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Latina. I nuovi Presidenti di Senato e Camera. Domenico Cambareri: «Più che un passo indietro, un salto nel buio»

Le elezioni di Marini e di Bertinotti costituiscono una prima immeritata, sonora sconfitta delle attese di "nuova aria" del "nuovo" centrosinistra rispetto ai relitti cosparsi e che ancora ingombrano le pagine della cronaca e della più recente storia politica, economica, sociale e, soprattutto, sindacale nazionale. Contraddizione patente: nel declino di questi potentati di pericolosa deriva democratica e di rovina economica quali sono stati i confederali, oggi fortunatamente ridotti a meri centri di assistenza, due dei loro uomini degli anni più bui sono ai vertici delle istituzioni. E' davvero un peccato, un enorme peccato che Prodi e la compagine da lui guidata si siano lasciati sfuggire così eccezionali condizioni per proporre e per fare eleggere esponenti credibili e forniti di un curriculum di tutt'altra natura e levatura. E' davvero un peccato, un enorme peccato che si siano già compromessi con nomi che ipotecano per il loro passato e il loro presente qualità, ambizioni e ruoli della nuova "maggioranza" e del nuovo governo sia a livello interno che internazionale. E' davvero grave avere supinamente e acriticamente utilizzato due cadaveri. Gli armadi della politica italiana sono pieni di cadaveri. Non lo sono di meno gli aggregati dei vertici partitici, purtroppo. Due cadaveri delle pagine più nere di quella "prima repubblica" mai morta, oggi più che mai vegeti e assurti al massimo della loro immeritevole responsabilità istituzionale. Cominciamo con Marini, il cui nome è legato tutto intero alla Cisl, con responsabilità di vertice e di guida diretta, per molti anni. Siamo negli anni, nei lunghi anni dello sfascio partitocratrico e della violenza sindacale. Gli anni in cui i capi sindacali rivendicavano apertamente e ostinatamente il diritto di surrogare e sostituire il potere politico.Gli anni che ci riportano alla memoria, fra l'altro, il nome di Lama e di Trentin. Gli anni, cupi e torbidi, in cui si incrociarono altre violenze e altre trame. Gli anni, soprattutto, in cui violenti e scellerate imposizioni corporativo-confederali stravolsero l'assetto e gli equilibri economico-sociali e avvicinarono pericolosamente la realtà italiana a quella dei regimi del "socialismo reale". Avvicinamento che però non annullava certe rimarchevoli differenze, come quella dell'esproprio proletario, del diritto allo sciopero, della manomissione delle procedure e delle qualità produttive negli stabilimenti industriali di contro al rigido e fanatico rispetto della gerarchia del mondo pansovietico. Se l'apice si raggiunse velocissimamente nel 1973, ebbene teniamo presente che a quella data sono fermi gli equilibri socio-economici e retributivi fra la maggior parte delle corporazioni vincenti e perdenti, e che a far tempo da allora il rampante distruggitore Marini avrebbe fatto la sua comparsa a tutto tondo. Gli scioperi. Già, gli scioperi di quando per anni e anni la somma degli scioperi dei lavoratori di tutti i Paesi europei rimaneva molto al di sotto di quelli italiani. Sarebbe interessante conoscere delle stime sui danni arrecati, sinora non calcolati e forse incalcolabili, prodotti dalla cieca, fanatica violenza sindacale contro il nostro sistema economico e i nostri equilibri politici; e a quanto pesano e peseranno sul gigantesco indebitamento che almeno sei generazioni di italiani stanno portando e porteranno sulle spalle per tutto il nuovo secolo. La dittatura sindacale ha molti fiori all'occhello, che simbolicamente e immediatamente sintetizzano il virulento sfascio e lo sventramento perpetrati nei confronti degli interessi nazionali, sia individuali e capitalistici che collettivi e statali. I camalli di Genova e gli altri portuali, i metalmeccanici e gli operai dell'Alfa-Sud di Pomigliano e della Lancia. Ad esempio. Per non parlare dei cassintegrati a vita con stabili attività lavoro in proprio. E il diritto alle false (e plurime) pensioni. Ma nonostante fossero passati gli anni dei più terribili scontri sociali e ideologici, quando pur annaspando si cercava di andare avanti anche se l'inflazione superava il 22%, Marini - surclassando ogni demagogia comunista e di qualsiasi esaltato allora in circolazione - crea la sua teoria. Come fece quel De Mita con la stramberia non meno fanatica che scavava fossati e trincee, dell'arco costituzionale. Quale fu la teoria sovvetitrice di ogni principio economico-produttivo di questo arringatore e sfruttatore di masse incolte? Che il "salario è una variabile indipendente". Cento volte meglio i figli di Marx, anziché ascoltare simili canagliate pseudo-sindacali. Il sindacalista Bertinotti non era ai vertici della CGIL, e lavorava sodo come sindacalista della base. Buon lottatore che non ha eternizzato il passato del PCUS come Cossutta. E' approdato non a un "romanticismo comunista" quanto a una perdita del senso d'identità con il mondo che lo circonda. Tranquillamente non abiurato ma condannato il modello sovietico, Bertinotti si sbrodola nell'inventare un inesistente immaginario del comunista del futuro, e si sollazza tra i diritti che vuole riconoscere anche ai serpenti ermafroditi e allo stato