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Latina. Laicità e pensiero liberale. Se la religione cattolica invade lo Stato questo deve assolutamente avere tutti gli strumenti per difendersi
La discussione che si è aperta in Italia sull’insegnamento
del Corano nella scuola
pubblica è già avvenuta una volta, nel
1999, in Germania. A quel tempo fu interpellato
il cardinale Ratzinger, oggi Papa
Benedetto XVI, che non s’oppose "in linea
di principio" all’ora di religione musulmana.
Nell’intervista al giornale Welt am
Sonntag, il 4 aprile ‘99, il prefetto della
Congregazione della dottrina della fede
constatava l’indebolirsi della fede cristiana
in Europa, e rammentava come negli ultimi
30-40 anni fosse aumentato il numero dei
non cristiani.
Era il motivo per cui le autorità tedesche
avevano per forza introdotto l’insegnamento
dell’etica, accanto a quello cristiano.
Il medesimo motivo spingeva ora i musulmani
a chiedere lezioni di Corano. Al
tempo stesso, tuttavia, Ratzinger poneva
alcune questioni essenziali, ricordando come
l’Islam abbia un’idea della società molto
"diversa dalla nostra": «Da una parte esso
non conosce la separazione fra Stato e
Chiesa, tra società e religione: strutturalmente
è fatto in modo tale che la religione
determina il diritto, la legislazione, l’intera
vita della società». Tra le righe, Ratzinger
lasciava intendere che l’identità europea e
tedesca è in questa separazione " interiorizzata
lungo i secoli dalla Chiesa " più
che nella coincidenza completa fra Europa
e cristianesimo.
Le lezioni coraniche non erano dunque
escluse, ma condizione preliminare era che
l’Islam "aderisse in pieno alla costituzione
tedesca" e alla cultura europea dello Stato
non confessionale. C’era poi la questione
della frammentarietà dell’Islam: a chi affidare
l’eventuale insegnamento coranico, e
che Islam insegnare? S’interrogava Ratzinger.
Di questo urgeva discutere tra governo,
regioni, musulmani tedeschi. È la ragione
per cui il futuro Papa credeva che alla
fine si sarebbe giunti a lezioni d’"informazione
religiosa", più che a vere lezionicatechesi.
Anche se non detta, la condizione
era che nascesse un Islam tedesco (o
italiano, o europeo) anziché un Islam in
Europa, in Germania, in Italia: da tempo lo
sostiene Khaled Fouad Allam nei suoi articoli.
Vale la pena ricordare la posizione
presa sette anni fa da Ratzinger, per capire
quel che è fittizio nelle contrapposizioni
che dividono l’Italia. Osserva Barbara Spinelli su La Stampa:
«È falso che il cardinale Martino sia isolato,
quando giudica non impraticabile l’insegnamento
musulmano in classe. È difensiva
la messa a punto di Ruini, presidente
della Conferenza episcopale, secondo cui il
problema non esiste perché un trattamento
simile a quello riservato ai cattolici è
impossibile - non esiste con l’Islam un
Concordato - e perché la cultura italiana,
nella quale gli immigrati sono chiamati a
vivere, è "inscindibilmente legata alla religione
cattolica". Falsifica le cose il presidente
del Senato Pera, quando divide Martino
dal Papa. Nelle parole dette in Germania
da Ratzinger c’era una chiara coscienza
della crisi cristiana, e dell’ineluttabile
ascesa di altri modi di credere o non credere:
una coscienza assente in chi usa il
Papa per evitare il disturbo di Martino.
Può darsi che il Pontefice sconfessi Martino,
ma in tal caso è con se stesso che entrerà
in contraddizione. Nelle nostre discussioni
è rievocata anche la reciprocità.
Dobbiamo chiederla ai paesi musulmani,
prima d’offrire tolleranza? Dobbiamo domandare
che nei paesi arabi si insegnino
Antico e Nuovo Testamento, prima d’insegnare
il Corano da noi? Martino sembra
contrario a reciprocità siffatte, facendo notare
che "se attendiamo la reciprocità nei
paesi dove ci sono cristiani, allora ci dovremmo
mettere sullo stesso piano di
quelli che negano questa possibilità": un
tremendo prezzo da far pagare alla diaspora,
tra l’altro. Il cardinale Sodano non
aveva detto cose differenti, il 20 febbraio
quando il Papa incontrò l’ambasciatore
marocchino: "Sul piano politico dobbiamo
far giocare il concetto della reciprocità, ma
la nostra storia e la Costituzione ci obbligano
a dare agli altri ciò che loro compete
anche se gli altri non ce lo danno.
Dialogo e reciprocità sono dibattuti nella
Chiesa, con risultati più contraddittori di
quelli cui giungono Pera e i suoi sostenitori.
Da questo punto di vista non stupisce
che un cattolico credente come Vittorio
Messori abbia, sul Corano, un’opinione assai
vicina a chi il concordato vuol abolirlo.
In un’intervista a Giacomo Galeazzi, su La
Stampa del 9 marzo, Messori ritiene che
tutte le religioni dovrebbero uscire dalle
scuole pubbliche, compresa la cattolica:
"In una prospettiva cattolica la formazione
religiosa può solo essere una catechesi e
nelle scuole statali, che sono pagate da
tutti, non si può e non si deve insegnare il
catechismo. Lo facciano le parrocchie a
spese dei fedeli".
