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Latina. Fratacchioni, credo religiosi e scandali sessuali. Antonio Pennacchi sull'Indipendente: «Col cavolo che vi porto mia moglie in chiesa»

Dice: “Ma manco Boccaccio”. No, ti sbagli: manco Pietro Aretino. Boccaccio è uno che scherza, fa ironia e – pure quando la gente scopa – tu lo capisci che, per lui, Deus est caritas. Tutto è amore, pure l’eros, in una estensione – diciamo così – ampliamente sovraratzingeriana. L’Aretino no. Quello mena col bastone, con l’accetta. Altro che ironia. Tu nei Ragionamenti leggi la cattiveria, pensi che vada al di là del reale, che si inventi ed esasperi le cose proprio con l’intento di fare male: “Ma che scherziamo? Ma che davvero i frati e le monache possono fare queste cose?”.
E invece no porcaputtana, cià ragione lui (e sia chiaro che “la realtà supera la fantasia” non lo ha detto Raffaella Carrà, e nemmeno Mark Twain come va invece asserendo sul satellite uno spot televisivo in inglese – sti cazzo di americani hanno fatto tutto loro – perché lo dice per primo Aristotele nella Poetica, 56a, 20-25, che però dice che lo ha già detto Agatone. E mo’ lascia perdere, perché qua non c’entra, che per gli evoliani è proprio con lui, Aristotele, che comincia il declino dell’Occidente).
Comunque sto frate gli dava giù. Con le buone o le cattive. A una, pare proprio che abbia detto: “Bisogna che me la dai per forza: non ce n’è una, chiedi a chi ti pare, dentro a sto convento, che non è passata per queste sante mani”. Dice: “Però adesso è troppo facile dare giù così a questo poveraccio”. Ma poveracce loro mi dirai, che lui gli dava giù a loro di dritto e di rovescio. Dice: “Ma ha fatto pure un sacco di bene, missioni ed opere di qua e di là dal mondo”. Ho capito, però quando partiva o ritornava – di qua e di là dal mondo – si ripassava tutto il gallinaro. Smaltiva il lavoro arretrato. Dice: “Embe’? Pure il Duce, quando tornava dalle bonifiche, se ne faceva trovare sempre pronta una, a palazzo Venezia”. D’accordo, ma quello faceva il duce, mica il frate. Dice: “Vabbe’, ma che ne sai? Bisogna vedere se è poi vero: mica è tutto convincente in questa storia”. Ah, lo so pure io, a partire dai 100mila euri – anzi pure 180mila – che secondo la monaca si sarebbero fatti dare per rigirarla a qualcun altro.
100mila euri? Qua la gente è proprio scema. Ma se me lo dicevano a me, sai quante gliene portavo dalla Salaria? E pure a meno? Dice: “Vabbe’, ma tu vuoi mettere il gusto del sacro e del proibito, l’abito della monaca?”. Embe’? Che cazzo vuoi che mi costava, a me, comprargli pure un bel vestitino da suore? Ma io gliele vestivo pure da preti. 30 euri – mi dicono – è la tariffa sulla Salaria (ripeto il “mi dicono” perché non vorrei si pensasse che sto davvero tutti i giorni a puttane: mica faccio il frate io, e manco il duce). Dai, su: 100mila euri sono troppi, sono soldi buttati. Ma non mi faccio una pippa piuttosto? E chi sei, la perla di Labuan? Ursula Andress? Ma manco Zequila ce li spende. Resta però il fatto che quello se le faceva, e tanto di cappello alla superiora che ha convinto la monachella – vero o falso che fosse – ad andarlo a denunciare. Poi ore e ore di intercettazioni e riscontri incrociati come manco all’Unipol, prima di deciderne l’arresto. Ma pare non ci fosse proprio niente da fare: era Supersex, altro che carisma. Glielo dava lui il carisma: “Vieni qua che è roba santa”. Tanto bene nel mondo esterno, come dicono in tv, e tanto amore dentro casa: “Vizi privati e pubbliche virtù”. Quello che rimane da chiedersi però, a questo punto, è perché si ostinino a non volere in seminario i gay: “I froci proprio no”. Ah, solo così debbono essere preti e fratacchioni? Mi complimento. Aspetta che ti mandi più la mia signora in chiesa.

Andrea Apruzzese


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