minerale, e l'umanitarismo di un'integrale non violenza. Al tempo stesso spupazza e sbaciucchia i regimi "anticapitalistici" più retrivi e violenti, ultimo il comunismo di Fidel, l'ex mercenario di Mosca che vive di rendita dopo aver trasformato coste de L'Avana in immensi postriboli a cielo aperto per vivere di rendita sul turismo capitalista e. su dollari ed euro. Non dimentichiamo poi la platea dei soggetti a comparsa multipla improvvisa e semi-evanescente nelle ripetute scene delle violenze durante le più disparate manifestazioni "anti", che elettoralmente fiancheggia i teatranti del suo esotico partito. Marini e Bertinotti, con tutto il loro adontato passato sindacale, e con l'esaltazione demagogica della Costituzione, sono coloro i quali, assieme a tutto l'apparato del quale hanno fatto parte e continuano a fare parte, vigilano (o attentano?) affinché il dettato costituzionale non sia mai attuato in quella parte che avrebbe dovuto da oltre cinquant'anni realizzare la regolamentazione della vita sindacale attraverso l'attribuzione della personalità giuridica appunto ai sindacati. In termini strettamente partitici, passi pure per Bertinotti - ma vedremo anche gli altri perché no -, ma non certo per Marini. Il primo, è il segretario del suo partito, il secondo è una dei diversi nomi di un vertice della Margherita composto da politici di carriera fra i quali si sarebbe dovuto in effetti individuare un nome, dall'ex democristiano Castagnetti all'ex radicale e leader Rutelli (mettendo da parte le ambizioni sulla Farnesina). Non ci poteva essere un inizio peggiore, con la mimica e l'oratoria di un incallito sindacalista al Senato che par dire, nonostante i contenuti aperti e conciliativi del suo discorso, "qui so tutto io"; e con il programma di invenzioni di coordinate storiche e ideologiche alla Camera. Cose molto, molto pericolose. Ad iniziare dal voler imporre il giorno della vittoria di una parte come giorno della "rinascita" e il voler giocare al rialzo sui simboli di taluni efferati massacri, che non vanno dimenticati ma neppure utilizzati come manifesti, pietre di fondazione e architravi La festa di tutti gli italiani è e rimane soltanto, assieme a quella del due novembre e del Natale di Roma, quella del 2 giugno, festa della Repubblica nata dalla sconfitta e "a margine" dall'antifascismo, che i costituenti e il primo parlamento si guardarono ben bene dal battezzare entro gli articoli fondativi come "antifascista", perché sapevano che solo soltanto altre macerie si sarebbero aggiunte con il perpetuare l'odio. L'Italia rinasce dunque il 2 giugno, e solo il 2 giugno, salvo non volere aprire, il buon Bertinotti, con Cossutta e Diliberto, e i fantasmi dei fin troppo da me rispettati azionisti, fossati e trincee entro cui oggi li seguirebbe ben poca gente, e molto, molto meno dei partigiani rossi di allora. E qui si apre il ruolo che Bertinotti cercherà spregiudicatamente di giocare, nelle sue proiezioni nazionali, europee e internazionali. Con l'antioccidentalismo, lo strumentale filo-panarabismo e l'altrettanto strumentale antiebraismo (quantomeno, non scoperto e spregiudicato come quello di gran parte della sua base). Gli inalienabili diritti dei palestinesi ad avere un loro Stato così come l'imporre la fine delle attività sionistiche agli israeliani, anche di quelli "moderati" come "Kalima", sono aspetti molto condivisi e molto trasversali, su cui Bertinotti vuole imporre una coloritura non gradita alla gran parte degli interlocutori. Egli vorrà forse giocare con altre cento matasse tutte da ingarbugliare? Vorrà aprire conflitti con gli USA e con l'Unione Europea, con la Nato e con l'UEO? Vorrà aprire la porta a milioni di immigrati ed elevare al 5% del pil gli aiuti al terzo mondo? Vorrà trasformare la nazionalità italiana come merce acquistabile al mercato? Vorrà imporre la santificazione del terzosesso e le terga di Lussuria a blasone della Repubblica? Vorrà parlare per ore e seraficamente blaterare mentre bande devastatrici di "dimostranti" risultano invisibili alla sua vista? Vorrà parlare di comunismo? Due uomini, o meglio, due cadaveri delle peggiori stagioni politiche, adatti per tutte le stagioni, per tutte le epoche? Il peggio sta proprio qui. Su come un sistema politico vive di scientifica e inqualificabile smemoratezza, di come ogni fallimento e ogni disastro viene rimosso e capovolto in merito. Prodi, Rutelli. Castagnetti, D'Alema e Fassino hanno dunque commesso errori incalcolabili. Dovevano pensare a come rimediare ai disastri del trio D'Alema-Bassanini-Berlinguer a cui Berlusconi ha posto rimedio molto parzialmente, e invece cosa fanno? Tirano fuori un'accoppiata che starà dando ancora i fremiti, non di goduria, alle cancellerie di tutto l'Occidente. Cosa rimane di credibile su un governo autorevole, forte, coeso, efficiente e legato all'Occidente che Prodi ha promesso? Solo le decine di nuovi organismi pubblici per migliaia di appannaggi e di superstipendi? Solo gli aiuti di stato per i metalmeccanici, le aziende e l'Alitalia in crisi? Solo nuove e fresche risorse per i sindacati? Viva la verità ritrovata della legge economica: il salario è una variabile indipendente! Ossia, disastri annunciati.

Domenico Cambareri


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