è stato costruito Borgo Màrgana, ma loro di uno hanno fatto due e non sapendo come metterli li hanno messi a cazzo. Dice: “Sono sprovvedutezze”. Forse. E a spese pubbliche. Ma certo alcune sembrano deliberate falsificazioni. Tu non puoi venire a dire comunque – nell’intento di nascondere eventuali errori del fascismo e conclamare invece una perfetta compiutezza pianificatoria che non c’è mai stata – che Sabaudia fu “fin dall’inizio” immaginata “come la nuova ‘marina’ del Tirreno, destinazione esclusiva per un turismo elitario” (p.195) e per lei si prospettò da subito “un futuro di polo turistico” (p.211). Questa non è un’opinione razionalizzatrice post eventum ma così, in questi termini apodittici, questo è un falso storico, perché gli atti e le fonti dicono tutti il contrario: Sabaudia fu pensata, ubicata e voluta – commettendo un errore su cui gli storici, specie quelli che si occupano di “fascio e corona”, dovrebbero indagare – come città rurale, e pertanto pagata dall’Onc e dal ministero dell’Agricoltura. Non c’è difatti una colonia a Sabaudia, c’è un solo e misero alberghetto. Ma le hai mai viste le coeve Tirrenia, Calambrone e Milano Marittima? Quella sì, che è da subito vocazione turistica. Si può poi – per affermare una sorta di concordia ordinum e nascondere ogni contrasto tra destra e sinistra all’interno del fascismo – trattando di Latina e Agro Pontino non dire una parola sulla demolizione del Quadrato e su quello scontro tra Opera combattenti e Consorzi di bonifica (Cencelli c/o Serpieri) che portò addirittura al famoso “cambio della guardia” del 1935? E poi neanche una parola sugli ebrei? “Ebreo” non ricorre una sola volta in tutte le 343 pagine del catalogo. Eppure sono loro – ebrei “fascistissimi” peraltro – che progettano e realizzano le maggiori città di fondazione: Aprilia, Pomezia, Fertilia, Segezia, Borgo Appio e Borgo Domitio vengono progettate da Concezio Petrucci e/o Mosè Tufaroli Luciano, che dopo le legge razziali si fa arianizzare il nome in Mario. Petrucci invece ha la moglie ebrea, Hilde Brat, il cui primo figlio – il suo figliastro quindi – morirà in un campo di sterminio nazista. Arsia e Carbonia invece – e Carbonia è proprio la più grande, contando nel 1942 già 40mila abitanti, mentre Latina-Littoria ci arriverà solo negli anni Sessanta – si debbono a Guido Segre e Gustavo Pulitzer Finali. Segre – il Cencelli di Arsia e Carbonia – era medaglia d’argento della grande guerra, fascista antemarcia, si dava del tu col Duce, ma viene cacciato nel ’38 e muore di crepacuore nel ’44 in Vaticano con la Gestapo che lo aspetta fuori. Pulitzer Finali invece capisce l’aria e scappa prima in Svizzera e poi in Usa. Ma questi li citano sempre ed abbondantemente – magnificandone le opere e i progetti – senza lasciarsi mai scappare una volta che erano ebrei, e che dopo sono stati trattati in quel modo. Citano pure ripetutamente Pagano – il nume massimo del razionalismo italiano – senza però dire che è morto a Mauthausen. Dice: “Può essere che non lo sapevano”. No, questa non è sprovvedutezza, poiché i libri che ne parlano li hanno letti, li citano pure. Questo è un deliberato occultamento che fa di catalogo e mostra (da Latina verrà presto portata a Cagliari e poi forse a New York) non già un’operazione fascia o postfascia, ma oggettivamente filo-nazi. Manco Preziosi. Il primo che si incazza, se lo viene a sapere, è Fini.

Antonio Pennacchi


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