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Latina. La guerra raccontata da chi l'ha vissuta. Di Mare: «Quando ho visto sparare a una bimba mi son chiesto quanto fossimo ancora animali»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS con Franco Di Mare, giornalista, inviato di guerra, testimone e protagonista a Latina e - successivamente in tournée in Italia - di "Una storia da Lontano", un racconto e una testimonianza degli orrori e delle pazzie incomprensibili della guerra. Un appuntamento teatrale che è rivolto in maniera particolare agli alunni delle scuole superiori. Come nasce questo spettacolo e perché? «Nel 1992 a Sarajevo io vidi l'omicidio di una bambina di 12 anni, dovevo fare il servizio per il TG2 e non riuscii a parlare, mi venne da piangere. Questa bambina stava giocando, il cecchino aveva visto che era una bambina e ciononostante aveva mirato, aveva sparato, l'aveva colpita alla schiena e l'aveva uccisa. Allora mi sono chiesto - e continuo a farlo oggi - cos'è che scatena la bestia nell'uomo? Perché un uomo può decidere di uccidere un bambino? Ho cominciato ad indagare, a leggere, e non c'è una spiegazione unica, ce ne sono diverse. Questo spettacolo vuole indagare proprio nel mondo dove non si è mai indagato, in quel cono d'ombra della coscienza umana in cui l'uomo può trasformarsi in qualcosa che è peggio di una bestia». Da testimone sul campo di battaglia, nei teatri di guerra, a testimone sul palcoscenico di un teatro. Come hai vissuto questo passaggio, dato che non nasci come attore, ma come giornalista? «Infatti il trucco è quello, che qui non faccio l'attore ma il giornalista: provo a raccontare quello che ho visto, i dubbi che ho avuto, da giornalista, solo che lo faccio in teatro, con l'aiuto di attori veri, con l'ausilio di immagini, di film, della musica, che aiuta tanto». Quali emozioni ti stanno dando in questi giorni i ragazzi con cui comunichi? «Abbiamo cominciato con 700 ragazzi delle ultime classi dei licei, che di natura sono un po' "caciaroni": in teatro non volava una mosca». Si dice che una delle prime vittime della guerra - oltre l'innocenza - sia la verità: in un punto dello spettacolo accenni alle possibili strumentalizzazioni da parte delle fazioni in lotta, che ti chiamano per farti riprendere uno spettacolo "bellissimo" e magari stanno torturando un nemico. Dove finisce il diritto di cronaca e dove inizia il rischio della strumentalizzazione? «È un confine che passa all'interno delle proprie coscienze. C'è qualcuno che supera questo confine e va condannato e io denuncio ogni volta che vedo cose del genere. Io non lo varco mai». "Una storia da Lontano", presentato da UnicaEventi all'interno della sesta edizione di Obolon, colpisce, come il rumore dello scarrellamento di un Kalashnikov (che improvvisamente appare sul palco, protagonista simbolo di ogni guerra degli ultimi cinquant'anni). Franco Di Mare affronta il racconto degli orrori di guerra di cui è stato testimone in quindici anni di carriera come inviato di guerra. Davanti agli occhi dello spettatore scorre un film di torture, morti, orrori che partono da Sarajevo, da quella bambina, Amira, su cui il cecchino sta prendendo la mira, e passano per la seconda guerra mondiale, per la Shoah, per l'atroce guerra tra le etnie Hutu e Tutsi che nel 1994 insanguinò il Rwanda, per arrivare ai giorni nostri, all'Afghanistan, all'Iraq, agli attentatori suicidi che fanno saltare in aria se stessi e decine, centinaia di civili innocenti. Non c'è ipocrisia, i particolari non vengono taciuti. Soprattutto nelle testimonianze dirette di chi la guerra l'ha vissuta, l'ha subita. L'indagine della bestia che può scatenarsi in ogni uomo parte da lontano, e sui monitor scorrono le immagini di "2001 Odissea nello spazio" di Stanley Kubrick, di quella scena in cui i primi ominidi scoprono l'arma, un osso scagliato contro un proprio simile per ucciderlo. Scorrono le emozioni, anche le paure, e i piccoli grandi atti di eroismo che si compiono durante una guerra. Sul palco, in mezzo a mura diroccate, ad un'impalcatura sinonimo della speranza di ricostruzione delle umane macerie interiori, insieme al giornalista, vi sono Giancarlo Loffarelli (coautore insieme a Di Mare, nonché regista dell'opera), Marina Eianti, Luigina Ricci, che legano i racconti recitando brani di diversi autori, da Tolstoj a Hillmann, a Céline. La colonna sonora, che sottolinea gli stacchi e i passaggi più delicati, è affidata all'orchestra Fiati Ensemble. Il lungo percorso si conclude lì dove è cominciato: a Sarajevo c'è una bambina che gioca. Si ode uno sparo. «Eccola Amira». E sullo schermo appare il suo corpicino, ormai privo di vita. «Oggi avrebbe venticinque anni».

Andrea Apruzzese

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