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Latina. Napolitano, l'inutile migliorista. Domenico Cambareri: «Il compromesso storico è stato compiuto. Lui era la faccia buona del PCI»

Iniziata la carriera politica dietro Amendola nel lontano 1953, Giorgio Napoletano è stato sempre la “faccia presentabile” del PCI. Insomma un Gromiko occidentale, o, per la precisione non da poco, un Gromiko comunista italiano, più rifinito e più di classe. Più di classe: cosa non da poco in un partito che è stato l’inesauribile conato rivoluzionario del classismo proletario anche contro il “tocco” di classe, il bon ton aristocratico o del raffinato borghese. Cosa al tempo stesso contraddittoria nella politica dirigistica e monocratica togliattiana e post-togliattiana del PCI. Il borghese proletario che è stato sempre il ministro degli esteri ombra del ministro degli esteri ombra, in tal senso ha svolto per tutta la sua carriera politica un ruolo inutile ma non privo di fortuna. Egli infatti era il perenne dialogante e propositore di dialoghi con i partiti socialisti occidentali, ad iniziare da quello italiano, sottrattosi con Craxi all’egemonia politica e culturale comunista. Ma anche con le forze politiche moderate e con i rappresentanti dei governi occidentali. Un ruolo appariscente, diplomatico, “mondano” ma inutile in quanto, nella storia del partito comunista, mai la posizione “migliorista” è riuscita a far valere svolte o riformulazioni o ripensamenti o distinguo di fondo rispetto all’ininterrotto ruolo di colletarismo e subalterna servilità svolto in favore dell’Unione Sovietica. Tanto da definire correttamente l’esistenza del partito comunista, il suo ruolo di “quinta colonna”e le sue finalità esclusivamente in funzione degli interessi dei sovietici e dell’ “internazionale comunista”, e apertamente contro quelli nazionali. Da Trieste, Istria e Dalmazia ai profughi italiani, dalla posizione nei confronti di Tito a quella dell’invasione sovietica dell’Ungheria, e poi della Cecoslovacchia, Paesi satelliti che cercavano in tutti i modi di realizzare delle timide riforme di “socialismo dal volto umano” e di primavere nazionali utopiche schiacciate dai cingoli dei carri armati e dai massacri dei loro patrioti comunisti e socialisti. La storia politica personale del migliorista Giorgio Napolitano è anche questa. E’ quella del PCI che ha scatenato per decenni e nelle più diverse occasioni la canea e la violenza di piazza, quasi sempre strumentalmente. E’ questa, ed è pure quella delle continue sconfitte subite dal suo gruppo “migliorista”, sino al dopo-Berlinguer, quando gli venne preferito Natta quale nuovo leader. Infine, come tutti o la gran parte dei comunisti diventati “post”, il comunista Napolitano che comunque non è il comunista Pecchioli, tale è diventato non per avere cambiato idee, ma solo perché è crollato il loro referente, il loro idolo, il loro “padrone” ideologico, nei confronti del quale Berlinguer ebbe allora ad operare solo uno “strappo elastico”. Il bello e il guaio dell’Italia di questi anni e di oggi in particolare è proprio questo. Che il partito “avverso”, il partito per quanto si vuole delle “masse operaie e proletarie” ma fondamentalmente “anti-italiano”, come insegnano le tante tristi vicende interne dei comunisti italiani fra Roma e Mosca, il partito spesso metamorfizzatosi in sacche di parassiti borghesi, altoborghesi, artisti e intellettuali; il partito spazzato dalla vita delle società occidentali odierne, cambiato nome, cambiato “look”, cambiato linguaggio, oggi è il partito di fatto egemone della scena politica nazionale. E qui immediatamente viene da pensare al gruppo di D’Alema, Fassino, Angius. Lettura dei fatti estremamente aderente ad essi, senza contraffazioni e senza alterazioni. Tuttavia, se scrivo “l’inutile migliorista” e non “il migliorista inutile”, ciò signfica che dei meriti intrinseci - nell’ambito del suo approccio politico-ideologico alla realtà delle cose -, Giorgio Napolitano li avrà pure avuti, per cui se in senso etico-politico vale la sua omologazione agli altri esponenti della nomenklatura comunista per non avere mai rotto apertamente, con atti plateali o di semplici dimissioni, con il PCI corresponsabile morale delle azioni cruente del regime sovietico, in senso strettamente politico e della risicata dialettica politica interna in una realtà nella quale ufficialmente essa non esisteva, Giorgio Napolitano ha svolto un ruolo che gli poteva essere cagione anche di guai e disgrazie politiche personali. Ciò gli va riconosciuto. Ed è questo tenue ma importante elemento che oggi dovrebbe consentirci di sperare che egli potrà essere all’altezza di svolgere il ruolo di Presidente della Repubblica, ossia di Presidente degli italiani tout court.
