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Roma. L'uomo, la bestia e Leo Gullotta. ««Un testo classico, che parla di ipocrisie, di maschere, di vite inautentiche che ci scorrono addosso»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Leo Gullotta.
Debutta il 18 aprile al Teatro Eliseo "L'Uomo la bestia e la virtù" di Luigi Pirandello.
«Un testo classico, che parla di ipocrisie, di maschere, di vite mai autentiche, insomma
di quei mali della società moderna che noi misuriamo ogni giorno, nella vita, nel lavoro.
Pensiamo alle falsità nel mondo dello spettacolo. Ma così per i medici, per i dentisti, per i macellai.
Ma in genere una persona più semplice è più vera, più autentica».
E Leo Gullotta? «Io sono trasparente, pulito, ciò che si vede faccio. Non frequento
cattive compagnie». Forse perché nato in un ambiente povero? «No, adesso non facciamo
retorica. Ognuno si porta la propria storia, la qualità di ciò che vuole dare a se stesso e agli
altri».
Torniamo a Pirandello, si tratta di un lavoro che è ormai un pezzo di storia e di alta letteratura.
«Sì, è una graffiante satira del perbenismo borghese. Un grottesco con
tanto di triangolo, in cui si mescolano, per quieto vivere, sesso e ipocrisia sociale.
Scritta nel 1919, questa che Pirandello stesso definisce un apologo, dà, rileggendola oggi,
la possibilità di centrare il quesito: è diversa la Bestia perché "diversa", o sono
Bestie tutti coloro che la considerano tale? Pensiamo oggi agli episodi di razzismo, per
esempio.
Protagonista il professor Paolino (l’Uomo), un rispettabile insegnante che ingravida
la virtuosa signora Perella (la Virtù), durante una delle frequenti assenze del marito
(la Bestia). In un susseguirsi di scene non prive di angosciosa suspense per i due amanti,
emerge perfidamente la vis comica pirandelliana».
Claudio Ruggiero
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