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Latina. Laicità e pensiero liberale. Tolleranza come strategia: la disputa tra Ambrogio e Simmaco. L'opinione di Massimo Cacciari
È uscito in questi giorni «La
maschera della tolleranza,
la disputa tra Ambrogio -
Epistole 17 e 18 -, e
Simmaco - Terza
Relazione», edito dalla
Bur (pagg. 148, euro
8,60). L’introduzione è di
Ivano Dionigi, la
traduzione di Alfonso
Traina. Qui riportiamo, sulla Tolleranza, un
brano che ci sembra estremamente significatico, tratto dalla postfazione di
Massimo Cacciari.
«Come non esistono "sette di geometri,
di algebristi, di aritmetici,
perché tutte le proporzioni di
geometria, di algebra, di aritmetica
sono vere", così non esisterebbero
sette di banchieri e finanzieri.
Forse perché le leggi del mercato
sono inalterabili come quelle
della matematica?
Mai la ragione potrà generare
mostri; sempre l’intelletto combatterà
per sconfiggere le tenebre;
vi è un contenuto universalmente
umano delle religioni che
spetta all’intelletto stesso "salvare";
questo contenuto può dunque
essere drasticamente separato
dal loro aspetto storico positivo;
laddove finalmente le superstizioni
siano rese innocue grazie
al diffondersi dei lumi nel governo
della cosa pubblica, allora
possono essere tollerate e
criticamente demolite. La demolizione
critica non rappresenta che
l’altra faccia della tolleranza. Il rispetto
che è dovuto al nucleo comune
delle religioni, così come
l’intelletto lo interpreta, non è infatti
per nulla tolleranza; in qualche
misura significa riconoscimento
e adesione. Alle superstizioni
che resistono (e che debbono
essere ancora sorvegliate e
punite nel caso trasgrediscano in
azione politica) non si tributa, in
realtà, invece, alcun rispetto; la
tolleranza è, al fondo, una procedura
politica ritenuta, in quest’epoca
storica, la più utile ed efficace
per debellarle. Ciò che davvero
interessa a questo pensiero
è la neutralizzazione politica del
dissenso intorno ai valori. II discorso
sulla tolleranza è parte di
questa prospettiva ben più generale,
che investe la natura stessa
dello Stato moderno. In esso è tolerabilis la
disputa religiosa, ideologica,
tra convinzioni che non si
ritengono affatto "deboli, incoerenti,
soggetti all’instabilità, all’errore"
(come Voltaire riteneva
invece fossimo tutti), soltanto se
appare neutralizzabile politicamente.
Esattamente ciò che né
l’"intollerante" Ambrogio né il
"tollerante" Simmaco avrebbero
mai accettato di essere.
Ridotto così alla sua struttura teorica
fondamentale e spogliato dell’aura
di buoni sentimenti che
continua ad avvolgerlo, il discorso
sulla tolleranza si rivela, nel
contesto del dispositivo della
neutralizzazione, quell’arma critica
chiamata a dimostrare l’insostenibilità
stessa di ogni posizione
che si proclami fondata su principi
innegabili. La strategia della
tolleranza è quella per cui si cerca
di pervenire all’intollerabilità
dell’innegabile.
Intollerabilità che sia sensus communis,
che sia ormai patrimonio
del pubblico.
Il discorso sulla tolleranza dimostra
positivamente che nessuna
affermazione può pretendere all’innegabilità
(se essa poi volesse
"trascendere" in prassi politica,
allora dovrebbe venire subito
semplicemente repressa). Tolleranza
significa condizionamento e
relatività reciproca delle diverse
posizioni che pure si distinguono
e si confrontano, ma ciascuna nella
esplicita consapevolezza della
propria relatività. Ma ciò non è
affatto relativismo: il tollerante afferma
l’innegabilità della superiorità
del proprio punto di vista dimostrante
la condizionatezza di
ogni "valore" e, simul, l’intollerabilità
sociale-politica, insieme alla
infondatezza teorica, di ogni innegabile.
Egli afferma innegabile
la dissoluzione degli innegabili,
tollerabile la loro "superstizione"
soltanto se neutralizzata politicamente,
intollerabile la loro predicazione
pubblica "eversiva". Per il
tollerante non può sussistere convinzione
che intorno al contenuto
di proposizioni scientifiche. Qualsiasi
convinzione che si fondi sulla
forma della fede e non possa
venire perciò dimostrata deve essere
politicamente-criticamente
neutralizzata. Ma qual è la forma
della convinzione scientifica? Essa
si distingue radicalmente da quella
religiosa poiché riconosce la
propria falsificabilità. Questo carattere
dell’impresa scientifica è
chiaro nel Moderno ben prima
delle epistemologie contemporanee.
Scienza è ricerca, è progresso
della ricerca. Le convinzioni
raggiunte non sono che il fondamento
per nuove scoperte. Scienza
è compito infinito.
Qualsiasi evento, nella sua storia,
è per essere superato.
Dunque, dal suo punto di vista, è
inaccettabile ogni affermazione di
Eventi che possano contenere in
sé il significato della nostra destinazione.
È inaccettabile ogni convinzione
che si fondi su una Rivelazione.
Essa può essere tollerata,
nei limiti che si sono visti, ma
questa tolleranza non dissimula la
radicale incompatibilità delle due
prospettive. Nessuna accomodante
logica dei distinti potrebbe occultare
l’abisso che le separa.
Il punto di vista del tollerante può
riconoscere positivamente soltanto
quella convinzione che è responsabilità
nei confronti dell’infinito
o indefinito augmentum
scientiarum e sopportare la convinzione
religiosa soltanto "contenendola"
ad affare privato o a
una dimensione pubblica perfettamente
neutralizzata. Se accettasse
come "valore" la convinzione intorno
a innegabili, contraddirebbe
il fondamento della propria stessa
posizione e finirebbe col neutralizzare
la potenza dell’impresa
scientifica cui si è votato. Altrettanto
il tollerante non può non
pensare che la sua posizione sia
la più idonea a convincere chi è
fermo sulla convinzione intorno a
innegabili a riconoscerne la infondatezza
e a "convertirsi" all’unica
fondata certezza: la relatività e
condizionatezza di ogni "valore".
Questo è l’esito da perseguire,
questa la "buona speranza": la
tolleranza, allora, verrebbe a capo
finalmente dell’onus che ha
sempre dovuto sopportare, di cui
ha dovuto sempre comunque soffrire.
La definitiva affermazione
dei lumi che l’hanno prodotta
coinciderebbe con il suo felice
compimento. Si chiuderebbe finalmente
l’epoca in cui era necessario
tollerare, poiché non vi sarebbero
più nemici né stranieri rispetto
al discorso sulla tolleranza.
La tolleranza mira esplicitamente
ad auto-superarsi avendo superato
i propri avversari. La tolleranza
non può pensarsi che come
strategia per il trionfo dei propri
principi e il dissolversi delle "inumane"
tenebre che costringevano
alla lotta tra convinzioni assolute
e contrapposte».
Mauro Cascio
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