Naturalmente egli s’invola con le difficoltà con cui lo fa un’anatra azzoppata. Ha riscosso , infatti, poco più delle preferenze necessarie per la sua elezione, che è risultata essere inequivocabilmente un’elezione di parte. Cosa gravissima sotto ogni punto di vista. Innanzitutto, per l’avere imposto con questo atto conclusivo il vero “compromesso storico” avviato decenni addietro. Colpa della cecità di Prodi, colpa dell’inettitudine di Rutelli, colpa dell’inconcludenza di Castagnetti. Colpa della loro irresponsabilità politica. Perché hanno portato il peggio del peggio del sindacalismo al vertice delle Camere, riconoscendo al contempo l’inanità politica degli esponenti dei partiti a ricoprire siffatte cariche, ovvero di loro stessi. La strategia “post-comunista” avviata con la solita sdolcinata e acida arroganza da un pensierino pensante, su cui i club dei cerebrini disessini deliquono, il “contadino dai piedi grossi e dalla testa fine” del Salento alias capitan Trinchetto tutto baffetto, è stata chiara. Certo, su D’Alema vi sarà sbarramento totale, si aprirà davvero un fossato civile e all’interno stesso della coalizione non tutti lo voteranno ma su…un vecchio senatore a vita, l’unica “faccia presentabile” dell’ante e del post, beh! qui conviene proprio giocare tutte le carte. Per cosa? Per celebrare surrettiziamente il recupero della storia del Pci e inserirlo a pieno titolo nei fasti della Repubblica. Operazione riuscita, come ben vediamo. Questa Presidenza della Repubblica nasce ancor più azzoppata perché è oramai assodato che lo svolgimento delle operazioni del corpo elettorale all’estero non è avvenuto con regolarità, (ad iniziare dalle fasi che lo precedono e lo adempiono, ossia il recapito dei plichi alla generalità degli aventi diritto) e poco conta se la nuova Giunta per le Elezioni indagherà per castrare Presidenza della Repubblica, maggioranza e governo. Per di più, è nata troppo anticipata, sicché oggi abbiamo due Presidenti della Repubblica in carica e l’uscente dovrà dare le dimissioni per sgomberare subito le stanze. Il quadro è davvero desolante. La credibilità che speravo che Prodi si sapesse ben giocare nell’interesse di tutti è già a pezzi. Che sarà degli incarichi ministeriali?
Dopo tutto ciò, salvo l’annullamento delle elezioni, fermo rimane l’obbligo della lealtà al nuovo Presidente. Non desiderato, non voluto, ma confermato dalla maggioranza “tecnica”. Obbligo di lealtà e di rispetto, così come egli ben sa che deve essere garante e custode della difesa della Nazione nella scelta del suo ambito o “campo” di civiltà e della difesa costituzionale delle differenze e non solo delle uguaglianze. Ultima cosa, forse la più importante. Da comunista e da ex comunista, oltre a garantire anche come capo supremo delle Forze Armate la difesa morale e dei valori delle istituzioni e della Patria all’interno, atto di inestimabile onestà sarebbe il chiudere con i panegirici e le auto-glorificazioni della “parte” che vinse dietro le bandiere anglo-americane. Il sapere chiudere la pagina della guerra civile, con l’additare - super partes -le azioni che produssero reazioni ancor più sanguinose in una spirale di odio arrivata sino ad oggi, come l’emblematico nodo- vioa Rasella- Fosse Ardeatine. Saper fare questo, sarebbe degno di un grande Presidente. Più che mai, se un Presidente ex comunista.Per onore della storia.
La caduta di quest’ultimo steccato come non potrebbe non fare cadere quello ben più recente del fanatico antiberlusconismo? Oltre le mie certezze, oltre i tanti se e i tanti ma, oltre le proposte, come la mia per fare eleggere un cittadino non politico alla massima carica, nella fattispecie un uomo di grande rigore e preparazione come l’ambasciatore Sergio Romano, onore al nuovo Presidente della Repubblica. E che egli sappia stare più accanto ai cittadini che ai gabinetti dei partiti e dei ministri.

Domenico Cambareri


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