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Latina. La Mostra, il Fascismo, la Shoah. Gli "amici dell'Eucalipto" alla comunità ebraica: «Una grave operazione di antisemitismo culturale»

«Proprio a ridosso della Giornata della Memoria si è chiusa a Latina – per essere portata a Cagliari e poi a New York, di concerto col Niaf, la potente associazione degli italo-americani – una mostra che celebra le città di fondazione costruite in Italia durante il fascismo. Mostra e catalogo (Città di fondazione italiane 1928-1942, a cura di G. Pellegrini, ed. Novecento, pp. 343) sono stati finanziati con 87mila euro dalla provincia di Latina e dalla regione Lazio». Così l'Associazione "Amici dellEucalipto". «In questa mostra però – e soprattutto nel catalogo – viene operato un occultamento della Shoah che appare manifestamente deliberato, non ricorrendo mai, in tutte le 343 pagine, la parola “ebreo” e un qualsivoglia riferimento alle leggi o alla questione razziale, quando è noto invece a tutti gli specialisti il ruolo preponderante che ebbero gli imprenditori e professionisti ebrei nel fenomeno complessivo delle “città nuove”. A loro – che erano ebrei italiani e fascisti, ma anche proprio “fascistissimi” come Guido Segre, e che furono utilizzati a pieno titolo dal regime fino al 1938, e poi di botto discriminati quando non letteralmente perseguitati – si debbono la progettazione e realizzazione di una decina circa delle più importanti tra queste realtà: Aprilia, Pomezia, Arsia, Carbonia, Segezia, Borgo Appio, Borgo Domizio e, per certi versi, Pozzo Littorio. Nel catalogo si citano ad abundantiam i loro nomi e la loro architectural valetudine, ma non si dice mai una volta che erano ebrei e, soprattutto, la fine che fu loro riservata. Concezio Petrucci – l’insigne architetto che progetta Aprilia, Pomezia e Segezia – ha una figlia da Hilde Brat, ebrea austriaca, e deve tenerle tutte e due nascoste e coi documenti falsi, potrà sposare la moglie solo dopo la cacciata dei tedeschi da Roma, ma il primo figlio di Hilde Brat morirà comunque in un campo di sterminio (la figlia suddetta, Flaminia, è oggi moglie di Enzo Siciliano). Arsia e Carbonia invece si debbono all’imprenditore Guido Segre e all’architetto Gustavo Pulitzer Finali. Segre era medaglia d’argento della grande guerra, fascista antemarcia, si dava del tu col Duce, ma viene cacciato nel ’38 e muore di crepacuore nel ’44 in Vaticano con la Gestapo che lo aspetta fuori. Pulitzer Finali invece capisce l’aria e scappa prima in Svizzera e poi in Usa. E questi li citano ripetutamente, senza mai però lasciarsi scappare che erano ebrei. Citano ripetutamente anche Giuseppe Pagano Pogatschnig – il padre putativo del razionalismo italiano – senza però dire che è morto a Mauthausen. La denuncia di questo “occultamento” – unitamente alla enorme mole di imprecisioni, inesattezze e falsità storico-filologiche che, sul piano scientifico, fanno di mostra e catalogo, ancorché tesi a magnificare “le glorie del regime”, una solenne patacca – è stata fatta nel controconvegno “Città nuove e falsi storici” a cui hanno partecipato tra gli altri lo scrittore Antonio Pennacchi e lo storico dell’architettura Giorgio. Muratore. Le denuncia però – unitamente alla richiesta di sospendere la mostra e di non mandarla soprattutto, in queste condizioni, pure a Cagliari e poi in America – è caduta nel silenzio più completo della stampa locale e, ciò che più preoccupa, dell’opposizione di centrosinistra. È vero che il catalogo è preceduto anche da un breve scritto dell’assessore alla cultura della regione Lazio G. Rodano, ed è vero che – pur essendo la provincia di Latina governata dal centrodestra – alcuni comuni sono retti dal centrosinistra, e quindi una gestione à la page dei fondi per le politiche culturali richiede inevitabilmente che, coi suoi, ognuno faccia quello che gli pare, senza che l’altro naturalmente metta bocca. Però è anche vero che, dopo tutti i discorsi ufficiali e le cerimonie di rito per la Giornata della Memoria, l’invio a Cagliari e New York e la copertura di questo occultamento da parte della sinistra – magari solo attraverso una sottovalutazione di comodo, che porti comunque a non coglierne l’oggettiva mostruosità – rende chiaro che l’antisemitismo diffuso, anche se inconsapevole, è un sentimento che supera di gran lunga, in questo Paese, i confini delle destre».
NOTA: Questi dicono: “Ma perché dovevamo mettere che erano ebrei? Noi parliamo solo di architettura e di nessuno abbiamo detto se era di Fiesole o di Pescara. Perché lo dovevamo dire degli ebrei?”. Ora si dà il caso che quelli di Fiesole o di Pescara non hanno fatto tutte le “città nuove” che hanno fatto gli ebrei, e comunque dopo non gli è capitato quello che è capitato agli ebrei: mica gli hanno fatto le leggi antipescaresi. In ogni caso Pulitzer Finali – che da tutta la letteratura specifica, pure indicata in bibliografia, viene sempre definito “ebreo triestino” – in questo catalogo viene ripetutamente detto solo “triestino”; “ebreo” salta. Perché “triestino” sì e “ebreo” no? Forse perché “triestino” sa tanto di italianità, mentre “ebreo” sa di razza inferiore? È questa esaltazione della triestinità, a fronte della negazione dell’ebraismo, che dimostra che non di distratta rimozione s’è trattato, ma di deliberato e colpevole occultamento. E lo vogliamo pure mandare in America?

Mauro Cascio


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