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Latina. Elezione del Presidente della Repubblica. Domenico Cambareri: «Occorre persona super partes, esterna alla politica»
L’accellerazione imposta da Bertinotti con la convocazione del nuovo Parlamento e dei delegati regionali per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica per domenica prossima, rende le cose non agevoli alle larghe intese fra i partiti. Questa è una cosa che però dovrebbe preoccupare meno. Infatti, la di già per sé scandalosa elezione dei due sindacalisti alla seconda e terza carica dello Stato dimostra quanto enormemente improvvida e miope sia stata la scelta dei “cervelli pensanti”. Ma soprattutto, emerge, chiarissima, la condizione di indigenza politica e di povertà morale di una classe tutta intera e di come sia impossibile scovare nomi adeguati alla bisogna per la massima carica della Repubblica fra coloro che oggi siedono nei due rami del Parlamento. A meno che non si vuole decidere da parte della maggioranza di diritto ma non della realtà politica del Paese di imporre un “suo” uomo. Non si tratta di dire soltanto, ovviamente, men che mai D’Alema senza perdere tempo in dietologiche ma scontatissime motivazione di uno dei più giovani pellegrini a Mosca di un passato che non si cancella con un colpo di spugna. E poiché le rose non hanno solo il danaro che porta la politica ma anche le spine e anche il tetano, è bene abbandonare sogni di ben precisi gruppi che risulterebbero esiziali agli interessi e al bene generale della comunità, visto che sarebbero colpi d’ascia. Ma anche, allo stesso modo, è bene dire di lasciar cadere il rilancio di altri nomi, come quello di Letta, avanzato da Berlusconi, o di Amato.
E’ necessario più che mai volgersi a uomini del “Paese reale”. In concreto, questo significa applicare il principio che al Quirinale deve andare un vero garante di tutti e per tutti, ma soprattutto un garante delle regole e, soprattutto ancora, della custodia e della difesa dello Stato. Ben capisce quindi D’Alema come non lo possano essere oggi nessuno degli uomini di questo nuovo assetto della maggioranza e dell’opposizione. Ben capisce quindi D’Alema che questo mio principio con contraddice e anzi riafferma il suo del “metodo Ciampi”.
E’ doveroso, è necessario, è bene dunque cercare il nome al di fuori. Più che mai. Ciampi fu un “tecnico” prestato alla politica. Ci sono stati altri tecnici prestati alla politica, come l’oncologo Veronesi. Ci sono altri nomi ancora - non prestati alla politica - che hanno vissuto nell’esercizio delle loro funzioni pubbliche accanto ai politici e come referenti dei politici, ma anche, in un rapporto particolarmente non pacifico se non nella particolarità di esprimere giudizi a salvaguardia degli interessi nazionali, come interlocutori dei politici. Ricordiamo appunto il “no” alto, perentorio e nobile che fu espresso da Sergio Romano, allora ambasciatore a Mosca, all’allora presidente del consiglio Ciriaco De Mita.
Diplomatico di prim’ordine, fine studioso, intellettuale aperto alle più diverse conoscenze disciplinari, analista e giornalista e scrittore conosciuto ed apprezzato in tutte le latitudini politico-partitiche, ottimo conoscitore di politici uomini e cose, personalità dotata di grande equilibrio e di lungimiranza (qualità spiccate oggi largamente assenti), sicuramente stimato all’estero, Sergio Romano può incarnare il meglio degli italiani. Può essere arbitro, garante e capo super partes di un Popolo e di un Parlamento e di un Governo che hanno bisogno di attingere alle migliori energie intellettuali, morali e civili del Paese reale. Oggi più che mai nella storia del dopoguerra. Che partiti e Parlamento prendano atto con umiltà della loro inadeguatezza morale, politica e civile a fornire il nome di uno dei “loro”. Che facciano un passo indietro. Che chiedano dunque alla Nazione e ai suoi uomini. Sergio Romano, nome non spendibile, personalità che nulla ha richiesto, o altri come lui. Ma al di fuori dei partiti. Per l’Italia. Sul tracciato di Ciampi.
Domenico Cambareri
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