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Latina. Laicità e pensiero liberale. Sergio Givone: «Tolleranza vuol dire abitare la differenza, ospitandola in noi come una ricchezza»

Post-Secolare è l’epoca in cui il processo di secolarizzazione sembra essersi compiuto. Non però col risultato di respingere la religione nel passato, come cosa ormai inattuale. Ma al contrario riscoprendo l’attualità della religione sia come esperienza privata sia come dimensione pubblica. Ha osservato Sergio Givone, ordinario di Filosofia all'Università di Firenze, sulle pagine del Messaggero a commento del nuovo lavoro di Amato e Paglia: «Su come ciò sia potuto accadere si interrogano un uomo politico che è anche un insigne costituzionalista, Giuliano Amato, e un uomo di Chiesa, monsignor Vincenzo Paglia, in un dialogo di raro equilibrio e di grande intelligenza (dal titolo, appunto, Dialoghi post-secolari, i libri di Reset-Marsilio). Dice Amato: la secolarizzazione ha liberato l’uomo da antiche catene, ma l’ha lasciato solo, privo di orientamento, e soprattutto indifferente al bene e al male, donde il bisogno di ritrovare in Dio ciò che il mondo non era più in grado di offrire. Al che Paglia aggiunge (citando Henri de Lubac) che questo è un dramma, poiché se è vero che alla morte di Dio fa inevitabilmente seguito la morte dell’uomo, è anche vero che l’uomo che muore torna necessariamente a rivolgersi a Dio. Ma se le cose stanno così, laici e credenti devono riconoscere che più importante di ciò che li divide è ciò che li accomuna. Gli uni e gli altri stanno di fronte al mistero che tutti ci abbraccia e ci trascende. Se la fede strappa frammenti di luce al mistero, è per affermare la sua insondabilità, e se il dubbio è coscienza del limite, come non pensare che tutto al di là di esso è mistero? Sia la fede sia il dubbio comportano dunque un atteggiamento critico. In caso contrario il dubbio del laico diventa nichilismo e la fede del credente si trasforma in fanatismo. Contro questo doppio rischio, non c’è altra via che quella del confronto aperto e a tutto campo. Tanto più che il credente ha bisogno del laico, e viceversa. È il principio della laicità a impedire al credente di chiudersi in un mondo di valori che non comunicano con i valori degli altri. Ed è pur sempre un atto di fede quello che il non credente scopre alla radice delle sue scelte e del suo agnosticismo. Da questo punto di vista parlare di tolleranza appare senz’altro riduttivo. A meno di non dare al concetto un significato più ampio e più complesso di quello cui siamo abituati. Cosa significa tollerare l’altro? Che io sono disposto ad accettare dell’altro quel che lui ha in comune con me, a patto però che lui lasci cadere ciò che ci separa? O che il senso e la verità della vita, ogni vita, stanno nelle molteplici forme dei contenuti di fede e che solo abitando la differenza, solo ospitandola in noi come la nostra più grande ricchezza ci disponiamo a incontrare veramente l’altro? A chi ha proposto, non senza ragione: "Tu non mettere sul tavolo i tuoi assoluti e io non metterò i miei", si potrebbe rispondere: "Tu metti sul tavolo i tuoi assoluti e io metterò i miei". Allora scopriremo (come Paglia propone raccogliendo un suggerimento di Amato) che, liberati dalle loro incrostazioni, gli assoluti traggono la loro forza e il loro senso in quanto c’è di più universalmente umano.

Mauro Cascio


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