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Latina. Foibe. Paolo Iannuccelli: «Lasciamoci alle spalle le pagine più brutte del novecento e parliamo di integrazione tra i popoli...»

Un esempo di integrazione, di conoscenza dei fatti, di sapere di due pulizie etniche. La prima, cominciata nel 1941, quando gli italiani occuparono la provincia di Lubiana, con i campi di concentramento per i cittadini sloveni dissidenti. Il più famoso si trovava ad Arpe. La seconda, avviata con più ferocia nel 1943, dai sostenitori del maresciallo Tito, culminata con i morti italiani nelle foibe del Carso. Poi, lo stato jugoslavo, dopo il trattato di pace di Parigi, entrò in possesso di parte della Venezia Giulia, Istria, Dalmazia, Fiume. Trecentomila nostri connazionali, nel 1948, lasciarono le loro terre, cinquantamila restarono, attratti dal comunismo o perché molto legati ai luoghi di origine. La questione dei rapporti tra Italia e Jugoslavia ha tenuto banco per anni, prima con il territorio libero di Trieste, poi con la divisione di un lembo di terra in zona A e B. Il trattato di Osimo ha posto fine a ogni discussiuone tra i due paesi. Molti profughi hanno trovato rifugio a Latina, Gaeta e Priverno, in appositi centri di accoglienza. Si sono interrgati subito a meraviglia con la comunità locale, senza mai perdere i legami con i parenti rimasti ad Est. Hanno parlato subito liberamente di foibe, delle loro fuga quasi forzata, della slavizzazione di territori prima austriaci, poi italiani. In quel mondo fantastico di confine dove senti più dialetti , respiri mare, montagna, senti scorrere i fiumi, vedi grotte incantate sono successe cose terribili, tra le più brutte e deprecabili del novecento. Una cosa va sottolineata nel Giorno del ricordo, voluto saggiamente dcal presidente Ciampi: dal 1965 in poi il confine di Opicina tra Trieste e la Slovenia è stato definito "il più aperto del mondo". Attraverso quel valico di frontiera passavano giornalmente migliaia di operai che lavoravano nel Friuli Venezia Giulia, gli italiani invece andavano a fare benzina oltre confine e a passare le vacanza a Umago o Parenzo, posti stupendi, come Portose, sede di un attraente casinò. A Lubiana eravamo di casa, mentre si guardava con un poco di sospetto la nascente Nova Gorica (Nuova Gorizia), una città formata, allora, da alloggi popolari bruttini, in nome di una economia pianificata. Poi, il maresciallo Tito ruppe con Mosca, aprì all’ovest, i turisti italiani arrivarono in massa su ogni centro costiero, fino a Bar, in Montenegro, le imprese (a cominciare dalla Fiat di Agnelli gemellata con la Zastava) fecero subito affari con i ministri di Tito. Enrico Mattei poteva sorvolare senza autorizzazione con il suo bireaattore il cielo jugosalavo Insomma, dopo pochi anni ci fu una pace durevole, guastata solo da qualche stupido episodio di poco conto. La paura andò via a fine anni cinquanta. Ricordiamo in uno dei nostri primi viaggi in quelle zone una richiesta di cambio di denaro che facemmo a un’edicolante italiua a Fiume, prima ci fece leggere la "Voce del popolo" il giornale filo comunista locale. «Venite dietro la mia botttega, non voglio farmi vedere mentre cambio le lire in dinari». Qualche paura esisteva, poi il consumismo, l’apertura di Tito alla piccola propietà privata, la collaborazione a livello industriuale e commerciale, i pacchetti turistici a basso costo, lo sport, hanno unito sempre di più Italia e Jugoslavia. Latina è stata un punto di arrivo importante per gente laboriosa, educata, intelligente. Oggi hanno la possibilità di ricordare e guardare al futuro. Quando al teatro D’Annunzio si riunì il consiglio comunale di Zara in esilio, presieduto dallo stilista Ottavio Missoni, la parola più pronunciata fu Europa, integrazione europea, nessuna parola nostalgica, poche polemiche, tanta dignità e stile. Per questo amiamo questa gente e la loro terra.

Paolo Iannuccelli


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