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Aprilia. Se questo è un uomo. Nello Mascia: «Si rimane basiti per come l'essere umano abbia potuto immaginare una struttura di morte così»

Ai microfoni di ParvapoliS Nello Mascia, sabato al Teatro Europa di Aprilia per una splendida messa in scena di "Se questo è un uomo" di Primo Levi, un adattamento firmato dallo stesso Mascia e da Pieralberto Marchè per la regia di Franco Però. Oggi sei uno dei nomi più rappresentativi e noti del teatro napoletano. Quando e come è cominciato tutto? «A tredici anni mio padre volle portarmi a Napoli al Mercadante. Si dava una commedia di cui non ricordo il nome. Quello che ricordo è che eravamo cinque spettatori. Compresi io e mio padre. Ci sistemammo in poltrona. Si fece buio. E dal sipario chiuso uscì fuori un vecchietto. Molto simpatico e dal fare molto autorevole. Era Sergio Tofano. Disse più o meno così: "Questa sera, secondo una consuetudine teatrale, essendo gli spettatori in sala inferiori per numero agli attori in palcoscenico, potremmo non fare lo spettacolo, e potremmo restituirvi il costo del biglietto. Ma non lo faremo. Noi questa sera faremo un'altra cosa. Faremo per voi il più bello spettacolo della nostra vita.". Ecco. Se qualcuno mi chiedesse quando ho deciso di fare l'attore, credo che risponderei: in quella magica affascinante memorabile sera del Mercadante». Parliamo di questo testo, questo adattamento teatrale da un classico letterario. Come ci si è approcciati? «Con grandissima umiltà. È una delle pagine più belle della nostra letteratura ed il tema è fortissimo, la più grande tragedia dell'umanità». Se questo è un uomo venne scritto da Primo Levi fra il dicembre del 1945 e il gennaio del 1947, dopo il suo ritorno dal campo di concentramento di Auschwitz, dove l’autore era stato rinchiuso dalla fine del 1943. Pubblicato per la prima volta nel 1947, il romanzo non ottenne un successo immediato. Nel 1956 la casa editrice Einaudi, la stessa che ne aveva rifiutato la pubblicazione nove anni prima, lo accolse fra i "Saggi". Da allora Se questo è un uomo é divenuto un successo editoriale pubblicato e ristampato in tutto il mondo. Nel libro viene descritto il periodo di prigionia compreso fra due terribili inverni nord europei, inverni durante i quali il narratore vede numerosi suoi compagni morire di stenti a causa delle proibitive condizioni ambientali, del precario stato igienico-sanitario del campo, del lavoro massacrante. Levi si trova dinnanzi a un sistema, il lager, organizzato e finalizzato all’annientamento della dignità umana. Dentro questo folle progetto di distruzione, l’uomo non riesce più a provare pietà, non conosce più l’amicizia, la ribellione, la speranza: si cura solo, assurdamente, di non morire e per questo lotta; combatte per mantenere in piedi quel mucchietto di ossa, senza altro scopo che non sia quello di aggiungere sofferenza alla propria condizione. In una pagina straordinaria, eppure terribile, che sembra quasi voler ammonire il lettore, Levi narra la pubblica esecuzione di un prigioniero responsabile di una tentata ribellione; rientrato nella baracca l’uomo non riesce a guardare in faccia il suo compagno: «Quell’uomo doveva essere duro, doveva essere di un altro metallo del nostro, se questa condizione, da cui noi siamo rotti, non ha potuto piegarlo. Perché anche noi siamo stati rotti, vinti: anche se abbiamo saputo adattarci, anche se abbiamo finalmente imparato a trovare il nostro cibo e reggere alla fatica e al freddo, anche se ritorneremo. Abbiamo issato la menaschka sulla cuccetta, abbiamo fatto la ripartizione, abbiamo soddisfatto la rabbia quotidiana della fame, e ora ci opprime la vergogna». I più fortunati riescono a migliorare le proprie condizioni, i più deboli cadono sempre più in basso: ma che giovamento traggono i primi dal sopravvivere sulle spalle dei secondi, che vita sorge dallo spettacolo quotidiano dell’annientamento dei propri simili? «Abbiamo voluto concentrare tutto il dramma in un atto unico di un'ora e mezzo e le omissioni sono state le più dolorose». Come sta reagendo il pubblico? «Si rimane senza parole, senza respiro. Anche increduli no? Per come l'essere umano sia potuto arrivare a tanto e immaginare una struttura di morte così perfetta. Poi quanto ha fatto Saddam Hussein con le minoranze etniche del suo Paese è la dimostrazione che l'uomo ritorna sempre sui suoi errori. Per cui io penso e credo che bisognerebbe leggere e rileggere questo libro almeno una volta ogni due anni».

Claudio Ruggiero

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