Parvapolis >> Cultura
Latina. CinepoliS. Intervista a Massimiliano Vana, un regista pontino a Barcellona. "Agrodolce" un tenero omaggio al nostro territorio
Ai microfoni di ParvapoliS, Massimiliano Vana, regista documentarista pontino in ascesa, autore dell’interessante “Agrodolce”, presentato nel festival del cinema di Bologna “Visioni italiane” nella categoria “Visioni doc” e tra pochi giorni in onda in una trasmissione televisiva in Spagna, a Barcellona, dove attualmente Vana vive e lavora.
Chiediamo a Massimiliano Vana: come nasce“Agrodolce” ed in che modo rappresenta un omaggio all’agro pontino, tua terra natale? “Sono nato a Latina e da sempre il paesaggio pontino è stato scenografia naturale della mia vita, con le storie legate alla bonifica e i dialetti settentrionali nelle campagne.
Questo passato neanche troppo lontano ha una valenza quasi mitica e quando l’arrivo degli indiani è diventato un fenomeno molto visibile, ho cominciato a pensare alla storia che inevitabilmente si ripete. Le strade percorse dai “nuovi” lavoratori in bicicletta mi ricordavano le foto dei bonificatori ma i turbanti erano un elemento di novità interessante su cui riflettere. Nella vita lenta e semplice dei borghi dell’agro Pontino assistiamo a uno degli “eventi antropologici” più interessanti degli ultimi quindici anni: comunità italiane di poche migliaia di persone che convivono con gruppi di centinaia di lavoratori provenienti dall’India.
Il mio lavoro è una testimonianza, una fotografia dei luoghi e delle persone e non ha la pretesa di dare spiegazioni in merito;
A parlare sono i protagonisti di tutti i giorni, quelli che quotidianamente scrivono questo nuovo capitolo della storia italiana e lo fanno raccontando ciò di cui hanno voglia o bisogno”. Quali sono le motivazioni che portano a scegliere il documentario come forma espressiva?
“Penso che il documentario non sia solo un genere cinematografico, piuttosto è uno stile di vita, un dovere…una responsabilità. Mi piace la “fiction” ma vedo la creatività più come uno strumento che come un fine. Per questa ragione mi interesso molto al sociale e a quelle situazioni in cui il cinema può produrre un effetto straordinario: è come accendere una luce dove c’è oscurità.
Le immagini hanno un grosso potere e quello che cerco di fare è semplicemente raccontare la vita come se fosse un film in cui gli attori sono persone vere.
Quando mi appassiono a qualcosa mi piace viverlo, voglio compromettermi per assaporare e capire in fondo”.
Quando è iniziata la tua carriera di documentarista?
“Il mio primo contatto con il mondo del documentario risale ai primi anni dell’università, seguivo un corso di antropologia visuale e cominciavo ad appassionarmi alla fotografia. Il docente era un giovane antropologo-etnologo Martino Nicoletti che lavorava con la RAI, e che si occupava principalmente di reportajes e documentari antropologici. Quando notò il mio entusiasmo mi propose di fare esperienza con la troupe e di seguire un progetto che aveva come obiettivo quello di raccontare le tradizioni popolari italiane più suggestive. Ebbi così anche l’opportunità di conoscere e collaborare con grande documentarista italiano, Giancarlo Pancaldi, un vero maestro della fotografia. Il clima di lavoro mi affascinò immediatamente e cominciai a guardare al mondo come ad una inesauribile fonte di ispirazione”.
Attualmente vivi a Barcellona e qui è maturato il tuo ultimo lavoro, “Ojos negros” , un affascinante lungometraggio on the road dalla penisola iberica ai Balcani, un lavoro quindi di respiro internazionale. Qual è la tua visione ora del mondo e come mantieni salda la tua matrice originaria?
“Vivo a Barcellona da quasi due anni, da quando, terminata l’università, ho cercato un posto che mi aprisse totalmente al mondo. A Barcellona ho trovato uno spirito veramente europeo e internazionale che mi fa sentire pienamente partecipe di quello che avviene nel mondo. Questo al contempo mi ha permesso di guardare alla dimensione locale con più interesse e consapevolezza. Per il futuro mi piacerebbe poter continuare a lavorare tra Spagna e Italia, sviluppando progetti di interesse internazionale senza abbandonare le piccole storie.
Anche la fiction cinematografica in qualche modo mi attrae, ma vorrei comunque raccontare qualcosa di vero”.
Donata Carelli
|