Lo stesso facciano i musulmani, gli ebrei, e
lo Stato resti neutrale: "Proprio noi cattolici
dovremmo togliere i crocifissi dai luoghi
pubblici e il finto insegnamento della
nostra dottrina nelle scuole". La disputa è
importante e si spera continui. Essa spinge
i cattolici a scoprire i vantaggi della laicità,
e a vedere nell’irrigidita difesa dei privilegi
concordatari un elemento non di forza,
ma di arretramento. Proprio qui è in effetti
il punto dolente: il deperire numerico e
spirituale del cristianesimo in Europa, Italia,
Germania. Spesso, la Chiesa accetta le
rivendicazioni degli integralisti islamici per
preservare Concordato e privilegi, e celare
l’indebolirsi evocato da Ratzinger sulla
Welt. Se le chiese hanno bisogno dei favori
statali per sussistere, se non possono
tassare i fedeli come consiglia Messori, il
loro sfinimento è grande. Guardare in faccia
quest’indebolimento vuol dire pensare
vie d’uscita che riesaminino i diritti concessi
a chiese e religioni dando il primato
all’individuo-cittadino, più che alle rivendicazioni
di comunità identitarie.
È una sfida per l’Islam come per il cristianesimo,
e per questo Emma Bonino li affronta
insieme, quando mette in guardia
contro una Repubblica fondata sulle religioni
e non su una laicità capace di integrare
gli individui anziché i comunitarismi.
I danni del multiculturalismo stile inglese o
olandese sono immensi, come spiega Magdi
Allam: "L’88% dei musulmani con cittadinanza
britannica disprezza oggi l’identità
britannica e il 40% vorrebbe imporre la
sharia, la legge islamica" ( Corriere della
Sera, 10-3-06). Khaled Fouad Allam propose
nell’ottobre scorso un commissario europeo
per l’immigrazione, e anche l’Italia
ne avrebbe bisogno. La Bonino sarebbe
perfetta, per quel che conosce e che pensa,
in queste cariche. Ambedue le religioni
attraversano drammi non dissimili in Europa,
anche se il cristianesimo ha superato
dilemmi che l’Islam ha di fronte a sé.
La religione cattolica-protestante è sfibrata,
e l’Islam s’incrina perché la vita in diaspora
non coincide con quella nei paesi
d’origine. È un Islam mutante, nostalgico
delle radici e al contempo già in parte assimilato.
Tanto più indispensabile è che l’Islam
italiano, tedesco, europeo, aderisca
alle costituzioni come diceva Ratzinger nel
‘99. È l’unico modo per aiutare i musulmani
riformatori e anche qui, il ruolo della
Bonino è stato cruciale: un articolo sul Foglio,
il 10 marzo, racconta come la maggioranza
della Consulta islamica, martedì
scorso, abbia approvato un manifesto autocritico
partendo da una fitta corrispondenza
tra la Bonino e Souad Sbai (presidentessa
della Confederazione dei marocchini
italiani e membro della Consulta), all’indomani
del pestaggio di Idrissi, un giovane
marocchino, il 19 febbraio a Sassuolo.
Nel manifesto, la maggioranza dei musulmani
italiani condanna il terrorismo, riconosce lo stato d’Israele, chiede agli stati
islamici di rispettare la libertà religiosa,
denuncia le prediche contro cristiani, ebrei
e occidentali, s’oppone a una "identità
islamica" separata dalla "comune identità
nazionale italiana", si pronuncia contro
ogni discriminazione nei confronti della
donna. È un importante gesto dei musulmani
d’Italia, anche se l’ortodossia integralista
"che controlla gran parte delle
moschee" cercherà di isolarli. Per essi
l’integrazione è infinitamente più importante
delle libertà religiose che prendono
la forma di privilegi acquisiti in nome di
chiusi gruppi d’appartenenza. Perché solo
l’integrazione cittadina tutela chi davvero
è dannato, in diaspora: la donna, il pensiero
laico, e anche i non-religiosi.
Cosa significa insegnare il Corano, se i
non credenti continuano a esser considerati
miscredenti, apostati degni di morte?
Cosa significa insegnare il Corano oggi, se
i testi in circolazione son commentati da
fanatici e se i maestri non ricordano l’Islam
quando era multiculturale e gli innumerevoli
mistici musulmani che nei secoli
furono considerati apostati o uccisi? Vorremmo
qui citare Ahmed Baghdadi, lo
scrittore kuwaitiano condannato il 23 marzo
2005 a un silenzio di tre anni per aver
detto che a scuola erano preferibili un po’
più di lezioni di musica e un po’ meno religione:
«In genere, quando religioni come
la nostra vivono sconfitte, le società si rifugiano
nel patrimonio religioso, storico.
Vi mettete a cantare i vostri monumenti e
la gloria passata, ma nella civiltà d’oggi
non rappresentate in realtà nulla» (intervista
al giornale Al-Siassa, 16-4-05).
L’insegnamento del Corano non è questione
astratta. Va calato nella storia dell’Islam,
oltre che nella nostra. Sarà un giorno
praticabile se ben negoziato, ma conviene
sapere che la domanda viene oggi
dai più conservatori della consulta islamica
(l’Ucoii, legata ai Fratelli Musulmani),
che si propongono di re-islamizzare la
diaspora e scongiurare una sua eccessiva
integrazione. Il loro scopo è di ridurre la
religione a uno scheletro di riti e divieti,
visto che la cultura d’origine è perduta
(Khaled Fouad Allam, Repubblica 12-10-
05).
Tanti europei come Pera vedono nella laicità
un’ideologia laicista, pur di non pensare
la stasi del cristianesimo: una visione
che li accomuna a certi integralisti dell’Islam.
È il sospetto che nutre Ahmed Baghdadi,
quando rammenta la risposta che
diede Rowen Williams, capo della Chiesa
anglicana e arcivescovo di Canterbury, a
chi l’interrogava sulle ferite inferte dal film
di Scorsese l’ Ultima Passione di Cristo: «Se
un semplice film basta a far vacillare la fede
del cristiano, allora non so che farmene
di questa fede».
Mauro Cascio
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